Licenziamento nullo, Discriminazione per motivi sindacali, sentenza del Tribunale di Firenze, 3 marzo 2021

 

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE

Sezione Lavoro

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anita Maria Brigida Davia ha pronunciato. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2559/2020 promossa da:

A A (C.F. ………), con il patrocinio dell’avv. DEL PINTO MARCO e dell’avv. , elettivamente domiciliato in VIA …………………………… presso il difensore avv. DEL PINTO MARCO

Parte ricorrente

contro

XXXXXX (C.F……………..), con il patrocinio dell’avv. PINTO GIAN LUCA e dell’avv. , elettivamente domiciliato in ………………………….presso il difensore avv. PINTO GIAN LUCA

Parte resistente

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con ricorso ex art 1 comma 48 l. 92/12 depositato il 1 agosto 2020 A A impugnava il licenziamento disciplinare per giusta causa comunicatole da XXXX con lettera del 17 maggio 2019 in relazione alle violazioni disciplinari contestate con nota del 26 aprile 2019 e cioè aver dolosamente tentato di sottrarre, senza pagare, merce della datrice ( nella specie 3 uova di cioccolato, un hamburger e una confezione di insalata del complessivo valore di €. 43,62).

In via principale, la A sosteneva la nullità del recesso in quanto discriminatorio o comunque ritorsivo costituendo lo stesso illecita reazione alla sgradita attività di sindacalista svolta dalla lavoratrice.

In subordine sosteneva l’illegittimità dello stesso negando l’esistenza della condotta contestata o comunque l’irrilevanza disciplinare per assenza di dolo ed in ulteriore subordine per assenza della giusta causa di recesso Concludeva dunque chiedendo, in tesi, la tutela reintegratoria piena di cui ai commi I e II art 18 stat lav, in ipotesi, la tutela reintegratoria attenuata di cui al IV comma ed in ulteriore ipotesi gradata, la tutela indennitaria forte di cui al successivo V comma.

XXXXX si costituiva, sostenendo la piena legittimità del licenziamento alla luce della gravità violazioni disciplinari poste in essere, aventi rilievo anche penale, e chiedendo l’integrale rigetto del ricorso.

Il giudice della fase sommaria, all’esito dell’istruttoria testimoniale svolta, ritenuta la violazione disciplinare contestata sussistente e di gravità tale da integrare la giusta causa di recesso, rigettava il ricorso

Avverso tale provvedimento propone opposizione A A riproponendo le difese già svolte in fase sommaria e rassegnando le medesime conclusioni.

XXXX, costituitati nel giudizio di opposizione, ribadisce quanto già allegato e argomentato nella precedente fase del giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.

Così sintetizzate le opposte posizioni delle parti e le vicende processuali nelle quali si inserisce la presente decisione si espongono di seguito le ragioni del convincimento del giudice.

La violazione disciplinare contestata

La condotta sulla quale si fonda il recesso consiste nell’aver tentato di sottrarre 3 uova di cioccolato, un hamburger e una confezione di insalata.

I fatti rilevanti possono essere così ricostruiti alla luce della istruttoria svolta.

Nelle circostanze di tempo e di luogo indicate nella contestazione degli addebiti (il 17 aprile 2019, intorno alle 17.50 presso il punto vendita della convenuta situato in Montevarchi) la A, agendo fuori dall’orario di lavoro ma all’interno del punto vendita ove svolgeva la sua attività lavorativa, aveva prelevato dagli scaffali i prodotti suiindicati e aveva scelto di pagare tramite cassa fast cioè una cassa automatica senza cassiere (fatto pacifico).

Aveva passato la carta socio ( fatto pacifico) e, quindi aveva registrato tutti i prodotti acquistati mentre chiacchierava con la collega T ( in quel momento in servizio quale addetta al controllo casse Fast cfr testi T e S) . Al termine della registrazione aveva chiesto alla collega S (in quel momento anch’ella addetta al controllo delle casse fast) una shopper , che la S le aveva consegnato ( cfr testi S e T) . Quando la S le aveva chiesto se oltre alla shopper, voleva anche i bollini (cui avrebbe avuto diritto se avesse superato un certo tetto di spesa) aveva dichiarato di averli già ricevuti dalla T ( cfr teste S). Quindi, mostrando di non trovare lo scontrino (necessario per poter aprire, tramite lettore ottico, il cancelletto automatico che chiude la zona delle casse Fast) aveva ottenuto ( con modalità che le testi presenti riferiscono in maniera difforme) che la collega S le aprisse manualmente il cancello e, quindi, si era allontanata, portando con sé i prodotti ( cfr testi S e T).

Quando le addette al controllo delle casse, dopo qualche minuto si accorgevano che la cassa 29, utilizzata fino a quel momento dalla A, era bloccata perché non era stato effettuato il pagamento , cercavano prima di rintracciare la collega, che si era appena allontanata ( cfr teste S) quindi chiedevano al box informazioni di chiamare l’A tramite altoparlante ( cfr testi S e T). Ascoltato l’annuncio, la ricorrente, dopo qualche minuto, si ripresentava alle casse (senza passare dal box informazioni) e pagava il dovuto ( cfr testi T, S P).

Essendo pacifico l’iniziale mancato pagamento, la questione controversa tra le parti riguarda esclusivamente l’elemento psicologico che ha sorretto l’omissione (dolo secondo la datrice, mera colpa secondo la lavoratrice).

E’ appena il caso di chiarire che, essendo il dolo elemento costitutivo della violazione disciplinare posta alla base del recesso ( il tentativo colposo di appropriazione di merce aziendale non né penalmente nè disciplinarmente rilevante ) l’onere della prova del carattere volontario e consapevole della condotta è interamente a carico della datrice.

A sostegno della intenzionalità del mancato pagamento XXXX valorizza le seguenti circostanze:

  1. a) La ricorrente avrebbe falsamente dichiarato alla S di aver già ricevuto i bollini dalla T al solo fine di evitare di mostrare alla collega lo scontrino ( che sapeva di non avere), conscia della regola organizzativa interna che prevede che i bollini siano consegnati solo previa “flaggatura” dello scontrino.

La tesi, pur suggestiva, non risulta avvalorata dalle prove portate all’attenzione del giudice.

In particolare la circostanza ( centrale rispetto alla connotazione dolosa della condotta) che la A abbia mentito nel dichiarare di aver ricevuto i bollini, non solo non è dimostrata (nessun teste la riferisce né alcun documento la attesta) ma è smentita dalle dichiarazioni della teste T, ritenute attendibili ( sul punto) dalla stessa datrice che ha sanzionato la suddetta lavoratrice per aver consegnato i bollini in violazione della regola organizzativa sopra menzionata ( fatto pacifico).

  1. b) La ricorrente avrebbe utilizzato l’espediente della (falsa) ricerca dello scontrino per indurre in errore la S e farsi aprire il cancelletto. La natura fraudolenta dell’espediente viene desunta dalla mera circostanza (riferita dalla sola teste S) secondo cui sarebbe stata proprio la A a chiederle di aprire il cancelletto. Reputa il giudicante che la tesi, oltre ad essere fondata sulle dichiarazioni di un teste “interessato” ( è evidente infatti che la S , avendo posto in essere una grave violazione delle regole interne per aver consentito ad un cliente di uscire senza mostrare lo scontrino, ha tutto l’interesse a sminuire la sua responsabilità, escludendo di essersi spontaneamente offerta di aprire il varco ) non sia convincente. Ed in effetti, non risulta che la A avesse validi motivi per confidare nel fatto che la S , su sua semplice richiesta, avrebbe posto in essere un comportamento gravemente contrario ai suoi obblighi contrattuali. A tal fine non poteva bastare il semplice fatto che la ricorrente fosse una sindacalista conosciuta e stimata, in assenza di stretti rapporti di amicizia o di frequentazione ( pacificamente inesistenti tra le due). Sarebbe certamente stato più facile per la A (qualora effettivamente avesse architettato il piano ipotizzato dalla opposta) aspettare che il varco fosse presidiato dalla collega e amica T, sicuramente più ben disposta nei suoi confronti rispetto alla S.
  2. c) La circostanza – pacifica- secondo cui la A, ascoltato l’annuncio che richiedeva la sua presenza al box informazioni, si sia recata direttamente alle casse , varrebbe a dimostrare che era ben consapevole del motivo della chiamata. Anche in questo caso la tesi prova troppo, essendo possibili interpretazioni alternative dell’accaduto . Ed in effetti dall’istruttoria svolta è emerso che allorquando la T e la S si sono accorte che la A non aveva pagato , prima hanno cercato di ritracciarla (cfr testi S e T) e poi hanno avvertito il box informazioni. Entrambe le addette alle casse fast erano chiaramente in ansia , in quanto consapevoli dei possibili risvolti disciplinari della vicenda (anche nei loro confronti) e quindi presidiavano visivamente il corridoio che divide le casse fast dal box informazioni ( cfr foto doc 39 ricorrente fase sommaria) aspettando l’arrivo dell’A “Dopo poco ho visto arrivare A dalla galleria ed è venuta diretta verso le casse veloci. Prima mi ha chiesto “che è successo?”, io le ho detto “è successo che prima non trovavi lo scontrino perché non avevi pagato” ed ho aggiunto “A questo giro ci licenziano entrambe” e poi le ho aperto così teste S). Non può dunque escludersi che la A, diretta al box informazioni, intercettando lo sguardo ansioso della S, abbia compreso che era successo qualcosa di grave di cui la S era informata, e si sia diretta istintivamente verso di lei per conoscere l’accaduto.

Ne consegue che le circostanze portate all’attenzione del giudicante non appaiono sufficienti a provare il dolo.

Non solo. Al contrario, a favore della buona fede della lavoratrice, milita la circostanza che la stessa ( pur avendone la possibilità) non ha fatto nulla per passare inosservata, ma ha strisciato la carta socio prima di registrare gli acquisti ( in tal modo rendendosi identificabile dal sistema elettronico della cassa) e si è intrattenuta con entrambe le addette ai controllo, che in tal modo hanno potuto memorizzare il numero della cassa da lei utilizzata.

Tale circostanza è particolarmente significativa alla luce del fatto ( pacifico e sicuramente noto anche alla A ) che le casse fast sono dotate di un dispositivo sonoro e luminoso che allerta le addette al controllo tutte le volte che le operazioni subiscono variazioni anomale , quali ad esempio il mancato pagamento .

Ne consegue che, essendo del tutto prevedibile che il blocco della cassa sia notato nel giro di pochi minuti (come peraltro avvenuto nel caso di specie) l’acquirente in mala fede che sia riuscito ad uscire senza pagare, ha un’unica speranza di non essere scoperto e cioè che non si riesca a collegarlo alla cassa in blocco, cosa nella quale invece la A non poteva sicuramente contare, per quanto sopra detto.

E’ appena il caso di sottolineare come la tesi della convenuta secondo cui “qualora l’operatore rilevi una transazione sospesa, si limita ad annullare la transazione, buttare lo scontrino e sbloccare la cassa” ( cfr pag 23 della memoria di costituzione) senza effettuare altre verifiche, non solo non risulta fornita da alcun supporto probatorio (la norma di comportamento descritta non risulta riportata in alcun regolamento o ordine di servizio) ma appare inverosimile (poiché contraria alle regole di buona amministrazione) e contraddetta da quanto avvenuto nel caso di specie ( “ a quel punto mi rigiro, dopo qualche secondo vedo la luce rossa sopra la cassa e andando davanti al monitor ho visto che era bloccata, la sblocco e vedo che la schermata era ferma al pagamento da effettuare per una somma di circa 40 euro. Mi rendo conto che A non aveva pagato.” così teste S). e nei precedenti simili attestati dalla documentazione in atti ( cfr doc 4 e 5 ric opposizione)

Tanto basta ad escludere l’esistenza della violazione contestata.

Carattere discriminatorio del recesso

Come affermato dalla Corte di Cassazione “ “La nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l’art. 4 della l. n. 604 del 1966, l’art. 15 st. lav. e l’art. 3 della l. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall’ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un’altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico.””(Cass. sent. n.6575/2016).

In generale, pare utile ricordare che ai sensi dell’art. 15 Legge 300/1970, “è nullo qualsiasi patto od atto diretto a:… b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Sussiste una discriminazione diretta quando, sulla base di uno dei fattori protetti, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stato o sarebbe trattato un terzo comparabile.

La discriminazione rileva oggettivamente, sicché è del tutto irrilevante – ai fini del riconoscimento della discriminatorietà di un atto – l’intento soggettivo dell’agente: ciò che la legislazione prende in considerazione è l’effetto oggettivamente considerato del trattamento discriminatorio, che è anche ciò che intende evitare.

L’onere della prova in punto di discriminazione grava sul lavoratore che, nelle ipotesi di discriminazione diretta, è chiamato a dimostrare la ricorrenza di uno dei fattori di protezione (la cui elencazione è tipica e tassativa), il trattamento meno favorevole assunto nei suoi confronti, l’insussistenza del fattore di rischio in capo ai soggetti che avrebbero beneficiato del trattamento più favorevole, la compatibilità del trattamento meno favorevole con il fattore medesimo.

La ricorrente deduce di aver patito un trattamento discriminatorio in ragione della sua condizione di sindacalista in quanto la sua attività di delegato sindacale avrebbe indotto parte datoriale ad irrogare la sanzione del licenziamento, pur in assenza dei presupposti.

Nel caso di specie la condizione di attivista sindacale della ricorrente è pacifica.

Il trattamento sfavorevole (licenziamento in assenza di violazione disciplinare) risulta disposto esclusivamente nei suoi confronti. .

Appare inoltre innegabile la correlazione tra il suddetto trattamento sfavorevole e l’attività sindacale svolta dalla ricorrente, alla luce ;

  1. a) della sproporzione tra fatto contestato (tentato furto di merce del valore di €. 40) e sanzione (vedi precedente relativo alla dipendente C D B, la quale ha subìto la mera sospensione di 10 giorni dal lavoro e dalla retribuzione per aver pagato solo n. 2 dame d’olio da 5 lt , avendone invece prelevate 10 cfr doc 40 ric);
  2. b) dell’esistenza di una precedente sanzione conservativa nei confronti della lavoratrice, anch’essa annullata in sede giudiziale

Gli elementi qui fin qui indicati, valgono come indizi della dedotta discriminatorietà del recesso e non appaiono superati da alcuna prova contraria fornita dalla datrice.

E’ appena il caso di chiarire, infatti, che i licenziamenti disciplinari citati dalla convenuta nelle sue difese appaiono irrilevanti perché nei casi indicati – diversamente dal caso di specie- la sanzione, per stessa ammissione della convenuta, risulta irrogata in presenza di una violazione disciplinare accertata e non solo supposta.

Tanto basta per ritenere nullo il licenziamento, con assorbimento di ogni altra doglianza.

Alla declaratoria di nullità consegue il diritto della lavoratrice alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dovuta dal recesso alla effettiva reintegra, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

in riforma dell’ordinanza impugnata dichiara la nullità del recesso in quanto discriminatorio e per l’effetto condanna XXXX :

– alla reintegra di A A nel posto di lavoro;

– al risarcimento del danno nella misura della retribuzione globale di fatto dovuta dal recesso alla reintegra, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma mensilmente rivalutata;

– al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.;

– al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio determinati in € 3.500 oltre iva cpa e spese generali per la fase sommaria ed € 3000 per la presente fase.

 

Sentenza resa a seguito di discussione scritta disposta ai sensi dell’art. 1, comma 3, lett. a) e b) n. 7 del dl 125/2020,

Firenze, 3 marzo 2021

Il Giudice

dott. Anita Maria Brigida Davia