Discriminazione per convinzioni personali, obiezione di coscienza e polizia municipale, Tribunale di Ferrara, ordinanza del 15.04.2022.

TRIBUNALE DI FERRARA

SEZIONE LAVORO

Ordinanza ex art. 28 D. Lgs n. 150 del 1.9.2011

Il giudice dott.ssa A. De Curtis, letti gli atti del procedimento n. 506/2021 R.G.

TRA

FP-CGIL FEDERAZIONE LAVORATORI DELLA FUNZIONE PUBBLICA TERRITORIALE DI FERRARA

G S

E

COMUNE DI FERRARA

sciogliendo la riserva di cui al verbale del 25.3.3022, provvede con la seguente ordinanza.

§ 1. Il ricorso.

Il presente giudizio ha ad oggetto due distinte azioni promosse contestualmente contro il Comune di Ferrara, ai sensi dell’art. 28 D. Lgs. n. 150/2011, dalla O.S. Funzione Pubblica – CGIL e dal dipendente G S, attraverso le quali viene dedotta la illegittimità della condotta tenuta dal Comune di Ferrara nell’armamento del Corpo di Polizia Locale, denominato “Terre Estensi”, che assume rilievo sotto diversi profili di discriminazione.

La premessa in fatto è costituita dalla recente adozione da parte del Comune convenuta di un nuovo Regolamento del Corpo di Polizia Locale (approvato in data 11.5.2020) attraverso il quale è stata introdotta una nuova disposizione che rende incompatibile l’appartenenza al Corpo di Polizia Locale con lo status di obiettore di coscienza (art. 15 comma 7 del Regolamento).

Il nuovo Regolamento ha inoltre introdotto l’assegnazione “in via continuativa”, “a tutti gli appartenenti al Corpo in possesso della qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza”, di “una pistola semiautomatica con caricatore bifilare, dotata di caricatore di scorta, congiuntamente ad un idoneo quantitativo di munizioni” (art. 19 comma 1 del Regolamento).

In seguito di tale importante cambiamento della disciplina del Corpo di Polizia Locale, il dipendente G S, Assistente scelto, munito della qualifica di agente di P.S. con provvedimento del Prefetto del 15.7.2015, adibito sin dal 2007 alla funzione di Vigile di Quartiere nella ex circoscrizione GAD, mansione da sempre svolta senza mai portare alcuna forma di armamento, si vedeva assegnato d’ufficio, con provvedimento in data 18.2.2021, alla Centrale Radio Operativa, in ragione del fatto di avere in passato manifestato l’obiezione di coscienza, rifiutando di prestare il servizio militare in occasione della sua chiamata alla leva. Egli non aveva infatti rinunciato alla sua posizione di obiettore di coscienza, sicché l’amministrazione non gli aveva assegnato l’arma di ordinanza e lo aveva rimosso dalle sue mansioni.

Così facendo il Comune non solo lo aveva privato delle sue più qualificanti mansioni operative, ma gli aveva provocato un danno consistente nella perdita dell’indennità di servizio esterno pari ad € 9,00 giornalieri a partire dalla mensilità di marzo 2021.

Nel frattempo, tutti gli altri agenti di polizia locale muniti della qualifica di agenti di P.S., si vedevano assegnata la pistola di ordinanza senza essere stati messi nella condizione di potere manifestare formalmente l’obiezione di coscienza, in particolare il gruppo, non immediatamente identificabile, delle donne, mai soggette alla leva obbligatoria, e degli uomini nati dopo il 1985, non più soggetti alla leva obbligatoria.

§ 2. In diritto gli odierni ricorrenti hanno in primo luogo premesso che l’art. 5 L. n. 65 del 7.3.1986 (Legge Quadro sull’Ordinamento di Polizia Municipale), nella sua attuale formulazione, prevede come non obbligatorio, ma solo eventuale, il porto senza licenza delle armi.

Di conseguenza è escluso che l’Agente di Polizia locale sia automaticamente assimilabile all’Agente di P.S., posto che l’uso dell’arma diviene obbligatoria solo nelle specifiche ipotesi previste dall’art. 20 D.M. n. 145 del 4.3.1987 (ovvero i servizi esterni di vigilanza, la protezione della casa comunale, la protezione dell’armeria del Corpo, i servizi notturni ed il pronto intervento). Mentre per molti altri servizi (come ad esempio i servizi esterni di polizia annonaria e commerciale a tutela del consumatore, la polizia tributaria, la polizia amministrativa edilizia, il controllo anagrafico o socioeconomico, l’attività di notificazione degli atti, le attività di educazione stradale ed alla legalità nelle scuole, la vigilanza dinanzi i plessi scolastici, la rappresentanza interna ed esterna dell’Ente, l’attività di formazione, la protezione civile in caso di calamità, i rilievi e le attività accertative in caso di sinistri stradali) l’uso delle armi non è considerato obbligatorio.

Sicché per dette attività, lo stato di obiettore di coscienza non è ostativo alla permanenza nel Corpo di polizia locale e, quand’anche fosse ritenute legittima la scelta discrezionale dell’ente di stabilire la incompatibilità dello status di obiettore con l’appartenenza al Corpo, tale statuizione non può che valere per il futuro e non per il personale assunto attraverso concorsi nei quali non era stata prevista alcuna limitazione in tal senso.

2.1. Distinguendo, dunque, la posizione di  S, unico agente di P.S. formalmente qualificato obiettore di coscienza, dal restante gruppo indistinto di agenti di P.S. dipendenti che non hanno potuto esprimersi al riguardo, la parte ricorrente ha dedotto che nel caso del dipendente obiettore era stato posto a rischio il fattore “convinzioni personali”, tutelato in via autonoma rispetto ad altri fattori (religione, handicap, età ecc.) oltre che dalle fonti sovranazionali di diritto comunitario ed internazionale, anche dal D. Lgs. n. 216 del 9 luglio 2003 (Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) che fornisce protezione alla c.d. libertà delle convinzioni personali e di opinione nell’ambito dei rapporti di lavoro, come ad es. il pacifismo e l’antimilitarismo.

Trattasi, secondo la parte, di un caso di discriminazione diretta, in quanto il trattamento deteriore sarebbe connesso direttamente alla manifestazione di una convinzione personale, senza che nel caso di specie si possa ravvisare una deroga al divieto di discriminazione, dato che i servizi armati nell’Ordinamento di Polizia Municipale hanno carattere solo eventuale, ad eccezione di quelli previsti dall’art. 20 D.M. n. 145/1987.

2.2. In relazione all’azione collettiva, promossa dall’organizzazione sindacale, legittimata ad agire jure proprio ex art. 5 D. Lgs. n. 216/2003, stante la impossibilità di individuare in modo diretto ed immediato quanti e quali Agenti siano attualmente nella condizioni di voler rifiutare l’arma, la parte evidenziava che la fattispecie vede coinvolto tutto il personale già assunto nel ruolo degli Agenti di Polizia Locale in epoca in cui non esisteva nel Corpo di Polizia dell’amministrazione comunale alcun obbligo di porto delle armi e che è stato scriminato non solo con riferimento al fattore “convinzioni personali”, ma anche in relazione al fattore di “genere” (donne mai poste nelle condizioni di esprimersi in ordine all’obiezione di coscienza) e “per età” (uomini nati dopo il 1985 non più richiamati al servizio di leva), essendo stato allo

stesso impedito, pur avendone fatto formalmente richiesta al Comune (con comunicazione in data 23.3.2021 diretta al Sindaco e del Comandante del Corpo di Polizia Locale) di esprimersi al riguardo.

§ 3. La parte ricorrente ha concluso pertanto chiedendo:

– accertare il carattere illegittimo e discriminatorio dell’art. 15 comma 7 del Regolamento di Polizia Locale approvato il 11 maggio 2020, introduttivo dell’incompatibilità dell’appartenenza al Corpo di Polizia Locale con lo status di obiettore di coscienza e della conseguente condotta del Comune consistita nel mancato riconoscimento ai propri agenti della facoltà di esercitare il diritto all’obiezione di coscienza all’uso delle armi; della condotta dell’ente volta ad impedire agli agenti lo svolgimento senza armi di quei servizi (sopra elencati in via esemplificativa) per i quali non è previsto l’uso obbligatorio dell’arma; dell’ordine di servizio n. 6/21 del 18.2.2021 con il quale  S Gè stato rimosso dalle precedenti mansioni esterne;

– ordinare al Comune di ripristinare le precedenti mansioni dell’obiettore di coscienza G S, adibendolo anche a servizi esterni che non richiedono l’uso necessario delle armi;

– ordinare al Comune di consentire agli agenti, sopra individuati come gruppo, di manifestare formalmente la propria obiezione di coscienza all’armamento, definendo modalità e termini di tale manifestazione e di consentire comunque, a seguito di detta manifestazione, di poter svolgere – al pari dell’agente  S – quelle mansioni, anche esterne, compatibili con lo status di obiettore di coscienza;

– condannare il Comune al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dell’organizzazione sindacale ricorrente quantificato in via equitativa in € 20.000;

– condannare il Comune al risarcimento del danno patrimoniale dell’obiettore  S, quantificata nell’indennità di servizio esterno pari ad € 9,00 die a far data della mensilità di marzo 2021 sino all’effettivo reintegro nelle mansioni in precedenza svolte;

– disporre la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a tiratura nazionale (Resto del Carlino o la Repubblica).

§ 4. La difesa della parte resistente.

Costituitosi in giudizio, il Comune ha resistito alle azioni come sopra proposte.

Ha dedotto in primo luogo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, posto che l’azione dei ricorrenti è tesa a riformulare/modificare il regolamento di polizia locale contestato, sottraendo determinati servizi all’obbligo di prestarli con l’arma in dotazione, attraverso l’uso improprio dei provvedimenti antidisciminatori.

Ha eccepito inoltre il difetto di legittimazione attiva del Sindacato rispetto all’azione collettiva, difettando il requisito della non immediata individuabilità dei dipendenti interessati, trattandosi di soggetti in numero ridotto, facilmente identificabili dall’O.S.

4.1 Nel merito il Comune ha dedotto che l’ente locale ha piena facoltà di adottare un Regolamento che preveda la dotazione di armi, previa deliberazione del Consiglio Comunale, giacché gli agenti di P.S. debbono sempre essere pronti a prestare servizio armato se richiesti dal Prefetto, in forza degli art. 3 e 5 L. n. 65/1986 e dell’art. 2 e 7 D.M. n. 145/1987, ed essendo espressamente prevista la loro collaborazione con le forze della Polizia di Stato.

Con riferimento al dipendente  S ha escluso la sussistenza di una discriminazione basata sul fattore “convinzioni personali” che possa assumere rilievo, dal momento che il Regolamento prevede che costituisce requisito essenziale per lo svolgimento dell’attività di agente di P.S. il non essere obiettore di coscienza; sicché le eventuali differenze di trattamento, quand’anche sussistenti, risultano giustificate dalle finalità legittime perseguite e dalle stesse norme di legge appena richiamate.

L’ente ha poi contestato che il dipendente abbia subito un trattamento discriminatorio, dal momento che il suo trattamento economico non è mutato, prevedendo la nuova funzione altre indennità (ad esempio l’indennità di turno) e comunque costituendo l’indennità una parte solo eventuale della retribuzione, legata al tipo di servizio.

Il Comune ha poi evidenziato che è prerogativa dell’ente pubblico, nella sua discrezionalità, stabilire quali servizi necessitino della dotazione dell’arma non potendo certo essere lasciata la scelta ai ricorrenti, sicché le disposizioni di cui al D. Lgs. n. 216/2003 non possono trovare applicazione nella fattispecie, essendo stato stabilito con il Regolamento che lo status di obiettore è incompatibile con l’appartenenza al Corpo di Polizia Locale che prevede l’uso dell’arma nella sua attività.

Infine, lo stesso Prefetto, nel riconoscere allo  S la qualifica di agente di P.S., rilevando il suo status di obiettore di coscienza, aveva espressamente previsto che egli venisse assegnato a servizi che non prevedono l’uso delle armi.

4.2 Avuto riguardo alla denunciata discriminazione collettiva, secondo il Comune non esiste un diritto azionabile all’obiezione di coscienza, al di fuori di un’apposita normativa che lo preveda e lo disciplini. 6

Spetta infatti solo al legislatore stabilire il punto di equilibrio tra la coscienza individuale e la salvaguardia dei pubblici interessi legalmente riconosciuti. Sussistendo una riserva di legge, non rientra tra le prerogative del Comune prevedere una disciplina dell’esercizio dell’obiezione di coscienza.

Il Comune ha poi sostenuto, in buona sostanza, che l’appartenenza alla polizia Locale è sempre stata incompatibile con l’obiezione di coscienza, poiché, diversamente opinando, verrebbe compromesso lo stesso funzionamento del Corpo. Secondo la giurisprudenza amministrativa – ha aggiunto – tutti gli addetti in possesso della qualifica di agente di P.S. hanno l’obbligo di portare le armi in dotazione (TAR Campania Napoli sez. V n. 673/2006; TAR Salerno Sez. I, n. 1854/2004, confermata da Cons. Stato sez. V, n. 8997/2009; TAR Lazio – Roma n. 1597/2005).

Inoltre, il Regolamento del Corpo di polizia locale Terre Estensi già menzionava nel testo previgente le funzioni attribuite ex lege alla polizia municipale, tra cui quelle di polizia giudiziaria, di sicurezza urbana, di attività ausiliarie di pubblica sicurezza che impongono il servizio armato.

Cosicché gli agenti che l’O.S. assume essere stati discriminati, non potranno esprimere obiezione di coscienza poiché, “col solo fatto di entrare nel Corpo, hanno manifestato un comportamento incompatibile con l’obiezione”.

La parte resistente ha infine evidenziato come, su 141 agenti di P.S. in organico, tutti, eccettuato il ricorrente  S, hanno seguito i corsi ed acquisito (in gran parte nel 2018, prima della modifica del Regolamento) i certificati finalizzati al loro addestramento all’uso dell’arma, condotta incompatibile con la pretesa obiezione di coscienza.

Ha quindi concluso chiedendo il rigetto delle domande.

§ 5. Le eccezioni pregiudiziali e preliminari.

Fallito il tentativo di conciliazione tra le parti, la causa viene decisa sulla base delle seguenti considerazioni.

Va in primo luogo disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito.

Dal tenore dell’atto introduttivo emerge con chiarezza che l’azione non è tesa a modificare il Regolamento, quanto piuttosto a far valere il diritto del personale ad esprimersi sul porto delle armi per motivi etici, non essendo stato posto nelle condizioni di scegliere.

Del pari infondata è l’eccezione di carenza di legittimazione passiva della F.P. CGIL.

Secondo l’art. 5 comma 1° D. Lgs. n. 216/2003 “Le organizzazioni sindacali … sono legittimate ad agire” per la tutela giurisdizionale dei diritti avverso le discriminazioni 7

nelle forme di cui all’art. 28 D. Lgs. n. 150/2011, “in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio”.

Il comma 2° prevede “I soggetti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire nei casi discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione”.

Appare evidente, già ad una semplice lettura del dettato normativo, l’ampia legittimazione attiva riconosciuta alle organizzazioni sindacali in materia di tutela della parità di trattamento e di occupazione e di condizioni di lavoro, sia a livello individuale sia a livello collettivo. Nel caso in esame il Sindacato ha esercitato azione collettiva ai sensi del comma 2°.

Come evidenziato dalla Suprema Corte, “In tema di parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 216 del 2003, come modificato dall’articolo 8-septies del d.l. n. 59 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 101 del 2008, costituisce esplicazione della facoltà riconosciuta agli stati membri dall’art. 8 della dir. 2000/78/CE di concedere una tutela più incisiva di diritto nazionale rispetto agli atti discriminatori in ambito lavorativo, attribuendo ad un’associazione, che sia rappresentativa del diritto o dell’interesse leso – secondo un accertamento in fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità -, la legittimazione ad avviare un giudizio per fare rispettare gli obblighi della direttiva ed eventualmente ottenere il risarcimento del danno” (Cass. Sez. 1-, Ordinanza n. 28646 del 15/12/2020, Rv. 660047 – 01).

Dall’esame dello Statuto e del Codice Etico CGIL del 2019 (doc. 27 ric.) emerge chiaramente l’impegno del Sindacato in materia di contrasto alle varie forme di discriminazione nell’ambiente di lavoro (si v. in particolare artt. 1 e 4 dello Statuto, art. 21 del Codice Etico).

Non v’è dubbio che nella vicenda in esame sussista la difficoltà di individuare in via immediata i soggetti coinvolti dalla discriminazione denunciata attraverso l’azione collettiva: lo stesso Comune ha evidenziato come su 141 dipendenti con qualifica di agente di pubblica sicurezza ben 140 hanno partecipato ai corsi di tiro (doc. 4); non può quindi ricavarsi alcun significato da tale circostanza, posto che all’evidenza il personale ha partecipato all’addestramento in quanto in ogni caso tenuto a farlo per dovere istituzionale.

A comprova della difficoltà di individuazione del personale potenzialmente interessato vi è poi l’interlocuzione interna avutasi tra il Comune e la difesa dell’ente a seguito della proposta conciliativa espressa da questo giudicante alla prima udienza di comparizione delle parti. Secondo l’ente, sulla base dei fattori di discriminazione indicati dalla parte ricorrente (per genere e per età), “i 107 agenti assunti prima del 2010 [anno a partire dal quale (doc. 10) dalla partecipazione al concorso sono stati esclusi gli obiettori di coscienza, contemplando l’uso delle armi, n.d.r.] sono 57 donne e nessun nato dopo il 1985 fra gli uomini. … resterebbero interessate comunque le 57 donne cioè oltre il 40% del totale degli agenti”.

§ 6. La nozione di obiezione di coscienza (brevi cenni).

Venendo al merito, occorre anzitutto evidenziare che le circostanze fattuali dedotte in ricorso (richiamate al § 1) non sono di per sé stesse oggetto di contestazione.

E’ dunque possibile passare subito all’analisi del quadro normativo di riferimento.

Va anzitutto analizzata la nozione di obiezione di coscienza, che costituisce una modalità di estrinsecazione del diritto alla libertà individuale e dell’autodeterminazione di ogni persona.

Essa possiede un esplicito riconoscimento nelle convenzioni internazionali vincolanti per l’ordinamento giuridico italiano in forza dell’art. 117 Cost. ed in particolare:

– l’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

– l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

– l’art. 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici

– l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza)

Quest’ultima opera un letterale riferimento all’obiezione di coscienza non solo nella stessa rubrica dell’articolo titolata “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”, ma statuendo espressamente al secondo comma che “Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, significando con ciò che non vi è discrezionalità da parte degli Stati circa il riconoscimento di tale diritto, ma solo quanto alle modalità di esercizio.

L’obiezione di coscienza trova poi riconoscimento sul piano del diritto costituzionale interno, poggiando il suo fondamento sugli artt. 2, 3, 19 e 21 Cost., così come ritenuto dalla giurisprudenza della Consulta, in particolare nelle sentenze n. 196/1987, n. 467/1991 e n. 43/1997.

In quest’ultima pronuncia la Consulta, chiamata ad esprimersi sul reato di chi, al di fuori dei casi di ammissione ai benefici previsti dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza), rifiuta, in tempo di pace, prima di assumerlo, il servizio militare di leva, ha osservato nelle sue considerazioni che “L’incostituzionalità della normativa impugnata, al di là dei profili di irrazionalità interna al sistema legislativo ora esaminati, risulta altresì dalla violazione degli articoli 2, 3, 19 e 21, primo comma, della Costituzione i quali, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 196 del 1987 e 467 del 1991), contengono un insieme di elementi normativi convergenti nella configurazione unitaria di un principio di protezione dei cosiddetti diritti della coscienza.

Tale protezione, tuttavia, non può ritenersi illimitata e incondizionata. Spetta innanzitutto al legislatore stabilire il punto di equilibrio tra la coscienza individuale e le facoltà ch’essa reclama, da un lato, e i complessivi, inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale che la Costituzione (art. 2) impone, dall’altro, affinché l’ordinato vivere comune sia salvaguardato e i pesi conseguenti siano equamente ripartiti tra tutti, senza privilegi”.

E’ stato in dottrina sostenuto che ciò non significa che l’obiezione di coscienza sussiste solo laddove venga riconosciuta dal legislatore, il che equivarrebbe a creare un ambito di attività legislativa sottratto al sindacato costituzionale.

Al contrario, proprio l’analisi della giurisprudenza costituzionale conduce alla conclusione che si deve ritenere che un diritto risulti immediatamente desumibile dalle norme della costituzione, laddove il primario diritto inviolabile, quello alla vita, sia coinvolto nella normativa positiva. Proprio l’esperienza dell’obiezione di coscienza al servizio militare dimostra che, laddove a tali diritti della coscienza il legislatore non ha dato la dovuta rilevanza, ne consegue la sanzione d’incostituzionalità.

Dall’analisi delle pronunce giurisprudenziali si possono quindi dedurre tre principi cardine: l’obiezione di coscienza non è riconducibile all’insindacabile iniziativa del legislatore; le norme che prevedono l’obiezione di coscienza non sono eccezionali, ma rappresentano l’attuazione di garanzie costituzionali; è ammissibile l’applicazione analogica delle ipotesi normative di obiezione di coscienza, laddove sussista una medesima “ratio”, con riferimento sia ai soggetti che ai beni di rango costituzionale oggetto di tutela.

Va dunque sgomberato il campo dall’affermazione del Comune secondo la quale l’obiezione di coscienza non possa essere mai esercitata al di fuori delle speciali discipline di legge che di volta in volta sono state adottate in specifici settori (si pensi, oltre alla legge relativa al servizio di leva, alla L. n. 194/1978 in materia di interruzione volontaria della gravidanza; alla L. n. 101/1989 in materia di diritto delle persone di fede ebraica di osservare del riposo sabbatico e le festività religiose ebraiche nell’ambito della loro attività lavorativa con recupero la domenica o in altre giornate; alla L. n. 413/1993 in materia di sperimentazione animale; L. n. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita).

§ 7. La disciplina normativa in materia di porto d’arma nel settore della polizia municipale.

Osserva il Comune che l’obiezione di coscienza è incompatibile con la disciplina regolante il servizio degli appartenenti al Corpo di Polizia Municipale e con la discrezionalità riconosciuta all’ente locale di adottare un Regolamento che preveda l’armamento del Corpo.

Analizzando le specifiche fonti si rileva quanto segue:

– la L. n. 65 del 7.3.1986, Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale, prevede:

Art. 3 (Compiti degli addetti al servizio di polizia municipale) “Gli addetti al servizio di polizia municipale esercitano nel territorio di competenza le funzioni istituzionali previste dalla presente legge e collaborano, nell’ambito delle proprie attribuzioni, con le Forze di polizia dello Stato, previa disposizione del sindaco, quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti autorità” (si v. anche l’art. 7 D.M. n. 145/1987 di cui si tratterà nel prosieguo).

– La L. n. 121 del 1.4.1981 Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza prevede:

art. 16 (Forze di polizia) Ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia, fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze: a) l’Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza; b) il Corpo guardia di finanza, per il concorso al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. / Fatte salve le rispettive attribuzioni e le normative dei vigenti ordinamenti, sono altresì forze di polizia e possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica il Corpo degli agenti di custodia e il Corpo forestale dello Stato.

Dunque gli addetti al servizio di Polizia locale collaborano con le forze di polizia dello stato a livello locale ma la Polizia municipale non rientra automaticamente nel novero delle forze di polizia.

– Secondo l’art. 5 L. n. 65/1986:

(Funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di pubblica sicurezza)

1. Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche:

a) funzioni di polizia giudiziaria, rivestendo a tal fine la qualità di agente di polizia giudiziaria, riferita agli operatori, o di ufficiale di polizia giudiziaria, riferita ai responsabili del servizio o del Corpo e agli addetti al coordinamento e al controllo, ai sensi dell’articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale;

b) servizio di polizia stradale, ai sensi dell’articolo 137 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393;  

c) funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 3 della presente legge.

2. A tal fine il prefetto conferisce al suddetto personale, previa comunicazione del sindaco, la qualità di agente di pubblica sicurezza, dopo aver accertato il possesso dei seguenti requisiti:

a) godimento dei diritti civili e politici;

b) non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione;

c) non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici.

3. Il prefetto, sentito il sindaco, dichiara la perdita della qualità di agente di pubblica sicurezza qualora accerti il venir meno di alcuno dei suddetti requisiti.

4. Nell’esercizio delle funzioni di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza, il personale di cui sopra, messo a disposizione dal sindaco, dipende operativamente dalla competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza nel rispetto di eventuali intese fra le dette autorità e il sindaco.

5. Gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza possono, previa deliberazione in tal senso del consiglio comunale, portare, senza licenza, le armi, di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché’ nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei casi di cui all’articolo 6.

6. Tali modalità e casi sono stabiliti, in via generale, con apposito regolamento approvato con decreto del Ministro dell’interno, sentita l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia. Detto regolamento stabilisce anche la tipologia, il numero delle armi in dotazione e l’accesso ai poligoni di tiro per l’addestramento al loro uso”.

Già dal tenore letterale della norma emerge che la figura dell’agente di polizia municipale cui è stata conferita la qualifica di agente di pubblica sicurezza dal Prefetto non deve necessariamente portare l’arma. Il comma 5° è stato modificato dall’art. 17 comma 134 della L. n. 127 del 15.5.1997: laddove il testo previgente disponeva «Gli addetti […] portano, senza licenza, le armi», il nuovo testo prevede che gli addetti «possono, previa deliberazione in tal senso del consiglio comunale, portare, senza licenza, le armi».

A riprova di tale assunto milita il dato testuale del comma 2 del medesimo articolo: tra i requisiti per ottenere il conferimento della qualifica di agente di P.S. da parte del prefetto non è contemplato il preventivo possesso in capo all’addetto di alcun titolo certificativo attestante la capacità di maneggio delle armi.

Milita, inoltre, il tenore dell’art. 4 della medesima legge, rubricato “Regolamento comunale del servizio di polizia municipale”, che, nel dettare il contenuto necessario del regolamento, nulla prevede in merito all’armamento del Corpo.

Ulteriore riprova di quanto sopra è proprio il provvedimento del Prefetto della Provincia di Ferrara in data 15.7.2005 (doc. 6 ric.) con il quale veniva conferita la qualità di agente di P.S. a G S pur dando atto del suo status di obiettore.

La norma, è vero, prevede nella sua vigente formulazione che sia il Comune a decidere, mediante deliberazione del Consiglio comunale, se il Corpo di polizia municipale debba dotarsi di un’arma e per quali servizi prevenderne il porto da parte degli agenti di P.S. (di cui si dirà infra), ma è da escludere un automatismo in tal senso immediatamente discendente dalla legge di fonte primaria.

7.1 Tantomeno può indurre a ritenere il contrario quanto disposto dal D.M. n. 145 del 4.3.1987, regolamento di attuazione dell’art. 5 comma 5 della legge sopra citata, del quale vengono in rilievo le seguenti norme.

– L’art. 2, dopo avere ribadito al comma 1° che i servizi per i quali gli addetti portano senza licenza le armi di cui sono dotati vengono stabiliti dal Regolamento, stabilisce al comma 3° che “Per motivi particolari di sicurezza e tenuto conto degli indici locali di criminalità, il prefetto può chiedere al sindaco che tutti gli addetti alla polizia municipale in possesso della qualità di agente di pubblica sicurezza prestino servizio armato”.

– L’art. 3 prevede che “Il numero complessivo delle armi in dotazione alla polizia municipale, con il relativo munizionamento, equivale al numero degli addetti in possesso delle qualità di agente di pubblica sicurezza […]”.

– L’art. 7 prevede che “Gli addetti alla polizia municipale di cui all’art. 1 che collaborano con le forze di polizia dello Stato ai sensi dell’art. 3 della legge 7 marzo 1986, n. 65, esplicano il servizio in uniforme ordinaria e muniti dell’arma in dotazione, salvo sia diversamente richiesto dalla competente autorità, e prestano l’assistenza legalmente richiesta dal pubblico ufficiale alle cui dipendenze sono funzionalmente assegnati”.

– L’art. 20 prevede che “Qualora non risulti determinata o determinabile l’indicazione dei servizi per i quali gli addetti alla polizia municipale di cui all’art. 1 espletano il servizio muniti di armi, essa si intende fatta per i servizi esterni di vigilanza e, comunque, per i servizi di vigilanza e protezione della casa comunale e dell’armeria del Corpo o servizio, per quelli notturni e di pronto intervento.

Ebbene, in primo luogo, le disposizioni in oggetto costituiscono fonti di normazione secondaria, e non possono prevalere sulle disposizioni di legge. In secondo luogo, esse presuppongono che il Comune abbia, appunto, deliberato l’armamento del Corpo di polizia. Peraltro, come si evince dall’art. 20 appena citato, i servizi che devono in qualche modo presumersi armati, nel silenzio o nell’ambiguità del Regolamento, sono solo quelli indicati nella norma. Il che significa, in altre parole, che i rimanenti servizi non richiedono affatto l’uso dell’arma a meno che non sia espressamente disposto dal Comune.

Considerazioni a parte vanno svolte per il caso in cui il Prefetto richieda espressamente al Sindaco il servizio armato di cui all’art. 2 comma 3 D.M. n. 145/1987, che costituisce un’ipotesi eccezionale, in quanto tale facoltà è data all’autorità provinciale di pubblica sicurezza solo “per motivi particolari di sicurezza e tenuto conto degli indici locali di criminalità”.

§ 8. La previsione della incompatibilità dello status di obiettore con l’appartenenza al Corpo di polizia locale.

Alla luce di quanto esposto sul piano normativo, si deve quindi pervenire alla conclusione che non è condivisibile l’assunto secondo cui lo status di obiettore di coscienza sia sempre incompatibile con l’appartenenza al Corpo di Polizia Locale. Lo diviene solo se lo stabilisce il Regolamento.

In altre parole, se, da un lato, non sussiste alcun automatismo per il quale l’addetto al Corpo di Polizia locale che abbia la qualifica di agente di P.S. sia tenuto a portare l’arma, dall’altro lato rientra evidentemente nella discrezionalità dell’ente locale dotarsi di un Corpo di Polizia municipale armato con obbligo per gli addetti di attenersi a quanto disposto dal Regolamento.

Tali concetti sono espressi anche nel parere 30.10.2003 del Ministero dell’Interno prodotto dalla parte ricorrente (doc. 24) secondo il quale l’effetto preclusivo della detenzione e dell’uso di armi, causato dalla obiezione di coscienza, non è motivo ostativo all’assunzione nel corpo o servizio di polizia municipale, tenuto conto del carattere eventuale ed occasionale che per la polizia municipale ha lo svolgimento dei servizi armati.

Il non automatismo è proprio il dato normativo che ha consentito al comune di assumere negli anni personale senza che venisse in discussione da un lato l’obbligo di portare l’arma e dall’altra parte l’esigenza di esprimere obiezione di coscienza in merito.

Ed è proprio attorno a questa tipologia di personale che si concentra il presente giudizio.

L’introduzione del porto continuativo dell’arma, sia in attività esterne sia in attività interne (doc. 20 ric.), e della regola della incompatibilità dello status di obiettore non può infatti essere imposto con effetti retroattivi nei confronti di detto personale il quale, per le ragioni già esposte nel paragrafo in cui si è trattato della nozione dell’obiezione di coscienza, non può essere privato del diritto di esprimersi al riguardo, stante la loro posizione in qualche modo sovrapponibile per analogia ai soggetti chiamati al servizio di leva.

In primo luogo – come si è detto – trattasi di dipendenti che nel momento genetico del rapporto di lavoro non si sono dovuti confrontare con un obbligo che all’epoca non esisteva e che ora è invece in grado di toccare, almeno potenzialmente, il nucleo profondo dei loro convincimenti etici e/o religiosi.

In secondo luogo il bilanciamento degli interessi e degli obiettivi perseguiti dal Comune attraverso la scelta di armare il Corpo e le conseguenti esigenze organizzative che ne conseguono può e deve essere contemperato con quello di tali dipendenti ad esprimersi sulle modalità di svolgimento di servizi di competenza della polizia municipale che, per scelta del legislatore primario, non risultano necessariamente connessi con il porto dell’arma.

Posta la questione in questa prospettiva, vene in rilievo la tutela invocata dalla parte ricorrente, prevista dagli artt. 2 e 3 D. Lgs. n. 216 del 9.7.2003 (Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

§ 9. Azione collettiva. I fattori di discriminazione in gioco. Discriminazione indiretta.

Il primo fattore di discriminazione va dunque all’evidenza individuato, in relazione ad entrambe le azioni, nelle “convinzioni personali” in materia di beni e valori di rango primario come il diritto alla vita ed alla salute. Il Comune, infatti, adottando il Regolamento ha di fatto imposto il porto dell’arma a tutti gli agenti, con la sola esclusione di  S, già obiettore di coscienza, senza consentire a costoro di esprimersi al riguardo.

Ulteriore fattore di discriminazione che viene in rilievo è il “genere” (ai sensi dell’art. 25 D. Lgs. n. 198 del 11 aprile 2006). Come risulta dall’attestazione fornita con la memoria autorizzata (doc. 11), è significativo il numero di dipendenti di sesso femminile che, in quanto non chiamate alla leva, non hanno avuto occasione di esprimere obiezione di coscienza in materia di porto delle armi (il numero di donne in servizio al 17.2.2022, assunte prima del 2010 presso il Corpo di Polizia Locale è complessivamente pari a 57 su 141).

Non è invece in discussione il fattore “età”, nella misura in cui il Comune ha dichiarato che nessuno dei dipendenti del CPL Terre Estensi, assunto prima del 2010, è nato dopo il 1985. La circostanza non è stata oggetto di contestazione da parte del Sindacato ricorrente, sicché ci si limita a prenderne atto. 15

Nel caso di specie trattasi di discriminazione indiretta, che si verifica “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” (analoga statuizione si rinviene nell’art. 25 D. Lgs. n. 198/2006 in materia di parità di genere).

§ 10. La posizione dell’obiettore G S. Discriminazione diretta.

La condotta discriminatoria è rinvenibile anche nei confronti di G S in relazione al suo status, per così dire “conclamato”, di obiettore di coscienza (doc. 4 ric.).

Infatti, il Regolamento all’art. 15 comma 7 prevede: “Fatta eccezione per il personale amministrativo e per il personale O.C.M. – Operatore Comunale di Mobilità, lo status di obiettore di coscienza non è compatibile con l’appartenenza al Corpo di Polizia Locale, in quanto l’ordinario servizio prevede l’uso delle armi. Il personale già in servizio, che fosse stato ammesso a prestare servizio sostitutivo civile, e che non intenda avvalersi della facoltà di rinuncia allo status di obbiettore di coscienza, sarà impiegato in servizi compatibili con tale posizione”.

L’art. 18 comma 4 stabilisce che: “Tutti i servizi esterni si svolgono con l’ausilio dell’arma in dotazione individuale. Oltre ai servizi esterni, il Comandante può individuare ulteriori servizi da svolgere con l’ausilio dell’arma in dotazione individuale”.

Il ricorrente ha però regolarmente svolto per diversi anni attività di servizio esterno senza porto dell’arma (il che costituisce ulteriore conferma di quanto osservato al punto § 7); egli è stato assunto nel Corpo in epoca in cui non era prevista l’incompatibilità, pur avendo egli già manifestato in precedenza obiezione di coscienza.

In questo caso la discriminazione è diretta, posto che il lavoratore, che svolgeva con soddisfazione mansioni di vigile di quartiere, è stato spostato con ordine di servizio n. 6 del 18.2.2021 (doc. 7 ric.) a mansioni interne (Centrale operativa) a far data dal 1.3.2021, il che ha altresì comportato la perdita dell’indennità di servizio esterno pari ad € 9,00 giornalieri (doc. 22).

§ 11. Il piano di rimozione delle discriminazioni.

Accertata dunque la natura discriminatoria diretta ed indiretta degli atti sopra menzionati, che assume rilevanza sul piano oggettivo, ed escluso che possa trovare applicazione quanto previsto dall’art. 3 comma 2 D. Lgs. n. 216/2003 alla luce delle considerazioni esposte nei paragrafi 6, 7 ed 8, si evidenzia che il 3° comma della norma costituisce lo spunto per una soluzione che cerchi di contemperare le funzioni attribuire dal Comune di Ferrara al Corpo di polizia locale e le sue legittime necessità organizzative con il diritto di obiezione di coscienza che riceve copertura costituzionale.

La disposizione prevede infatti che “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età, alla nazionalità o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.

Nel caso di specie le differenze di trattamento non sono connesse a caratteristiche intrinseche delle funzioni degli agenti di P.S. (fatta salva l’ipotesi eccezionale di cui all’art. 2 comma 3 D.M. n. 145/1987) bensì alla scelta di armamento operata dal Comune nell’esercizio della sua discrezionalità, che ha implicato un rilevante cambiamento di contesto.

La finalità dell’ente locale è legittima ma, nell’operare il cambiamento, non ha tenuto conto del principio di ragionevolezza indicato dalla norma, che implica necessariamente di considerare la posizione di coloro che siano stati assunti prima del mutamento delle regole, in un’epoca in cui l’ente non richiedeva come requisito essenziale per l’accesso al Corpo il non essere obiettore.

Deve dunque essere disposto un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, ai sensi dell’art. 28 comma 5 D. Lgs. n. 150 del 1.9.2011, che si dispone sia articolato come segue:

A – individuazione di tutto il personale femminile, con qualifica di agente di P.S., assunto in epoca in cui non era ancora richiesto nei bandi di concorso pubblico, come requisito essenziale, il non essere obiettori di coscienza (è evidente che il personale maschile assunto prima del 2010 – doc. 10 resist. – e nato prima del 1985 ha già avuto occasione di esprimersi al riguardo in occasione della chiamata alla leva, mentre non risultano in servizio dipendenti uomini più giovani assunti prima del 2010);

B – acquisizione, per una sola volta, delle eventuali dichiarazioni di obiezioni di coscienza espresse dal predetto personale, da raccogliersi per iscritto entro il termine di mesi tre (3) dalla comunicazione del presente provvedimento;

C – adibizione delle dipendenti che abbiano espresso obiezione di coscienza a tutti i servizi nessuno escluso, anche esterni, senza obbligo di porto dell’arma, entro mesi quattro (4);

D – riadibizione dell’assistente scelto G S alle mansioni svolte prima dell’ordine di servizio n. 6 del 18.2.2021 e, comunque, in servizio esterno, senza obbligo di porto d’arma entro mesi uno (1) dalla comunicazione del provvedimento;

E – con la precisazione che, nell’ipotesi in cui il Prefetto richieda al Sindaco ex art. 2 comma 3 D.M. n. 145/1987, “per motivi particolari” e “tenuto conto degli indici locali di criminalità”, la prestazione del servizio armato, siano adibiti a detto servizio solo gli agenti di P.S. che non abbiano espresso obiezione di coscienza.

§ 12. Il risarcimento del danno.

Secondo quanto previsto dall’art. 28 L. n. 150/2011, con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale.

Con riferimento all’azione collettiva del Sindacato, si richiama la Suprema Corte a SS. UU. che ha espresso il principio secondo cui “Nelle controversie in materia di discriminazione proponibili con il procedimento ex art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, è ammissibile, ai sensi del comma 5 del predetto articolo, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, il quale, allorché sia riconosciuto a favore di un sindacato che abbia agito “iure proprio” a tutela di interessi omogenei individuali di rilevanza generale, si caratterizza per una funzione “dissuasiva”, che esula dai cd. “danni punitivi”, soprattutto se si consideri che la discriminazione collettiva rileva anche in assenza di un soggetto immediatamente identificabile” (Cass. Sez. U -, Sentenza n. 20819 del 21/07/2021, Rv. 661868 – 03).

Si ritiene pertanto congrua ed equa la quantificazione del risarcimento in favore del Sindacato ricorrente nella somma di € 5.000,00; infatti, se, da un lato, l’O.S. aveva in più occasioni, ma inutilmente, sollecitato l’ente a riconsiderare le problematiche connesse alla obiezione di coscienza, coinvolgenti un significativo numero di dipendenti, dall’altro lato, la complessità in diritto del caso in esame rendere sproporzionata la somma richiesta dalla parte ricorrente (pari a ventimila euro).

Quanto al ricorrente  S, il danno va quantificato nell’indennità di servizio esterno pari ad € 9,00 die a far data della mensilità di aprile 2021 (a marzo l’indennità gli è stata riconosciuta) sino all’effettivo reintegro nelle mansioni in servizio esterno.

Deve infine essere disposta la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a tiratura nazionale che viene individuato nel Resto del Carlino.

§ 13. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri medi stabiliti dal D.M. n. 55/2014 previsti per i procedimenti cautelari, tenuto conto della difficoltà e del valore indeterminabile dell’affare.

P.Q.M.

visto l’art. 28 L. n. 150/2011

1) accerta e dichiara il carattere discriminatorio della condotta del Comune di Ferrara consistito

nel mancato riconoscimento alle agenti di P.S appartenenti al Corpo di Polizia Locale “Terre Estensi”, assunte in epoca (anteriore al 2010) in cui l’obiezione di coscienza non costituiva requisito essenziale per l’accesso al Corpo, del diritto di esprimere l’obiezione di coscienza al porto ed all’uso delle armi;

– nell’ordine di servizio n. 6/21 del 18.2.2021 con il quale  S G è stato rimosso dalle precedenti mansioni in servizio esterno;

2) dispone un piano di rimozione delle discriminazioni nei termini di cui in parte motiva, come da paragrafo § 11;

3) condanna il Comune di Ferrara al risarcimento del danno nei confronti dei ricorrenti, quantificato:

in € 5.000 in favore dell’O.S. FP-CGIL FEDERAZIONE LAVORATORI DELLA FUNZIONE PUBBLICA TERRITORIALE DI FERRARA;

in € 9,00 die, a far data della mensilità di aprile 2021 sino all’effettivo reintegro nelle mansioni in servizio esterno, in favore di  S G.

Condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite della parte convenuta, liquidate in complessivi € 6.749,00 oltre al 15% sul compenso per le spese forfettarie ed oltre ad e 259,00 per contributo unificato ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge; dispone la distrazione delle spese in favore delle avvocate Marina Capponi e Sibilla Santoni, dichiaratesi antistatarie.

Ordina la pubblicazione del dispositivo della presente ordinanza, per una sola volta ed a spese della parte convenuta, sul quotidiano “Il Resto del Carlino”.

Si comunichi.

Ferrara, 15/04/2022

IL GIUDICE

Alessandra De Curtis