Discriminazione lavoratori a tempo determinato, insussistenza discriminazione. Corte d’Appello Torino, sentenza del 15 aprile 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI TORINO

SEZIONE LAVORO

Composta da:

Dott Giancarlo Girolami   Presidente

Dott.ssa Rita Sanlorenzo   Consigliere

Dott. Federico Grillo Pasquarelli  Consigliere Rel

 

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa di lavoro iscritta al n.ro    823/2013  R.G.L.

promossa da:

M.M. G., c.f. MRNMGS60L02L049F, rappresentato e difeso dall’avv. Lucia Monacis e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Torino, via Magenta n. 36, come da procura a margine del ricorso di primo grado

APPELLANTE

CONTRO

ASL TO3 di Collegno e Pinerolo, c.f.  09735650013, in persona del Direttore Generale pro tempore dott. G C, rappresentata e difesa dall’avv. Adelaide Piterà in forza di deliberazione del Direttore Generale n. 3059 del 14.11.2013 ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Torino, piazza Statuto n. 9, per procura in calce alla memoria di costituzione in appello

APPELLATA

Oggetto: Pagamento somma.

CONCLUSIONI

Per l’appellante: come da ricorso depositato il 18.8.2013

Per l’appellata: come da memoria depositata il 7.3.2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Torino M. M. G. conveniva in giudizio l’ASL TO3 esponendo di avere prestato servizio presso l’ex ASL 10 (poi confluita nell’ASL TO3) con contratti a tempo determinato dall’8.5.1995 al 7.1.1996 e dal 22.1.1996 al 29.4.1997, in qualità di Dirigente Veterinario I livello; di prestare attualmente servizio presso l’ASL TO3 con contratto a tempo indeterminato dal 19.9.1997 in qualità di Dirigente Veterinario di Area A; lamentava che i periodi di lavoro con rapporto a tempo determinato non fossero mai stati conteggiati dalla convenuta ai fini della liquidazione dell’indennità di esclusività prevista dal CCNL Dirigenti Medici e Veterinari e deduceva la violazione del principio di non discriminazione fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE; chiedeva pertanto la condanna dell’ASL TO3 al pagamento delle differenze retributive maturate a titolo di indennità di esclusività, pari ad euro 283,82 mensili per il periodo dal 19.10.2010 alla pronuncia della sentenza ed al pagamento, per il periodo successivo, dell’indennità di esclusività nella misura prevista per il dirigente con anzianità superiore a 15 anni.

Costituendosi in giudizio, l’ASL TO3 contestava il fondamento della domanda, chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 12.3.2013 il Tribunale adito respingeva il ricorso.

Avverso detta sentenza proponeva appello il dott. M, con ricorso depositato il 18.7.2013, chiedendone la riforma.

L’appellata, costituitasi, resisteva al gravame.

All’udienza del 15.4.2014 la causa veniva discussa oralmente e decisa come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:

  • ancorché i rapporti di lavoro di cui si chiede la rilevanza ai fini del computo dell’indennità di esclusività siano cessati nel 1997, la direttiva 1999/70/CE è applicabile, tenuto conto che il diritto rivendicato (inclusione nell’anzianità di servizio dei 23 mesi di lavoro prestato con rapporti a termine), sorge solo a seguito della stipula del CCNL 6.2000, il quale ha disciplinato i requisiti di anzianità dell’indennità di esclusività;
  • la domanda è peraltro infondata sotto un altro profilo: il principio di non discriminazione non può essere applicato nella specie poiché le norme contrattuali (art. 5 e 12 CCNL 1998/2001) stabiliscono che ai fini del calcolo dell’indennità di esclusività occorre calcolare l’anzianità complessiva, con rapporto di lavoro a tempo determinato ed indeterminato, maturata senza soluzione di continuità;
  • le norme contrattuali, quindi, non discriminano il lavoratore a termine privandolo del diritto di considerare il lavoro prestato ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio ed anzi, al contrario, lo equiparano in pieno al lavoratore a tempo indeterminato;
  • le parti collettive hanno ulteriormente ribadito il chiaro significato della clausola contrattuale in sede di interpretazione autentica, precisando che ai fini del computo dell’esperienza professionale per la corresponsione dell’indennità di esclusività viene considerata valida solo quella maturata quale dirigente del SSN senza soluzione di continuità;
  • se anche il ricorrente avesse lavorato con contratto a tempo indeterminato nei periodi in cui ha lavorato a termine, avendo egli risolto il rapporto di lavoro presentando le dimissioni a decorrere dal 30.4.1997, non avrebbe avuto diritto al computo dell’anzianità di servizio come richiesta in ricorso, il che rende palese l’insussistenza in concreto della dedotta discriminazione;
  • se è vero, in generale, che i lavoratori a tempo determinato sono più esposti al rischio di rendere prestazioni lavorative con intervalli non lavorati, tuttavia il ricorrente avrebbe dovuto quantomeno allegare dati statistici che dimostrassero come nei fatti il criterio della continuità della prestazione costituisca una discriminazione dei lavoratori precari, e non limitarsi a lamentare la contrarietà del precetto contrattuale al principio di non discriminazione, poiché ciò è in contrasto con la lettera della norma che non solo non discrimina, ma anzi equipara.

Il dott. M censura la sentenza impugnata deducendo che le disposizioni del CCNL che subordinano il riconoscimento dell’anzianità di servizio allo svolgimento di attività lavorativa “senza soluzione di continuità” integrano un’ipotesi di discriminazione indiretta, atteso che l’assenza di interruzioni nel rapporto di lavoro rappresenta una qualità del rapporto medesimo che inerisce alla struttura stessa del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma che non caratterizza affatto la struttura del rapporto di lavoro a tempo determinato essendo, al contrario, l’eventualità che vi sia una successione di contratti intervallati da pause intimamente connaturata al fatto che sia stato apposto un termine al contratto di lavoro; secondo l’appellante, la natura discriminatoria delle clausole contrattuali dipenderebbe, quindi, da elementi normativi, e non da circostanze di fatto che il dott. M avrebbe dovuto allegare, sicché non avrebbe pregio l’osservazione del primo Giudice sulla mancata allegazione di dati statistici che dimostrassero la discriminazione dei lavoratori precari; la Corte dovrebbe, quindi, disapplicare le disposizioni del contratto collettivo contrastanti con la direttiva 1999/70/CE, ed affermare il diritto del dott. M al pieno e integrale riconoscimento dei periodi di lavoro a tempo determinato ai fini del computo dell’anzianità necessaria per l’attribuzione dell’indennità di esclusività.

Preliminarmente, l’ASL TO3 ripropone, ex art. 346 c.p.c., l’eccezione formulata in primo grado (v. memoria di costituzione, pagg. 5 e ss.) e respinta dal primo Giudice, di inapplicabilità della direttiva 1999/70/CE ratione temporis.

L’eccezione è fondata.

Gli obiettivi dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE, erano testualmente i seguenti (clausola 1) :

“a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

  1. b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.

Il primo obiettivo non può che riferirsi a situazioni future, non potendo l’Accordo pretendere di “migliorare” la qualità di rapporti di lavoro cessati prima dell’entrata in vigore della Direttiva, ed il secondo obiettivo (“creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi …”) ha un’evidente funzione dissuasiva di futuri comportamenti datoriali abusivi, com’è confermato dalla clausola 4, il cui 2° comma prospetta espressamente un’applicazione “pro rata temporis” del principio di non discriminazione dettato dal 1° comma (“Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”).

Dunque, i contratti a tempo determinato intercorsi tra il dott. M e l’ex ASL 10 dall’8.5.1995 al 7.1.1996 e dal 22.1.1996 al 29.4.1997 sono fuori del campo di applicazione della Direttiva 1999/70/CE, che non può trovare applicazione in relazione a rapporti conclusi prima della sua entrata in vigore, non potendo evidentemente la Direttiva “migliorare” la qualità di tali rapporti di lavoro, né potendo essa esercitare alcuna funzione dissuasiva rispetto ad un eventuale abuso datoriale nella stipulazione di contratti a tempo determinato già cessati prima del 1999.

É vero, come ha osservato il Tribunale, che il diritto rivendicato dal dott. M. (inclusione nell’anzianità di servizio dei 23 mesi di lavoro prestato con rapporti a termine), trova la sua fonte normativa nel CCNL 8.6.2000, il quale ha disciplinato i requisiti di anzianità dell’indennità di esclusività, e che è successivo all’entrata in vigore della Direttiva 1999/70/CE, ma quel che rileva nella fattispecie – ossia l’anzianità di servizio maturata dall’appellante nei due contratti a termine anteriore al 1999 – è un fatto oggettivo, basato sulla durata del rapporto di lavoro, che si è storicamente verificato prima dell’intervento del legislatore comunitario volto a parificare il trattamento dei lavoratori a tempo determinato con quello dei lavoratori a tempo indeterminato.

Riconoscere oggi al dott. M, ai fini del diritto all’indennità di esclusività, l’anzianità di servizio maturata nei rapporti di lavoro a termine anteriori al 1999 significherebbe “migliorare” le sue condizioni di impiego in quei rapporti ormai cessati: obiettivo, questo, che la Direttiva non solo non si prefiggeva, ma nemmeno poteva perseguire.

L’appello deve pertanto essere respinto in radice, per impossibilità di applicare il principio di non discriminazione di cui alla Direttiva 1999/70/CE ai rapporti di lavoro a termine dedotti in giudizio.

La peculiarità della fattispecie e la novità della questione costituiscono ragioni sufficienti per compensare le spese del presente grado.

P.Q.M

Visto l’art. 437 c.p.c.,

respinge l’appello;

compensa le spese del grado;

così deciso all’udienza del 15.4.2014