Discriminazione razziale, mancata concessione pensione di inabilità al cittadino extracomunitario, Corte di Cassazione, sentenza del 18 maggio 2011.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, BIONDI GIOVANNA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. MARCORA, 18/20, presso lo studio dell’avvocato UFFICIO LEGALE CENTRALE DEL PATRONATO A.C.L.I., rappresentato e difeso dall’avvocato FAGGIANI GUIDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

REGIONE PIEMONTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

 

avverso la sentenza n. 1261/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/02/2008, R.G.N. 517/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/05/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato PULLI CELEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. Con la sentenza n. 1261/07, la Corte d’Appello di Torino rigettava l’impugnazione proposta dall’INPS, nei confronti di T. M., nonchè nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e della Regione Piemonte, in ordine alla sentenza emessa il 7/9 marzo 2007 dal Tribunale di Torino.
  2. Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso proposto dal T., condannando l’INPS a corrispondere allo stesso la pensione di inabilità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 dall’aprile 2004 al 31 dicembre 2005. 3. Ricorre, nei confronti di T.M., il Ministero dell’economia e delle finanze, nonchè la Regione Piemonte, per la cassazione della suddetta sentenza l’INPS, prospettando un motivo di ricorso.
  3. Resiste il T. con controricorso.
  4. Non si sono costituiti il suddetto Ministero e la Regione Piemonte.

Motivi della decisione

  1. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS deduce il vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, prospettato con riguardo alla L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, e alla L. n. 118 del 1971, art. 12. 1.1. Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se il cittadino marocchino in possesso del permesso di soggiorno ma non della carta di soggiorno possa ottenere le prestazioni di cui alla L. n. 118 del 1971. 1.2. L’INPS ricorda che il richiamato art. 80, comma 19, ha modificato la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41 distinguendo le provvidenze e prestazioni di assistenza sociale, alle quali lo straniero può accedere, in ragione della titolarità da parte dello stesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno.

Nel primo caso lo straniero può accedere alle provvidenze economiche in favore dei minorati civili, mentre nella seconda ipotesi vi è solo il godimento delle altre prestazioni e servizi sociali.

Ciò, ad avviso del ricorrente rinviene la propria ratio nella diversa natura dei suddetti titoli attestanti la regolarità del soggiorno, ed in particolare, nella circostanza che il rilascio della carta di soggiorno è subordinato alla condizione che il richiedente dimostri di avere i necessari mezzi di sostentamento.

Non condivisibile ad avviso del suddetto Istituto è il ritenuto contrasto tra il citato art. 80, comma 19, e l’art. 41 dell’accordo di cooperazione tra la CEE e il Regno del Marocco recepito dal Regolamento CEE del 26 settembre 1978 n. 2211/78, recante “Regolamento del Consiglio relativo alla conclusione dell’accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco” come ritenuto dalla Corte d’Appello.

Tale ultima disposizione, infatti, disciplina le prestazioni di natura previdenziale, ovvero le prestazioni connesse all’attività lavorativa dei soggetti interessati, e non le prestazioni di invalidità civile. Nè è operabile una comparazione con la nozione di sicurezza sociale contenuta nel Regolamento CEE 14 giugno 1971, n 1408/71, recante “Regolamento del Consiglio relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità”, come operato dalla Corte d’Appello, poichè i regolamenti della Comunità europea non riguardano i rapporti fra uno Stato europeo ed uno Stato extra europeo.

  1. E’ preliminare un breve riepilogo del quadro normativo e di quello giurisprudenziale di riferimento, quest’ultimo caratterizzato dall’intervento di diverse pronunce della Corte costituzionale.

2.1. Con la sentenza n, 11 del 2009, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, comma 1, – come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 9, comma 1, e poi sostituito dal D.Lgs. n. 3 del 2007, art. 1, comma 1 nella parte in cui escludono che la pensione di inabilità, di cui alla L. n. 119 del 2007, art. 12 possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perchè essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del D.Lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Con la sentenza n. 187 del 2010, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 39, nella parte in cui lo stesso subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 80, comma 39, ritenendo dirimenti gli approdi ermeneutici, cui la CEDU è pervenuta nel ricostruire la portata del principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della Convenzione, sottolineando che, se anche quest’ultima non sancisce un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non potrà sottrarsi al giudizio di compatibilità con le norme della Convenzione e, in particolare, con l’art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori.

Già prima, tuttavia, occorre ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 306 del 2008, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, comma 1, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 9, comma 1, e poi sostituito dal D.Lgs. n. 3 del 2007, art. 1, comma 1, – nella parte in cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1 possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perchè essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del D.Lgs. n. 3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

2.2. Come si è accennato la disciplina di riferimento è costituita dalla L. n. 118 del 1971, art. 12 dalla L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, nonchè dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9.

La L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, su quale sono intervenute le suddette pronunce del Giudice delle Leggi, che concorrono a determinarne il contenuto precettivo, stabilisce, per quanto qui interessa, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 41 l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l’equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.

Incidendo sulle condizioni per il conseguimento delle provvidenze assistenziali, il comma 19, ha limitato la cerchia degli aventi diritto alla pensione di invalidità, quanto ai cittadini extracomunitari, a coloro che siano in possesso della carta di soggiorno (si v., ora, permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per effetto del D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1, comma 1 “Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo”), il cui rilascio presuppone, fra l’altro, il regolare soggiorno nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, secondo l’originaria previsione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 periodo elevato a sei anni, a seguito delle modifiche apportate al citato L. n. 189 del 2002, art. 9 e rideterminato in cinque anni, con la disciplina del medesimo, ex D.Lgs. n. 3 del 2007, art. 9. 2.3.Tanto premesso, ritiene questa Corte che è corretta ed adeguata la motivazione della Corte d’Appello, che ha disatteso le censure proposte avverso al sentenza di primo grado, condividendone il percorso argomentativo, come di seguito riportato, in ragione del quale il Tribunale di Torino ha disapplicato, nel caso concreto, la L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19 con il conseguente riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità in favore del T.:

il T. era in possesso dei requisiti sanitari, risiedeva in (OMISSIS) e aveva lavorato dall’aprile 2004;

la L. n. 388 del 2000 aveva ristretto l’equiparazione, ai cittadini italiani, dei soli cittadini stranieri titolari di carta di soggiorno;

una corretta applicazione del diritto comunitario comportava la disapplicazione della norma interna che violava il diritto comunitario medesimo, che era immediatamente applicabile dal giudice;

l’art. 41 dell’accordo di cooperazione tra la Comunità europea ed il Regno del Marocco firmato il 27 aprile 1976 e recepito con regolamento CEE n. 2211/78 prevede che i lavoratori cittadini marocchini godano, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall’assenza di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli stati membri nei quali essi sono occupati;

la Corte di Giustizia con sentenza del 31 gennaio 1991 ribadiva la diretta efficacia del suddetto art. 41;

il ricorrente era titolare di una posizione contributiva legata a diversi periodi lavorativi sia come lavoratore dipendente, sia come lavoratore autonomo, essendo anche iscritto alla camera d commercio come titolare di ditta individuale;

la pensione richiesta, nell’ordinamento italiano costituisce prestazione assistenziale e non previdenziale, ma non vi è sovrapposizione tra il concetto comunitario di sicurezza sociale e quello nazionale di previdenza sociale;

il concetto comunitario di sicurezza sociale deve essere valutato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria per cui deve essere considerata previdenziale una prestazione “attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e riferita ad uno dei rischi elencati nell’art. 4, n. 1, del Regolamento n. 1408/71”, dove sono incluse le prestazioni di invalidità.

In ragione di ciò, il Tribunale perveniva alla conclusione, condivisa dalla Corte d’Appello, nel rigettare l’impugnazione dell’INPS, che, nella fattispecie in esame, la previsione del citato art. 80, comma 19, contrastava con il principio di non discriminazione stabilito dal suddetto accordo di cooperazione, in quanto basata esclusivamente sulla cittadinanza, e quindi doveva esser disapplicato della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, con il conseguente accoglimento della domanda del T., in presenza degli altri requisiti di legge.

2.4. Si osserva che con Regolamento CEE del 26 settembre 1978, n. 2211/78, si approvava, a norma della Comunità, l’accordo di cooperazione tra la Comunità economica europea ed il Regno del Marocco, stabilendo che lo stesso era obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri (art. 3).

L’accordo, all’art. 41, stabiliva che i lavoratori di cittadinanza marocchina ed i loro familiari conviventi godevano, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall’assenza di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto a cittadini degli Stati membri nei quali sono occupati.

La Corte di Giustizia con la sentenza Kziber, resa il 31 gennaio 1991, ha ritenuto l’applicazione diretta dell’art. 41 (punti 21, 22 e 23), affermando, peraltro che quest’ultimo opera nel settore della sicurezza sociale.

Lo stesso accordo, al punto 24, chiarisce la nozione di sicurezza sociale richiamando il Regolamento CEE del 14 giugno 1971, n. 1408 e affermando che all’art. 4, n. 1 sono elencati i settori della sicurezza sociale.

Il suddetto art. 4, n. 1, indica, in tale ambito della sicurezza sociale, le prestazioni di invalidità, comprese quelle dirette a conservare o migliorare le capacità di guadagno (punto 1, lettera b).

2.5. La Corte d’Appello, quindi, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, nell’esercizio dei compiti ad essa attribuiti dagli artt. 169 e 177 del Trattato del 25 marzo 1957, reso esecutivo con L. 14 ottobre 1957, n. 1203 (cfr., su tale profilo, Cass., sentenza n. 26897 del 2009).

  1. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
  2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del T., con attribuzione al procuratore dichiaratosi antistatario.

Nulla spese per il Ministero dell’economia e delle finanze e per la Regione Piemonte, non costituiti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’INPS al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 2000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Nulla spese per il Ministero dell’economia e delle finanze e per la Regione Piemonte.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011