Molestie, Discriminazione razziale, Tribunale di Milano, ordinanza del 24.01.2020

TRIBUNALE  ORDINARIO di MILANO

Sezione Lavoro CIVILE

Il Giudice dott.ssa Sara Manuela Moglia,

sciogliendo la riserva assunta all’esito dell’udienza in data 20 gennaio 2020,, così provvede:

ORDINANZA.

 

Con  ricorso  promosso ai  sensi  degli  artt. 44  Dlgs 286/98  e 4  Dlgs 215/03, i signori X , Z e  Y  si  sono rivolti al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro e, denunciando il carattere discriminatorio dei comportamenti meglio descritti nel proprio atto, hanno domandato:

l’accertamento di quanto dedotto e l’addebitabilità delle condotte sia alla società  V  sia  al  convenuto    M ;

l’ordine  di  immediata cessazione di quanto lamentato e l’adozione di provvedimenti volti alla rimozione degli effetti, il risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa.

A tal fine hanno dedotto:

-di  essere  dipendenti  della società  V ,  impiegati,  a  diverso  titolo  e con diverse   mansioni,  presso  il                    situato   all’interno  della Stazione  Centrale  di Milano

dopo  un  periodo  di  tirocinio, 1’8 dicembre      X  2018 è stato assunto con contratto di apprendistato di 36 mesi ed assegnato al reparto denominato  “bottega”;   Y,  anch’ella   apprendista   dal   1   luglio 2017,  svolge mansioni di cameriera;·    Z prima tirocinante  dal mese  di novembre  2017  è poi divenuto apprendista dal 15 maggio 2018 con qualifica e mansioni di apprendista pizzaiolo).

A tal fine hanno dedotto:

-di essere vittime di comportamenti discriminatori a motivo della loro razza (si tratta  di  cittadini  di  origine  africana  e  di colore);  X  ha  lamentato  di  essere  stato insultato da-                               _ _(responsabile del reparto bottega) e da …. che lo avrebbe anche picchiato unitamente a-……., ha  riferito  di  insulti  da   parte  di    …. della collega         ….  e del diniego, da parte dei cuochi, di  servirle  il  pranzo, ancora  di  trattamenti  diversi  da  parte  del  sig. M (coordinatore   dei  camerieri)   nella   distribuzione  dei  compiti quotidiani.

Si   è   costituita   la  società     V  che,   in   via   preliminare,   ha  eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto non preceduto  dal  tentativo  di conciliazione; nel merito, quanto agli insulti ed alle botte, ha respinto ogni accusa contestando la veridicità degli assunti avversari; quanto all’episodio del 26 gennaio 2019, ha preso le distanze individuando nei signori ….. e M   gli unici responsabili.

Si è costituito anche il sig.   M , che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva a suo dire assente per totale insussistenza di condotte discriminatorie che, avuto riguardo agli insulti e percosse, neppure si sarebbero realizzate, mentre quanto all’episodio del 26 gennaio 2019, sarebbe avvenuto in un contesto giocoso e goliardico.

Dopo l’escussione dei testi ammessi, all’udienza del 20 gennaio 2020 si è svolta la discussione.

*****

Il ricorso può essere accolto, ma nei limiti e per le ragioni di seguito  illustrate.

Come anticipato, i ricorrenti hanno lamentato di essere stati vittima di reiterate condotte, sia verbali che fisiche, poste in essere con finalità discriminatorie a ragione della loro etnia.

L’istruttoria  svolta ha dato conferma delle espressioni  verbali  ai danni dei ricorrenti  X  e     Z ; al contrario,  le offese verso  la ricorrente   Y e le percosse  non hanno avuto riscontro probatorio.

Il teste-                                          (dipendente di       _                dal  febbraio  al  novembre  2017 quale  addetto  al  take  way)  ha  confermato  che  il sig.   M  era  solito chiamare i ragazzi di colore con l’appellativo “Africani di merda”. Ha aggiunto  che  lo stesso  era anche uso  offendere  tutti  nel  senso  che,  per  ciascuno,  trovava  l’epiteto  più  congeniale.

Il Teste                               (dipendente della società dal dicembre 2017 per  circa un anno e mezzo quale addetto al reparto bottega) ha confermato di    aver sentito dire a               X   e frasi oggetto del punto 17 del ricorso (“negro di    merda”, “sei brutto come  la morte” “ti  rimando  in Africa”  ) e, nei confronti               Z            , le frasi  indicate al punto 31 (“negro di merda”, “Perché siete venuti in Italia” “ti  rimando  in  Africa” “devo comperare il deodorante per  voi”).

Ha escluso, invece , l’espressione “morto di fame”.

……( direttore del ristorante dal 2011  al novembre  2018) ha riferito di non aver sentito   M  proferire  le espressioni  addebitategli, né di aver  assistito alle percosse ai danni di Y

……… (tuttora dipendenti  della società) nulla hanno visto né  sentito.

…. ha raccontato  di non aver mai  sentito offendere   X  e Z riportando solo di una sua abitudine a dare nomignoli  a tutti.  Ha  riferito  di non aver mai visto gesti violenti verso i   dipendenti.

A fronte del racconto reso dai testi …….. che hanno confermato le offese verbali, le altre deposizioni, pur non in linea con le deduzioni di parte ricorrente, non offrono una prova  positiva che sconfessi quanto  denunciato.

Le stesse non sono la dimostrazione che le offese denunciate non vi sono state, ma si sostanziano in un contributo neutro e, come tale, inidoneo sia a  dimostrare  la sussistenza di  un fatto sia a negarne  l’esistenza.

Il fatto di  non aver  visto né sentito     M proferire  le frasi o tenere  le condotte denunciate non vale quale prova dell’insussistenza delle allegazioni, quanto come esclusione che le frasi ed i gesti siano avvenuti sotto la percezione dei testi.

La prova positiva può essere,  invece,  come detto,  ricavata dalla deposizione  dei testi.

Nulla esclude che, in un momento diverso, vuoi per assenza del teste o per sua distrazione, certi fatti possano  essere  accaduti.

Con  riguardo  al  primo va precisato  che  lo stesso  ha riferito  di un’abitudine  del sig. M;  ad appellare in tal modo i dipendenti  di colore.

La  sua  deposizione  vale,  quindi,  a  corroborare  quella del teste                  in quanto dimostra   quale  fosse   il  disprezzo   che  il   sig. -M avesse   nei  confronti  dei lavoratori  di colore.

Le loro deposizioni  paiono sincere e genuine e, come tali,  attendibili.

Il  loro  rapporto  di  lavoro,  diversamente   dalla  situazione  degli  altri  testi    (eccetto uno) è cessato; i medesimi non risultano  aver ragioni  di credito  verso la società o altri motivi di astio e ciò neppure  verso la società.

Il teste        _   , _ ha inteso escludere, tra la gamma degli epiteti,  l’espressione   ”morto di fame” dimostrando così di non essersi limitato  a  confermare  quanto  gli  veniva letto, ma di aver vagliato i singoli appellativi, confermando solo quelli sentiti senza alcuna volontà di  infierire.

Quanto a   …., la sua attuale  posizione  di  ex dipendente  lo sottrae  da sospetti di possibile compiacenza, ma anche per lo stesso, si ritiene, valga  il  giudizio  già  più sopra espresso ovvero che il non aver sentito non esclude la sussistenza di  fatti  accaduti, ma non  percepiti.

Quanto sopra detto vale, seppur limitatamente alle offese verbali, per le condotte denunciate dai ricorrenti

I testi escussi non hanno, invece, confermato né le violenze né le allegazioni della ricorrente.

Quest’ultima  ha  lamentato  che   il sig.  M,  rivolgendosi  a- , avesse proferito la frase: “come fai a far lavorare una ragazza così brutta?”, l’espressione è  stata  smentita dal teste   …..   e  confermata dal teste ….ma rispetto alla stessa non paiono, tuttavia, esservi profili discriminatori, ma semmai  un  mero  giudizio estetico. Né dal contesto, come ha preteso fare la difesa, possono ricavarsi elementi in tal senso.

Ugualmente   …ha  escluso  che la  signora…si  fosse  lamentata  di una pacca sulla schiena datale da M
Nessuno dei testi ha confermato il rifiuto dei cuochi di preparare un piatto  alla  predetta o di aver sentito proferire frasi del tipo “sei una negretta di merda,  non ti  posso fare da mangiare” o trattamenti  diversi  nell’assegnazione  dei  compiti  quotidiani seguii dall’espressione “non ti do il pass cucina per non farti mettere le tue dite nere sul cibo”

Il teste….. però ha precisato che la richiesta era stata fatta quando ancora il locale era aperto e i pizzaioli intenti a evadere gli  ordini.

Solo il teste  …. ha raccontato che, in un’occasione,  la ricorrente,  che  aveva chiesto ai pizzaioli una pizza, fu fatta attendere così tanto tempo che alla fine decise di rinunciare al piatto.

Quanto,  infine,  al litigio  con  la collega chiamata       …..,  il fatto è acclarato, ma nessuno dei testi ha potuto riferire quale sia stata la ragione dell’alterco  né se, nel corso dello stesso, siano state proferite, ai danni della  ricorrente,  frasi razziste quali “africana di merda..”.

Al litigio, invero, hanno preso parte solo le due contendenti  senza testimoni  oculari.

Nessuna  importanza  può  avere  l’episodio  riferito   dal  teste       ,   (ovvero quando avrebbe  fatto  cadere la signora…) in quanto  non  oggetto  di allegazione di parte.

Per  contro,  seppur  sempre  con  riferimento ai ricorrenti   X e Z ,  il video prodotto in atti risulta sufficientemente eloquente ed esplicativo di quanto accaduto il 26 gennaio 2019,.

Nelle immagini,  si  vede il sig.  M       che, con in  mano  un deodorante,  chiama al suo cospetto, uno per volta, tre dipendenti, due dei quali gli odierni ricorrenti, ordina loro di alzare la maglietta e di alzare le braccia, spruzza sotto le ascelle e sul corpo il prodotto e poi se ne va.

Al secondo, (ovvero a    …) chiede anche se in casa  non  hanno  il deodorante  e gli impedisce di potersi coprire e sottrarre alla ripresa con una cassetta di plastica che gli impone di depositare.

L’improvvisato cameramen (ovvero il sig….. ), prima di terminare la ripresa,   dice:”Oh Oh disinfestazione”.

Questi i fatti.

In diritto, i ricorrenti invocano il dlgs 215/2003 sia per quanto concerne la qualificazione delle condotte tenute (a loro dire sussumibili nel concetto di molestie) che per quanto riguarda la tutela applicabile.

L’art. 2 dlgs 215/2003 “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) recita:

“1. Ai .fini del presente decreto, per principio di parita’ di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, cosi’ come di seguito  de finite:

a)discriminazione diretta quando, per la razza o l’origine etnica, una persona e’ trattata meno favorevolmente di  quanto  sia,  sia  stata  o  sarebbe  trattata   un’altra  in  situazione     analoga;

b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, 1111 atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle di.\posizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, 286, di seguito denominato: «testo unico».

  1. Sono, altresi’, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e ( offensivo “.

Confrontando il dettato normativo con le risultanze probatorie raccolte, ritiene questo giudice  che,  quantomeno  nei  confronti dei ricorrenti-     X   e Z    ,  le condotte tenute dal sig. M  integrino appieno le molestie di cui al citato art. 2, comma   3.

Gli appellativi utilizzati (chiaramente riferiti alla razza e che accostano all’etnia vari generi di offese) costituiscono, senza dubbio, comportamenti sgraditi, offensivi e umilianti.

E’ sufficiente invocare il comune sentire, la  comune  sensibilità  per  comprendere  come appellativi quali “negro di merda”, “ti rimando in Africa” realizzino forme di offesa verso persone appartenenti ad altra etnia ed  esprimano  non  solo  disprezzo  verso   la   razza   (‘”negro   di   merda”),    ma    un   sentimento    del   tutto    contrario all’accoglienza dello straniero anzi espressivo di un atteggiamento di rifiuto (“ti rimando in Africa”) che, senza dubbio, ha contribuito a creare un clima di ostilità nell’ambiente lavorativo.

Certamente umiliante è poi l’episodio avvenuto il 26 gennaio 2019.  I fatti sono chiari e comprovati dalle riprese.

Al contrario, non vi è prova dello spirito goliardico   che, a dire del sig-M,  ha animato il gesto, né si comprende l’attinenza  con un’asserita discussione  tra tifoserie, di cui, comunque, non vi è prova idonea.

Le immagini, ma anche il sonoro ritraggono e mostrano  il sig.  M che, con fare e modi assolutamente poco cortesi, chiama al suo cospetto, uno alla volta, i tre  dipendenti di colore e li sottopone ad un trattamento umiliante e degradante.

Non si limita ad un gesto, già di per sé censurabile, ovvero quello di spruzzare loro il deodorante, ma ordina di alzare la maglietta e le braccia in un crescendo di atteggiamenti e richieste sempre più offensive.

Al  sig.  che, per pudore,  vistosi  ripreso,  aveva  cercato di  schermarsi  con  una  cassetta, ha ordinato,  in  maniera  ancora  una volta  poco  carina,  di  abbassare  il riparo  in modo che la scena potesse essere ripresa nella sua totalità e l’umiliazione essere registrata,  cristallizzata e,  come  poi  è  avvenuto, divulgata.

Che il deprecabile gesto abbia, anche in questo caso, avuto intenti razzisti è evidente dal  fatto  che,  benchè  fossero  al  lavoro  anche  altri  dipendenti,  il sig.  M ha chiamato a rassegna solo i tre di colore; a loro si è rivolto chiedendo se  a  casa tenessero il deodorante; a loro ha chiesto perché non se lo mettessero.

Va poi escluso che l’episodio sia avvenuto in un contesto di  gioco.

Il  teste….. ha  raccontato  che,   quel  giorno,     M    lo  mandò  a  prendere  il deodorante, prima lo utilizzò per sé e poi lo spruzzò sui ragazzi.

La circostanza comprova poco; evidente è la differenza tra un gesto personale e volontario, quale è quello fatto su se stesso rispetto ad un’imposizione quale è quella subita dai ricorrenti.

L’imposizione  poi, sottolineando il mancato utilizzo di un dispositivo igienico, aveva  il chiaro intento di evidenziare un difetto di pulizia personale che, vero o falso che fosse, era del tutto inopportuno e che, per i modi utilizzati, ha avuto quale unico  intento quello  di  umiliare i signori    Z    e   X   e  non  certo di salvaguardare l’ambiente lavorativo.

Va poi escluso che il gesto sia avvenuto nell’ambito di una discussione tra contrapposte tifoserie (tifosi del Milan o Inter contro    M tifoso del Napoli).

La  circostanza   riferita  da   …., secondo  il  quale  gli  stessi   ricorrenti  gli avrebbero  raccontato   che,  prima   del  video  trasmesso,   sarebbero  stati     Z e X    e a spruzzare il deodorante a   M   che avrebbe dovuto recarsi allo stadio per assistere alla partita del Napoli, non risulta credibile.

Anzitutto,  sorprende  che   il sig. M non  ne  faccia  cenno  nella  sua  difesa;  inoltre, il teste-… ha riferito che, dopo aver eseguito l’ordine di andare a comperare il deodorante,   fu lo stesso a mettersi  il prodotto;  il teste ha poi escluso  che i ricorrenti fossero usi discutere di calcio con il  convenuto.

La  reazione  avuta  dai  ricorrenti  dopo  essere  stati  chiamati  al  cospetto  del  sig.   M il fatto che siano stati richiamati uno alla volta esclude poi che il tutto sia sorto in un contesto di gioco.

Seppur  le tre  persone  ritratte  sorridono,  è evidente  che  sollevano  la maglietta  e le braccia in quanto comandati di farlo e l’estremo  tentativo di    Z   di coprirsi denota uno stato di imbarazzo e umiliazione ben poco compatibili con uno spirito  giocoso.

Le considerazioni sopra svolte valgono, senza dubbio, a ricondurre le condotte esaminate nell’alveo delle molestie di cui all’art. 2, comma 3, dlgs   215/03.

Quanto alla loro ascrivibilità, non vi è dubbio che  le  stesse  siano  soggettivamente riconducibili  a   M   in  quanto  autore materiale.

Nel presente giudizio è chiamata a rispondere, tuttavia, anche la società  V, datrice di lavoro dei ricorrenti e del  predetto.

In diritto, l’art. 2087 e.e. fa obbligo al datore di lavoro di adottare  le  misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di  lavoro.

Non vi è dubbio che tra gli obblighi che la norma impone vi sia anche quello di assicurare ai propri dipendenti un ambiente lavorativo nel quale la persona non sia vittima di soprusi, trattamenti degradanti, umilianti e  discriminatori.

V avrebbe quindi dovuto adottare misure atte a evitare comportamenti del genere di quelli qui denunciati.

Al riguardo, la stessa ha prodotto il proprio regolamento che, al punto 2.2., annovera tra gli obblighi dei dipendenti: un atteggiamento inclusivo, il ripudio di ogni forma di emarginazione e/o discriminazione diretta o indiretta e che al successivo punto 6.2, sanziona gli atti di discriminazione quale che essa  siano.

Fermo il regolamento, che denota la condanna della società verso certi  comportamenti, non è dato sapere quali siano state le misure adottate dalla società per verificare il rispetto dei predetti precetti da parte dei lavoratori.

Certamente indifferenti sono, a riguardo, sia le iniziative benefiche del fondatore, di cui vi è allegazione, sia la presenza di numerosi lavoratori stranieri anche di colore. Invero, ciò che si contesta non è una condotta materialmente posta in essere dalla società, rispetto alla quale potrebbero valere gesti di contenuto e segno diversi, bensì le condotte dei suoi dipendenti sulle quali avrebbe avuto un obbligo di  vigilanza  al fine di assicurare un ambiente lavorativo idoneo per tutti  indiscriminatamente.

Obbligo di vigilanza che, avendo accertato i fatti di cui si è detto, risulta non essere stato, quantomeno, efficace.

Né la società ha allegato quali indagini abbia svolto allorché , in occasione dei questionari  sottoposti  ai dipendenti  il 31 gennaio 2019, tre di loro (cfr. doc. 51, 52   e 53) hanno riferito che la signora …., confidandosi con loro,  si era lamentata di un ambiente lavorativo razzista e aveva fatto espresso riferimento a condotte, a suo dire, non consone, tenute da M

Tali informazioni, pur acquisite dopo i fatti qui denunciati, avrebbe dovuto indurre la società alle opportune verifiche di cui, però, non è dato riscontro.

Il  fatto  che  una  persona  (il  sig.    M),  al  di  là  del  suo  ruolo  (i  testi  lo  hanno identificato come il responsabile della pizzeria), reiteratamente, fosse uso utilizzare appellativi certamente razzisti, ma non solo (risulta accertato che  fosse  avvezzo  assegnare nomignoli a tutti), denota come  il rispetto  del  regolamento  non fosse  prassi per tutti e non  lo fosse  specie  per chi,  formalmente  o  informalmente,  ma, certamente, di  fatto, aveva  un  ruolo di  responsabile  (cfr. le deposizioni).

Benché non sia emerso che i ricorrenti si siano  mai  lamentati  delle condotte tenute dal signor  M, silenzio le cui ragioni appaiono intuibili e che,  comunque ha  poi  riferito  al  teste ..   (dipendente   della  società V a  attraverso  la quale  i ricorrenti  hanno  conosciuto  la società      ….,   a cui  ha  detto che aveva paura  dì  perdere  il  lavoro),  pare  difficile  pensare  che  l’abitudine  del   signor- M non sia mai stata percepita.

Il suo comportamento, che avuto poi il suo acme nell’episodio del 26 gennaio 2019, pare espressione di un suo atteggiamento abituale, ovvero quello di sottolineare, deridere e ridicolizzare alcune caratteristiche proprie di alcune persone.

Se verso alcuni utilizzava espressioni  più neutre (Milanese o Milanista), verso altri era meno gentile (“cecato” verso chi, evidentemente, aveva problemi di vista) e verso   i dipendenti di colore, addirittura, spregevole.

La reiterazione delle condotte pare difficile crede, possa essere passata    inosservata.

Certamente la stessa ha contributo  a generare  un ambiente  lavorativo  non inclusivo,  di non accoglienza,  respingente  verso alcune persone.

Di questo la società deve  rispondere.

Nessuno rilevanza ha poi la reazione assunta all’indomani del video e la presa  di distanza (comunicato  stampa).

Si tratta, invero, di condotta postuma che, in quanto condanna dell’operato altrui, può ritenersi significativa di una mancata partecipazione ai fatti, ma che non assolve da eventuali omissioni che le sono imputate.

Inoltre che può essere stata giustificata da ragioni  economico   commerciali.

In sede di discussione, il difensore ha sottolineato come la diffusione del video abbia danneggiato  l’immagine  della  società  non  solo  in  Italia,  ma anche  oltre oceano; era, quindi,  interesse  di   V  prendere  le  distanze  dal  comportamento  del  suo dipendente per salvare la propria  immagine.

Tentativo che ha cercato di fare anche nel presente giudizio escludendo che il sig. M avesse qualche ruolo di responsabile

La circostanza, del tutto smentita dai testi, risulta, comunque del tutto irrilevante in quanto, anche per quello che si dirà nel prosieguo, lo stesso era un dipendente della società.

Ugualmente del tutto irrilevanti sono le richieste da parte della società ai ricorrenti e finalizzate a sapere quali rimedi la stessa avrebbe potuto  prendere per soddisfare  le  loro pretese di tutela.

Invero, si tratta di domande intervenute dopo i fatti, quindi al più rilevanti per un  bonario componimento,  comunque, che non possono  colmare le precedenti  omissioni  e neppure possono valere, come sembra aver voluto fare la difesa in  sede  di  discussone, a far ricadere la colpa sui ricorrenti che  non  hanno  dato  alcuna  indicazione  a riguardo.

Non spetta certo ai dipendenti suggerire al datore di lavoro quali misure preventive o repressive dover adottare per evitare situazioni pericolose  per la loro   salute.

La responsabilità della società trova fondamento giuridico anche nel disposto dell’art. 2049 c.c

La norma, come insegna la Suprema Corte, introduce un’ ipotesi di responsabilità indiretta e postula l’esistenza di un rapporto di lavoro tra preponente e preposto oltre  che il fatto illecito si sia consumato in presenza di un  nesso  di  occasionalità  necessaria tra il lavoro svolto dal dipendente e l’illecito stesso. Si chiede cioè che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo ( in questo  senso  Cass.  n.  7403  del 2013, Cass. n. 12283/16 e Cass. n.  10445/19).

Nel caso in esame, i fatti sono accaduti sul luogo di lavoro e durante lo svolgimento dello stesso; la posizione (non è dato sapere se assegnatagli o auto-attribuitasi) di responsabile  del  reparto  pizzeria  ha, senza dubbio, posto   il sig.M  in una condizione di supremazia gerarchica rispetto ai ricorrenti che, come si vede nel video, gli obbediscono.

Se tra lui  e  i due  ricorrenti  non  vi  fosse  stato  una disparità  di  grado,  difficilmente e      X e Z  avrebbero  accettato di sottostare all’umiliazione di essere cosparsi di deodorante e di denudarsi.

La società, come detto, ha, più volte escluso qualsivoglia  ruolo  di  responsabile  in capo a  M.

La circostanza, invece, è stata confermata da parte dei   testi.
Proprio tale suo ruolo di vertice gli ha reso possibile fare quanto qui  gli  viene  imputato.

Ora, sulla base di quanto raccontato, qualora si volesse prestare fede a quanto riferito dalla difesa convenuta, non si potrebbe che concludere che la società non si è neppur premurata di verificare quanto accadeva nel proprio ristorante,  ovvero  che  un  semplice pizzaiolo si è arrogato il ruolo di responsabile (capo come lo chiamavano) e che proprio in forza di tale suo ruolo si permetteva  di dare ordini ai  colleghi.

Trattandosi  di fatti  illeciti  commessi  nell’esercizio delle sue mansioni  o di quelle che la società  ha tollerato  che fossero,      V  va ritenuta  responsabile  dei  fatti ed atti commessi dal sig. M in forza del disposto dell’art. 2049  c.c

Quanto alla tutela accordabile ai ricorrenti l’art 4 dlgs 215 citato recita:

1. La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 2 si svolge nelle fanne previste dall’articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e 11, del testo unico.

 

  1. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una delle discriminazioni di cui all’articolo 2 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, puo’ promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile o, nell’ipotesi di rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, 165, anche tramite le associazioni di cui all’articolo 5, comma 1.

 

  1. li ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può’ dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell’articolo 2729, primo comma, del codice

 4 Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonche’ la rimozione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può’ ordinare, entro il termin efìssato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni

 5. Il giudice tiene conto, ai .fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente clfti vitadel soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parila’ di trattamento

6.Il giudice puo’ ordinare la pubblicazione della sentenza di cui ai commi 4 e 5, a spese del convenuto, per una sola volta su un quotidiano di tiratura nazionale”

La disposizione consente, anzitutto, di ritenere  infondata  l’eccezione  di  improponibilità dell’azione giudiziale per mancato esperimento della procedura di conciliazione  attesa la natura di facoltà e non di obbligo di tale   percorso.

Quanto, invece, ai rimedi, non pare efficace un provvedimento che ordini la cessazione del comportamento, trattandosi, quanto alle condotte  del sig.  M di gesti non più reiterabili per le sue dimissioni e, quanto all’episodio del 26 gennaio 2019, di fatto isolato

Piuttosto, deve essere ordinato alla società di adottare misure atte  a  rimuovere  gli effetti ed a prevenire ulteriori  comportamenti  e quindi  a sensibilizzare la  coscienza  dei dipendenti  verso tematiche di tutela dei colleghi di diversa   etnia.

A tal fine, può essere indicata la realizzazione di un corso al quale siano chiamati a partecipare, obbligatoriamente, tutti i dipendenti e che, con l’intervento di esperti, avvicini gli stessi alle tematiche razziali al fine di educarli al doveroso rispetto di ogni cittadino quale che ne sia la sua provenienza o etnia.

Insufficiente risulta, per contro, la divulgazione di qualsiasi comunicato stante il contenuto  del regolamento già in vigore.

La società e il sig.    M  vanno poi condannati al risarcimento dei  danni.

Non può essere messo in dubbio, invero, che il comportamento illecito del primo ha cagionato un danno morale ai due ricorrenti, ovvero  una sofferenza  psichica  dovuta alle umiliazione ed ai soprusi  patiti.

L’essere, reiteratamente apostrofato con appellativi pesantemente offensivi e di matrice razzista, l’essere additato come persona che ha scarsa cura della propria igiene personale e che, per tale ragione, viene messo alla berlina, costretto a subire la “disinfestazione”, come l’ha chiamata l’improvvisato regista e, comunque,  a diventare protagonista di una clip spregevole ed umiliante sono fatti che, certamente, non possono che lasciare traccia in qualsiasi persona di media sensibilità-

Quanto al quantum si ritiene di applicare il criterio equitativo e di utilizzare, quale parametro  una percentuale  della  retribuzione  mensile per  il periodo  intercorso tra   la loro assunzione  e il 26 gennaio 2019  (ultimo  gesto  denunciato); per    …..  è,   che ha lavorato prima come tirocinante e poi come apprendista dal giugno 2018, può essere riconosciuta la somma di €2800 corrispondente alla percentuale del 50% del sua retribuzione mensile moltiplicata per sette  mesi.

Uguale criterio può essere  utilizzato  per   ….. al quale, però vantando  un rapporto  più lungo,  può essere riconosciuta la somma di€   5600.

Nessun risarcimento può essere accordato alla ricorrente Y stante  il  difetto di prova dei fatti denunciati.

Non avendo acclarato una responsabilità commissiva della società non si ritiene di dover ordinare la pubblicazione della  sentenza.

Le spese tra i ricorrenti   X e Z e i convenuti seguono la soccombenza.

Tra la ricorrente   Y e i convenuti sussistono giuste ragione per la   compensazione.

Accoglie il ricorso e, per gli effetti, accertati i comportamenti discriminatori posti in essere dal convenuto    M nei confronti  dei ricorrenti    Z e X.

Condanna,  in va tra loro solidale,  la società V  e il sig M   a risarcire ai  ricorrenti      Z e X     i  danni   patiti   con   la  corresponsione  al  primo  della somma  di€   600 ed al secondo  di E 1200.ordina alla società resistente di predisporre un piano di rimozione degli effetti avente per oggetto la realizzazione di un corso obbligatorio per tutti i dipendenti che, con la partecipazione di esperti, avvicini gli stessi  alle tematiche  razziali  al fine di educarli al doveroso rispetto di ogni cittadino quale che ne sia la sua provenienza o   etnia.

Rigetta il ricorso proposto da Y

Condanna i convenuti   alla  rifusione  delle  spese processuali  sostenute dai ricorrenti e     )  che  vengono  liquidate  in  complessivi  €  4000  oltre  accessori con distrazione in favore dei difensori antistatari.

Compensa le spese di lite tra la ricorrente   Y e i convenuti.

 

Così deciso in Milano il  23 gennaio 2020

Il Giudice del lavoro dott.ssa Sara Manuela  Moglia