Molestia sessuale, Tribunale di Torino, ordinanza del 28 luglio 2016

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

SEZIONE LAVORO

causa  RGL n.  /  promossa da:

C  R, ass. avv. LANZILLI MARTA, PONZONE RUGGERO  C.SO SICCARDI, 11 BIS 10122 TORINO; GUASCO MARCO C.SO SICCARDI, 11 BIS 10122 TORINO;

PARTE RICORRENTE

contro

GS SPA , ass. avv. PACCHIANA PARRAVICINI GIOVANNA,

PARTE CONVENUTA

Il Giudice

Letti gli atti, sciogliendo la riserva , osserva quanto segue.

La ricorrente, dipendente part time di GS spa  in qualità di addetta alle vendite presso il D Market di Nichelino, chiede accertarsi la discriminatorietà del trasferimento alla sede di Torino Lungo Stura Lazio con condanna della conventa a reintegrarla nell’originario luogo di lavoro oltre al risarcimento del danno.

Resiste la convenuta sostenendo la legittimità del trasferimento  stante la situazione disfunzionale creatasi all’interno del punto vendita a seguito della denuncia per molestie da parte del dipendente Risso presentata dalla ricorrente , della negazione della responsabilità da parte del R ( inizialmente sospeso cautelativamente e sanzionato) e della presenza presso lo stesso punto vendita di altri dipendenti facenti parte dei rispettivi nuclei familiari.

In linea di fatto è pacifico che:

             Il 4 febbraio 2016 la ricorrente informa  il responsabile del punto vendita S M che il giorno precedente, mentre transitava nell’area ricevimento merci per recarsi negli spogliatoi del piano superiore, incontrava il collega M R il quale, con atteggiamento ambiguo, la seguiva fino alla rampa delle scale; uscita dallo spogliatoio mentre scendeva le scale trovava il R che mostrava i genitali con i pantaloni e gli altri indumenti abbassati fino alle ginocchia ;

             Il direttore del punto vendita dava immediata comunicazione al direttore vendite della linea ingrosso ;

             La ricorrente, su sollecitazione dei superiori, redigeva quindi una relazione scritta descrittiva dell’accaduto;

             Con raccomandata 23.2.2016 GS contestava al R i fatti riportati dalla C sospendendolo cautelativamente dal servizio;

             Il R negava i comportamenti contestati e nel corso dell’audizione a difesa esibiva una querela per diffamazione presentata contro la C;

             Con provvedimento 26.3.2016 GS decideva quindi di trasferire entrambi i lavoratori rispettivamente la C in Torino, lungo Stura Lazio 97 ed il R in Pianezza via Di Francesco 13

E’ innanzitutto opportuno ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, è pacifico che le dichiarazioni della parte offesa di abusi sessuali che abbia piena capacità di intendere e di volere, possono esse sole fondare la prova della responsabilità dell’autore della condotta ove non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell’attendibilità di tali dichiarazioni; nel qual caso, il giudice di merito è chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento. D’altra parte, come autorevolmente chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012,)

Se quindi la denuncia della parte offesa può sorreggere  da sola la condanna in sede penale alla denuncia stessa, ove  attendibile, deve essere attribuito un rilievo  ed un’attenzione ben superiore a quella accordata da GS alla denuncia presentata dalla C.

È innanzitutto pacifico in causa che i rapporti tra la ricorrente ed il sig. R erano assolutamente normali e cordiali, tant’e è vero che i capi reparto dei due dipendenti coinvolti informati dell’accaduto “ sono caduti dal cielo” ( per usare le parole del teste C). Anche il teste M ha dichiarato che sia il capo settore del punto vendita sia il responsabile del reparto freschi sono rimasti sbalorditi ed i testi Z e P hanno dichiarato di non essere al corrente di problemi relazionali tra la ricorrente ed il R.

E’ altresì’ provato che l’azienda ha potuto constatare  nell’immediatezza dei fatti  il particolare stato emotivo della ricorrente a seguito della molestia subita : il teste M, responsabile del punto vendita ove la ricorrente lavorava, ha infatti riferito di aver innanzitutto cercato di consolare la ricorrente che aveva visto scossa .

Ulteriore dimostrazione della serietà ed attendibilità della denuncia emerge dalla querela presentata dalla C, circostanza che comporta l’assunzione della piena responsabilità ( anche penale) di eventuali dichiarazioni non conformi al vero

I due elementi  prima indicati, inesistenza di ragioni di inimicizia o risentimento tra vittima e molestatore e turbamento emotivo della vittima, già di per sé soli avrebbero consentito all’azienda di valutare in termini pienamente positivi la credibilità soggettiva della C a meno di voler ipotizzare una diabolica simulazione del turbamento emotivo che comunque, in mancanza di movente , resterebbe inspiegabile.

E’ inoltre provato che la ricorrente, oltre ad avere il coraggio di denunciare la molestia ( coraggio che avrebbe meritato miglior sorte), non ha nascosto in alcun modo il suo turbamento ed ha avuto l’intrepidezza di raccontare l’accaduto a due colleghi e di farsi accompagnare a spostare gli indumenti in altro spogliatoio proprio al fine di evitare contatti con il R, condotta che ulteriormente dimostra la sua piena attendibilità e la coerenza del suo agire ed avrebbe dovuto indurre l’azienda a dare maggior credito alla sua denuncia.

Ma vi è di più. L’azienda era stata informata dalla C del fatto  che un’altra dipendente era rimasta  vittima di un episodio analogo sempre commesso dal R ( teste M) e, anziché attivarsi indagando a fondo , si è limitata a delegare alla ricorrente il compito di indicare il nominativo della collega ovvero di mandarla dal direttore con ciò venendo meno all’obbligo di tutelare la salute psichica della dipendente attivandosi in prima persona.

L’istruttoria effettuata dall’azienda è stata peraltro molto  superficiale essendosi  concretizzata innanzitutto nel richiedere alla C descrizioni sempre più dettagliate dell’accaduto e successivamente  nell’interrogare il Risso , nel prendere atto della sua negazione dell’evento e nella comunicazione dell’accaduto ai due  superiori gerarchici diretti che ben difficilmente potevano offrire elementi utili di valutazione.

L’azienda non ha interrogato neanche una collega della ricorrente, indagine che avrebbe portato con poca fatica ad ottenere i riscontri indiretti emersi nel corso del giudizio. Il teste Z  che ha accompagnato la ricorrente la sera stessa a spostare gli indumenti in un altro spogliatoio ed ha raccolto il  doloroso racconto della molestia, ha confermato di non essere stato interrogato dall’azienda .

La convenuta ha altresì violato l’art. 4 del  codice etico che nell’ambito della tutela dalle molestie sessuali prevede una specifica procedura  disciplinata dall’accordo sindacale del 25 febbraio 1999. L’art. 7 del predetto accordo introduce una procedura informale con l’intervento dei Consiglieri di fiducia cui compete, tra l’altro, il compito di accertare come effettivamente si siano svolti i fatti redigendo un promemoria scritto degli accertamenti eseguiti.

L’azienda quindi aveva tutti gli elementi per poter valutare l’assoluta attendibilità della denunciante ed agire di conseguenza.

La decisione di trasferire entrambi i lavoratori per incompatibilità ambientale -oltre ad essere dettata  da un  desiderio di terzietà ponziopilatesca talmente evidente da rendere dubbia l’osservanza dell’obbligo di tutelare la salute dei propri dipendenti- è in ogni caso illegittima poiché l’esigenza di evitare incontri tra i due lavoratori era pienamente soddisfatta dal trasferimento di uno solo dei due e la scelta sul destinatario del trasferimento incombeva sull’azienda e doveva necessariamente ricadere sul Risso.

E’ pacifico in causa che il trasferimento della ricorrente si pone in diretta correlazione causale con la denuncia per molestia da lei presentata ed  è indubbio che il trasferimento ha comportato per la ricorrente disagi consistenti stante l’allontanamento dal suo luogo di residenza.

L’art. 41 bis codice pari opportunità stabilisce che “La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.”

La norma deve necessariamente essere letta unitamente all’art . 26 del codice pari opportunità  che recita: “1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.2. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”

Le molestie  sono quindi equiparate dal legislatore alle discriminazioni pur presupponendo da parte dell’autore una condotta materiale del tutto differente. La scelta normativa  di equiparare le molestie alla discriminazioni indirette comporta quindi sia  l’applicazione alla molestia sessuale  dell’art. 41bis codice pari opportunità sia dell’art. 40 che sostanzialmente introduce l’inversione dell’onere della prova.

Il trasferimento della C è illegittimo in quanto  si configura come atto di vittimizzazione e la parte convenuta, pur in presenza di elementi di fatto idonei a fondare in termini precisi e concordanti la natura discriminatoria del trasferimento, non ha fornito la prova contraria posto che la pretesa incompatibilità ambientale non può sorreggere ambedue i trasferimenti.

In accoglimento del ricorso e nell’ottica della rimozione degli effetti del provvedimento lesivo il trasferimento va quindi annullato e la convenuta va condannata a reintegrare la ricorrente nel suo originario luogo di lavoro  D Market di Nichelino .

La domanda di risarcimento del danno anche non patrimoniale, non può esser accolta in quanto totalmente indimostrata sia nell’an che nel quantum.

le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

Visto l’art. 38 d.lgs. 198/2006

Ordina alla GS spa di cessare il comportamento discriminatorio e per l’effetto

Dichiara l’illegittimità del trasferimento della ricorrente presso il punto vendita di Lungo Stura Lazio 97 e condanna la convenuta a reintegrare la ricorrente nella sua originaria sede  di lavoro ( D Market di Nichelino)

Condanna la convenuta a rimborsare le spese del giudizio liquidate in euro 5.500,00 oltre rimborso forfettario, Iva e cpa.

Torino , 28/07/2016

Il Giudice

Drssa Clotilde Fierro