Identità di statura tra uomo e donna, Discriminazione indiretta di genere, Cassazione civile, sez. lavoro, Sentenza 14 dicembre 2017, n. 30083

Fatti di causa

Con sentenza del 14 aprile 2011, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma in sede di opposizione al decreto emesso dallo stesso Tribunale ex art. 38 d.lgs. n. 198/2006 e rigettava la domanda proposta da L.P. nei confronti di T. S.p.A., avente ad oggetto la rivalutazione dell’idoneità fisica all’assunzione nella posizione di Capo servizio treno, per la quale la Società aveva indetto apposita procedura selettiva, senza tener conto del deficit staturale che, posto a fondamento della certificazione di inidoneità resa nel corso di quella selezione, ne aveva determinato l’esclusione.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non imputabile alla Società alcun comportamento discriminatorio, anche in considerazione della circostanza per cui la censura in tal senso mossa dalla P. non afferiva alla ragionevolezza del requisito di altezza, del resto posto a presidio di esigenze di sicurezza, bensì alla mancata differenziazione del limite tra uomini e donne, la cui valenza discriminatoria, a fronte della quale il rimedio sarebbe da individuarsi nell’elevazione del requisito per gli uomini, mai sarebbe valso a fondare il diritto soggettivo della ricorrente ad essere ritenuta idonea all’espletamento del servizio.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la P., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Società, che ha poi presentato memoria.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 37 Cost. nonché della disciplina antidiscriminatoria di cui al d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità), imputa alla Corte territoriale di aver disatteso la qualificazione in termini di discriminazione vietata della previsione di un limite staturale indifferenziato tra uomini e donne espressamente sancita dalla Corte costituzionale.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, la ricorrente lamenta a carco della Corte territoriale la mancata disapplicazione dell’atto amministrativo fonte dell’illegittima discriminazione.

Nel terzo motivo si deduce il vizio di motivazione con riguardo al convincimento espresso dalla Corte territoriale circa la mancata impugnazione della certificazione di inidoneità sotto il profilo della non ragionevolezza del previsto requisito di altezza.

La violazione e falsa applicazione dell’art. 40 d.lgs. n. 198/2006 è prospettata nel quarto motivo a fronte di una lettura dell’impugnata sentenza intesa a disconoscere l’assolvimento da parte della ricorrente dell’onere della prova della discriminazione.

I quattro motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono dirsi fondati, atteso che la dedotta discriminazione, denunciata, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, sin dal ricorso introduttivo, anche sotto il profilo della ragionevolezza del previsto limite staturale quale requisito di idoneità all’esercizio delle mansioni di Capo servizio treno – ciò implicando, ai sensi dell’art. 40 d.lgs. n. 198/2006, l’inversione dell’onere della prova sul punto, erroneamente ritenuto assolto per difetto di contestazione da parte dell’odierna ricorrente dalla Società, che, viceversa, nulla ha opposto ai rilievi della stessa ricorrente, incentrati, in particolare, sul più ridotto requisito di altezza dei macchinisti, in relazione alle cui funzioni, che il capo servizio treno è tra l’altro chiamato a supportare, è sostenuta la necessità del possesso da parte di quest’ultima figura professionale del previsto requisito staturale – non trova limiti quanto al sindacato giudiziale negli atti amministrativi che quel requisito prevedono, essendo gli stessi suscettibili di disapplicazione (cfr. Cass. sez. lav., n. 23562/2007 e n. 25734/2013), a fronte dell’illegittimità, desumibile dalla richiamata pronunzia della Corte costituzionale n. 163/1993, di disposizioni che ingiustificatamente non tengano conto della identità o diversità delle situazioni soggettive implicate dalla regolamentazione dettata.

Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo, altresì, per l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.