Discriminazione Sindacale, Tribunale Arezzo, sentenza del 6 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI AREZZO

Il Tribunale di Arezzo, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa Michela Grillo, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 521/2018 r.g., discussa e decisa, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., all’udienza del 6 novembre 2018 e vertente

TRA

CSA RAL COORDINAMENO PROVINCIALE DI ARESSO, in persona del Coordinatore Provinciale pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Alboni, componente dello Studio Legale Associato Alboni-Balsimelli-Bondi, presso il cui studio in Arezzo, Piazza Guido Monaco n. 11, è elettivamente domiciliato, giusta delega in atti,

OPPONENTE

E

COMUNE DI TERRANUOVA BRACCIOLINI E COMUNE DI MONTEVARCHI, in persona del rispettivo Sindaco pro tempore, entrambi in qualità di enti istitutivi e titolari del Corpo di Polizia Municipale associato denominato “Corpo associato Polizia Municipale Montevarchi-Terranuova B.ni”,

rappresentati e difesi dall’Avv. Stefano Giuliani ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in San Giovanni Valdarno (AR), V.le Gramsci n. 47, giuste deleghe in atti,

OPPOSTI

OGGETTO: opposizione art. 28 St. Lavoratori.

CONCLUSIONI: come da verbale di udienza del 6 novembre 2018.

FATTO E DIRITTO

Con ricorso ex art. 28 Legge 300/1970 depositato il 13.2.2018 la rappresentanza sindacale CSA RAL ha chiesto al Tribunale di Arezzo di ordinare ai comuni di Montevarchi e Terranuova Bracciolini la cessazione delle condotte antisindacali consistenti nell’ostacolare sostanzialmente il diritto di sciopero (prevedendo una decurtazione punitiva della retribuzione dei lavoratori aderenti), nel violare le disposizioni contrattuali e i pareri resi dall’ARAN e così frustrare la necessaria concertazione con le organizzazioni sindacali circa i criteri per l’articolazione dell’orario di lavoro, con tutti i provvedimenti conseguenti ritenuti necessari e/o opportuni.

Si sono costituiti i Comuni di Montevarchi e Terranuova Bracciolini, chiedendo il rigetto della avversa domanda, rilevando come nessuna lesione all’attività sindacale potrebbe essere loro addebitata, considerando che la decurtazione degli importi a titolo retributivo sarebbe una conseguenza delle giornate non lavorate, che la decisione circa l’articolazione dell’orario di lavoro (oltre a non essere in contrasto diretto con la normativa negoziale e con i pareri dell’ARAN) sarebbe stata presa senza violare la concertazione sindacale.

Con decreto n. 1272 del 19.4.2018 il Giudice del Lavoro di Arezzo rigettava il ricorso, ritenendo insussistente la condotta antisindacale.

Avverso il predetto decreto, con ricorso, depositato in data 3.5.2018, la CSA RAL ha proposto opposizione, chiedendo che il Tribunale accogliesse le conclusioni originariamente proposte.

Si sono costituiti i Comuni resistenti, chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma del provvedimento impugnato.

All’udienza del 6 novembre 2018, previo deposito di note conclusive, la causa è stata quindi decisa con lettura della sentenza.

La parte opponente ha dedotto l’erroneità della decisione del giudice di prime cure nella parte in cui:

– quanto all’adozione di ordini di servizio che impongono di rendere prestazioni lavorative domenicali e nei festivi infra settimanali, con orario spezzato, pur riconoscendo che la violazione sembra esserci, ha poi affermato che potrà essere individualmente invocata dai singoli lavoratori, ma non con le prerogative sindacali;

– quanto alle trattenute sugli stipendi per le due giornate di sciopero, ha ritenuto che il dipendente che ha scioperato abbia poi goduto del diritto alla giornata di recupero che gli sarebbe spettata ove avesse svolto la prestazione domenicale.

Il giudice di prime cure, quanto al primo punto, ha così argomentato: “…effettivamente la condotta lamentata dall’organizzazione sindacale ricorrente, laddove verificata, potrebbe comportare estremi di illegittimità a carico del datore (Trib. Milano, 25/01/2008: «È antisindacale il comportamento del datore di lavoro che abbia disposto modifiche dell’articolazione dell’orario di lavoro senza rispettare le procedure di concertazione previste dal Ccnl»); Nel caso di specie, però, dalle stesse allegazioni della parte ricorrente, emerge che la concertazione vi sia stata, alla luce della presenza dei sindacati al momento delle decisioni in ordine alla distribuzione dell’orario (cfr., doc. 1, fasc. ricorrente), anche se non ha prodotto gli esiti auspicati dalla CSA RAL.

In questo contesto, anche una violazione della contrattazione collettiva, comporterebbe non una lesione delle prerogative sindacali, ma, semmai, una violazione tutelabile dai singoli lavoratori, non potendo il giudice interferire (a livello di piano sindacale) sulle trattative, concertazioni o determine, ma solo in ordine ai diritti dei dipendenti contro le eventuali violazioni”.

È d’uopo in limine premettere che la definizione della condotta antisindacale di cui all’art. 28 St. Lav. non è analitica ma teleologica, poiché individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i “beni” protetti. Pertanto, per integrarne gli estremi, è sufficiente che il comportamento datoriale leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, potendo sorgere l’esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione a un’errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta, così come l’intento lesivo del datore di lavoro non può di per sé far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale (cfr. Cass. n. 9250/2007). Occorre, quindi, che la condotta abbia in concreto limitato la libertà sindacale o il diritto di sciopero e quindi non ha carattere antisindacale quella condotta che risulti dovuta all’esercizio di un diritto del datore di lavoro, al quale non si contrapponga un opposto diritto dei lavoratori che sia valido a contrastare il primo, o all’adempimento di un dovere, imposto allo stesso datore di lavoro da una disposizione di legge dettata a tutela di diritti di pari o superiore dignità (Sez. L, Sentenza n. 13383 del 01/12/1999, Rv. 531729 – 01).

Occorre quindi distinguere chiaramente la tutela dei diritti dei singoli lavoratori e delle prerogative sindacali: “nella repressione della condotta antisindacale, il fondamento dell’azione riposa sulla violazione di norme costituzionali, o, quanto meno, generali dell’ordinamento, non di diritti o, comunque, di posizioni giuridiche di origine contrattuale, cui si riferisce, invece, esclusivamente la normale tutela individuale del lavoratore; pertanto, con l’azione giudiziaria promossa ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 … non è possibile conseguire il soddisfacimento di pretese contrattuali del lavoratore dipendente, ma è dato soltanto ottenere la rimozione, nell’interesse del Sindacato attore, della condotta lesiva delle prerogative giuridiche di questo ultimo, con l’ulteriore conseguenza che, di regola, per ottenere la piena soddisfazione dei diversi interessi, è necessario l’esperimento parallelo dell’Azione sindacale (art. 28 citato) e dell’Azione contrattuale secondo la previsione dell’art. 409 cod. proc. civ.” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 1067 del 19/02/1982; v. anche Sez. L, Sentenza n. 3298 del 07/03/2001, Sez. L, Sentenza n. 9950 del 12/05/2005 e Sez. L, Sentenza n. 9250 del 18/04/2007).

Orbene, ritiene il Tribunale che, in ordine al primo punto, la decisione di prime cure sia corretta, atteso che le contestazioni inerenti l’orario di servizio adottato non avrebbero dovuto essere avanzate mediante opposizione ex art. 28 St. lav., non ravvisandosi alcuna condotta antisindacale nel comportamento delle amministrazioni comunali, poiché le decisioni inerenti gli orari sono state prese in sede di concertazione sindacale.

Quanto al secondo punto, relativo alle trattenute sugli stipendi per le due giornate di sciopero, il giudice di prime cure ha così argomentato il rigetto: “Anche alla luce delle informazioni raccolte informalmente in udienza e della documentazione ulteriore depositata in corso di giudizio, emerge che le giornate lavorative prese in considerazione dalle Amministrazioni locali per la quantificazione della retribuzione, siano pari a 26, a cui corrispondono 156 ore di lavoro.

Al contrario, i giorni di lavoro ordinario sono solo 24 (per 144 ore), con la conseguenza che il datore di lavoro pubblico, nel quantificare la retribuzione mensile inserisce due giornate in più, le quali corrispondono (alternativamente) o ai turni domenicali, ovvero ai giorni di riposo compensativo (retribuiti) per turni svolti in precedenza;

Ecco che, allora, esaminando le varie buste paga in atti (cfr., doc. 11 cit. e documenti depositati in corso di giudizio), emerge come i Comuni resistenti si siano limitati a decurtare giorni non lavorati nel mese di settembre, al fine di far corrispondere la retribuzione (che in via ordinaria prevede appunto 26 giorni lavorativi) a quanto effettivamente svolto dal dipendente.

A titolo di mero esempio è sufficiente esaminare la posizione della dipendente Anna Cocci, la quale, nel settembre 2017, tra giorni di ferie e giorni di servizio, risulta aver lavorato 25 giornate e, dunque, correttamente le è stata decurtata una giornata dalle 26 prese come base di calcolo per la retribuzione.

Quindi, non si tratta di una momento punitivo, ma semplicemente della parametrazione della retribuzione alle giornate svolte.

Una conferma in tal senso emerge considerando che i lavoratori che, nel mese di settembre hanno svolto i due turni domenicali, non hanno visto riconoscersi due giornate di lavoro effettivo in più nel mese, ma solo il riposo compensativo (successivo) e la maggiorazione indennitaria.

In altre parole, se fosse corretta la ricostruzione della parte ricorrente, in caso di lavoro domenicale dovrebbe essere conteggiato oltre i giorni lavorativi indicati in busta paga nei criteri di quantificazione, cosa che, invece, come emerge dalla documentazione, non avviene. ”.

Su tale secondo profilo il Tribunale ritiene che il decreto impugnato debba essere riformato.

Ed invero, occorre premettere che l’orario di servizio adottato dal corpo associato è articolato in due turni giornalieri antimeridiano e pomeridiano di 6 ore settimanali per un totale di 36 ore settimanali su sei giorni lavorativi con riposo previsto normalmente per il giorno di domenica, oltre ad un orario di servizio di almeno 6 ore nei giorni festivi a rotazione per un contingente minimo di quattro dipendenti; inoltre, sempre nel rispetto della legge regionale istitutiva dei corpi di polizia municipale (L.R. 03-04-2012 n. 12), è previsto che venga istituito un terzo turno di vigilanza ordinaria serale-notturno per almeno 120 giorni anche non consecutivi per ogni anno solare.

Ciò posto, dall’esame delle buste paga in atti emerge effettivamente che le giornate lavorative prese a riferimento per la quantificazione della retribuzione siano sempre 26 per ciascun mese (per 156 ore di lavoro). Erroneamente invece il giudice di prime cure ha ritenuto nel caso in esame che l’amministrazione si sia limitata a parametrare la retribuzione alle giornate di lavoro effettivamente svolte (in ciò escludendosi la condotta antisindacale). Infatti, se appare legittima la trattenuta sulla retribuzione di A C, avendo la stessa lavorato nel mese di settembre 2017 per giorni 25 (v. cartellino presenze), a diversa conclusione deve giungersi analizzando la posizione di altri lavoratori. A titolo di esempio, dall’esame del cartellino presenze di G B emerge che lo stesso ha lavorato nel mese di settembre 2017 per 24 giorni “ordinari”, cui si aggiunge la giornata di ferie (1) del 14 ed il festivo del 17 (poi recuperato il sabato 30), per totali 26 giorni lavorativi (oltre al giorno di riposo compensativo).

Parimenti, se si esamina il cartellino presenze di A C, si evince come la stessa abbia lavorato 24 giorni nel mese di settembre, cui si aggiungono 2 giornate di ferie, per totali 26 giorni lavorativi.

E’ evidente quindi che le trattenute sulla retribuzione per le due giornate di sciopero non possono essere ritenute legittime, in quanto non risultano effettuate per parametrare la retribuzione alle giornate lavorative, posto che i suddetti lavoratori avevano assolto al proprio monte ore mensile, con conseguente effetto antisindacale di tale condotta, in quanto essa va ad incidere in maniera decisiva proprio sulla possibilità per l’organizzazione ricorrente di indire (con speranza di efficace adesione) uno sciopero.

Né risulta provato che i dipendenti abbiano fruito di un giorno di recupero per ciascuna domenica di sciopero.

Va dunque dichiarata l’antisindacalità della condotta dei Comuni resistenti, consistita nell’aver trattenuto, per ciascuna delle giornate di sciopero, la retribuzione giornaliera dei dipendenti aderenti allo sciopero e per l’effetto deve ordinarsi agli stessi la cessazione immediata della condotta, con divieto di reiterazione.

All’accertata antisindacalità della condotta datoriale consegue l’ordine di pubblicare il presente provvedimento sulle bacheche comunali per un periodo di un mese, unico strumento allo stato utile a rimuovere l’antisindacalità della condotta esaminata.

In ragione dell’accoglimento solo parziale dell’opposizione, le spese di lite di entrambe le fasi sono per metà compensate tra le parti e liquidate per la restante parte, in favore del procuratore dichiaratosi antistatario, a carico degli enti resistenti, secondo i parametri di cui al D.M. 55/2014 (cause di lavoro, valore indeterminabile basso, con esclusione della fase istruttoria).

P.Q.M.

Il Tribunale di Arezzo, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

1) In parziale accoglimento dell’opposizione, dichiara l’antisindacalità della condotta dei Comuni resistenti, consistita nell’aver trattenuto, per ciascuna delle giornate di sciopero, la retribuzione giornaliera dei dipendenti aderenti allo sciopero e per l’effetto ordina agli stessi la cessazione immediata della condotta, con divieto di reiterazione della medesima;

2) rigetta nel resto;

3) ordina ai Comuni resistenti di affiggere il presente decreto nelle bacheche comunali in luogo accessibile a tutti per la durata di un mese;

4) compensa per metà le spese di lite di entrambe le fasi e condanna i resistenti alla rifusione in favore della ricorrente della restante metà, che liquida in € 7.025,00 per compensi, oltre il rimborso delle spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con distrazione.

Così deciso in Arezzo il 6 novembre 2018

Il Giudice

dott.ssa Michela Grillo