Discriminazione per convinzioni personali, Corte di Appello di Napoli, sentenza 3 gennaio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI

Sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:

dott. Gennaro Iacone dott.ssa Maria Gallo dott.ssa Chiara De Franco

Presidente Consigliere Consigliere rel.

riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello all’udienza del 7 settembre 2021 la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3165\2015 del ruolo generale lavoro

TRA

….. rappresentati e difesi come da procura alle liti in atti dagli avv. Francesco Andretta, Gaetano  Natullo e Conny Scalzi presso lo studio dei quali sono elettivamente domiciliati in Napoli via San Tommaso D’Aquino n.36

Appellanti

E

FONDAZIONE TEATRO, in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata  in  Napoli,  Piazza  della  Repubblica  n.  2,  presso  lo studio  dell’avv. prof. Francesco Santoni, che la rappresenta e difende giusta procura in atti

Appellata – appellante incidentale

Oggetto: appello avverso l’ordinanza del Tribunale di N poli , in funzione di Giudice del Lavoro, n. 19644/2015 emessa in data 21.7.2015.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 28 d.lgs. 01/09/11 n. 150 depositato in data 05/03/15, i ricorrenti in epigrafe , dedotto di aver lavorato già da anni presso la Fondazione in qualità di artisti tersicorei, con una pluralità di contratti a termine in

relazione a singole produzioni (contratti in precedenza fatti oggetto di impugnative stragiudiziali per l’accertamento dell’unicità del rapporto e la costituzione di rapporto a tempo indeterminato), allegavano di aver partecipato alla selezione bandita in data 18/09/14 per la predisposizione di una  graduatoria  di idonei alla quale attingere per la stagione 2014/2015, classificandosi tutti utilmente in relazione  al  numero  di  coreuti  necessari  per  la  realizzazione   dell’opera  (in particolare, rispettivamente , …. terzo e•……quarto nella graduatoria uomini,….‘undicesima   nella   graduatoria   donne,  laddove   erano necessari quattro coreuti per gli uomini e sedici per le donne). Riportato testualmente il contenuto della clausola del bando che individuava quale condizione essenziale e preliminare all’assunzione la sottoscrizione di un verbale di conciliazione preventivo da parte degli artisti, i ricorrenti lamentavano la mancata assunzione per la produzione “Giselle” dal 24/02/15 al 19/04/15, riconducendo l’omissione stessa a ragioni asseritamente discriminatorie, attuate attraverso una condotta ritorsiva assunta dalla Fondazione per non avere gli stessi accettato di sottoscrivere il verbale di conciliazione con il quale la controparte intendeva definire tutte le questioni pregresse. Allegavano quale prova della discriminazione la circostanza che la Fondazione avesse invece assunto altri artisti che avevano sottoscritto il verbale di conciliazione, omettendo di contro la assunzione dei ricorrenti benché utilmente collocati nelle rispettive graduatorie.

Tutto ciò premesso in punto di fatto, chiedevano: accertarsi la nullità della clausola del bando che prevedeva la necessaria preventiva sottoscrizione  del verbale di conciliazione; dichiararsi il diritto dei ricorrenti all’assunzione per il balletto “Giselle” e per l’effetto dichiararsi costituito, nei loro confronti, un rapporto di lavoro nel periodo 24 / 02/ 15-19 / 04 / 15 con diritto alla relativa retribuzione e contribuzione; chiedevano, inoltre, condannarsi la convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e morali da liquidarsi equitativamente e l’adozione di un piano per la rimozione degli effetti della discriminazione.

La Fondazione si costituiva rilevando l’infondatezza della domanda di accertamento costitutivo, poiché nelle more i ricorrenti erano stati assunti a tempo determinato per il periodo 14 / 03 / 15-19 / 04 / 15, deducendo peraltro che il ritardo dell’assunzione rispetto all’inizio della produzione era stato determinato esclusivamente dal cambio dei vertici gestionali della Fondazione. Eccepiva inoltre l’inammissibilità delle domande per insussistenza  dei  presupposti  per l’applicabilità del rito speciale ex art.28 d.lgs. 150/2011,  stante  la  tipicità  dei motivi discriminatori illeciti nell’ambito degli atti di diritto privato ed il difetto di ricorrenza nella fattispecie di alcuno dei motivi tipizzati.

Il Tribunale , con l’ordinanza n. 19644/2015 emessa in data 21.7.2015, dichiarava parzialmente cessata la materia del contendere, limitatamente alla parte della domanda avente ad oggetto la costituzione del rapporto -che, sebbene con ritardo rispetto alla data di inizio della produzione, pacificamente risultava essere stato costituito ed eseguito dal 14.3.15 nei confronti di tutti i ricorrenti- ed il risarcimento del danno patrimoniale per il periodo 14 / 03 / 15-19 / 04 / 15, per il quale i ricorrenti erano stati pacificamente assunti e regolarmente retribuiti.

In ordine alla riconducibilità della fattispecie all’ambito applicativo dell’art.28, il Tribunale escludeva che ricorresse una delle ipotesi normative tipiche dettate in tema di atti discriminatori, ritenendo le stesse insuscettibili di interpretazione analogica e rigettando dunque le domande relative all’applicazione delle specifiche tutele contemplate dall’art.28 medesimo (quali l’ordine  di  cessare la condotta  che si assume discriminatoria o l’adozione di specifici programmi volti ad evitare future discriminazioni o la pubblicazione del provvedimen to).

Dichiarava tuttavia la nullità della clausola del bando relativa alla necessità di preventiva transazione per genericità del suo contenuto e dunque per assoluta indeterminatezza dell’oggett o e per l’effett o dichiarava il diritto dei ricorrenti al risarcimento  del  danno  patrimoniale  limitatamente   al   periodo   24/02/15- 13/ 03/ 15, nella misura pari alle retribuzioni maturate e del periodo della produzione teatrale per il quale i ricorrenti risultavano non essere stati assunti. Compensava integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Con ricorso ex art.702 quater depositato in data 20 agosto 2015, e ……. hanno proposto reclamo averso la predetta ordinanza, sostenendo l’erroneità dell’interpretazione del dato normativo nazionale e comunitario adottata dal Tribunale che aveva ritenuto la tutela avverso le condotte ritorsive/ discriminatorie limitata ai soli casi in cui venga in evidenza la conservazione di un posto di lavoro e non anche in casi – come quello di specie – in cui la ritorsione/ discriminazione impedisca di acquisire il bene giuridico (la costituzione del rapporto di lavoro) nel patrimonio del lavoratore. Hanno diversamente prospettato la nozione di discriminazione/disparità di trattamento, argomentando sulla non tassatività delle ipotesi di discriminazione e sulla qualificabilità della condotta della resistente come estorsione negoziale. Hanno inoltre contestato la quantificazione del risarcimento del danno patrimoniale, sia sotto il profùo del parametro preso in esame che sotto il profilo del calcolo dello stesso; hanno inoltre impugnato il rigetto della domanda di ristoro del danno morale ed infine il governo delle spese, lamentando che fossero state ingiustamente compensate. Hanno concluso come in atti chiedendo in accoglimento del ricorso, dichiararsi che la mancata assunzione a termine per Giselle costituisce una condotta ritorsiva e discriminatoria della Fondazione; dichiarare il diritto alle retribuzioni per il periodo fino al 13.3.2015, condannare la convenuta al risarcimento danni (patrimoniale – lucro cessante – e non patrimoniale, quanto meno nella forma del danno morale) nonché alla liquidazione del risarcimento in via equitativa (o mediante CTU), tenuto conto di quanto previsto dall’a rt. 28 co.5- 6 D. Lgs. 150 / 20 11 ; ordinare la pubblicazione del provvedimento, a spese della resistente, su un quotidiano di tiratura nazionale ed emettere ogni altro provvedimento di legge; vinte le spese del doppio grado.

Ricostituito il contraddittorio in appello, la Fondazione si è costituita eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del gravame. Ha proposto altresì appello incidentale eccependo la violazione degli articoli 1O 1 e 102 cpc per essere  stata dichiarata dal Tribunale la nullità della clausola del bando 18.9.2014, pronunciando sul punto in ultrapetizione e violando altresì le norme codicistiche in tema di litisconsorzio necessario, in ragione dell’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti idonei nella graduatoria e controinteressati. Concludeva per il rigetto del gravame e l’accoglimento dell’appello incidentale; per l’effetto chiedeva riformarsi la sentenza nella parte in cui era stata statuita la nullità della clausola del bando del 18 settembre 2014 e revocarsi la condanna della Fondazione al pagamento dei risarcimenti come quantificati. Vinte le spese.

Richiesta la produzione documentale di precedenti decisioni in materia e dei successivi bandi di concorso pubblicati dalla Fondazione, all’odierna udienza la Corte ha deciso la causa come da dispositivo.

MOTIVI  DELLA DECISIONE

L’appello è parzialmente fondato , nei limiti di cui alle seguenti argomentazioni.

La questione giuridica è parzialmente sovrapponibile, seppure con  alcune rilevanti peculiarità, a quella trattata in precedenti giudizi già decisi  da  questa Corte che verranno dunque in alcuni stralci motivazionali ripresi, sia pure con alcune rilevanti differenze negli antecedenti fattuali e negli approdi decisionali.

In via preliminare , stante la specifica eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività, deve essere esaminata la questione  della  tempestività  del gravame. La difesa della Fondazione eccepisce la tardività in quanto l’appello avverso l’ordinanza emessa ex art.702 bis c.p.c. avrebbe dovuto essere proposto ex articolo 702 quater con atto di citazione, da notificarsi a cura dell’appellante entro 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza stessa.  Sostiene  dunque  che debba  applicarsi il rito ordinario in appello anche in materia di lavoro,  potendosi  dunque considerare tempestivo il gravame eventualmente proposto con una forma diversa dalla citazione solo se l’a tt o di impugnazione sia stato -non solo depositato ma anche- notificato alla controparte nel termine per impugnare. L’eccezione di tardività del gravame, depositato entro il termine dei 30 giorni ma notificato solo successivamente, appare quindi fondata sul dato testuale dell’introduzione del giudizio sommario in esame mediante atto di citazione (da notificarsi pertanto, ad avviso dell’appellato, entro i termini per la proposizione del gravame).

Invero, l’art. 702 quater cpc non prevede espressamente quale sia la forma dell’atto da utilizzarsi (” L’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’articolo  702 ter produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione…” ).

Non si dubita, in linea generale, che, anche nel codice di rito, laddove si utilizzi la dizione “atto di citazione” per istituti di portata applicativa general e, l’utilizzo dello strumento processuale nel rito del lavoro sia sottoposto alle regole di quest’ultimo (ed in primo luogo all’introduzione del giudizio mediante deposito del ricorso, da notificarsi successivamente). Ebbene, nel caso di specie non può essere ignorato il fatto che il procedimento in primo grado sia stato pacificamente introdotto con ricorso, rito ordinario per le controversie di lavoro, senza che sul punto siano state formulate eccezioni processuali e senza neppure alcun rilievo officioso.

Dunque, in relazione alle forme della domanda di impugnazione ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c. allorquando si voglia sottoporre a gravame l’ordinanza resa  ai sensi dell’art. 28 del D. Lgs . 150/2011 nell’ambito della competenza e giurisdizione del giudice del lavoro, questa Corte ritiene che il rito sommario  processuale speciale sia da rendersi compatibile con il rito differenziato speciale giuslavoristico facendo ricorso al principio di ultrattività del rito. Lo speciale rito ex art.  28, D.Lgs. n. 150/2011, nell’ambito delle materie riservate alla competenza ed alla giurisdizione del giudice del lavoro, implica l’adozione concorrente anche delle forme introduttive e processuali tipiche del rito speciale del lavoro. La forma del reclamo ex art.702-quater c.p.c., avverso l’ordinanza emessa dal giudice del lavoro ex ar t. 28 cit. e di cui all’art. 702-ter, deve dunque avere la corrispondente forma del ricors o, in applicazione anche del principio di ultrattività del rito impegnato in primo grado (cfr. Cass. sent. n. 19666/ 2019, n. 608/2019 e Cass. Civile, Sez.  1, sent. n. 10927/2016).

Appare dunque corretta la scelta dell’a ppellante che ha introdotto il gravame con ricorso, dando seguito al rito già applicato in primo grado, e deve dunque, ad avviso della Corte, affermarsi la tempestività del gravame, attivato con ricorso depositato entro il termine dei 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza definitoria.

Passando al merito,  deve  in  via  principale  essere  trattata  la  questione dell’applicabilità -negata dal Tribunale- delle speciali tutele sostanziali in materia di discriminazione, tra cui quelle introdotte dall’art.28 d.lgs.150\2011, alla fattispecie oggetto di giudizio, nella quale i tre reclamanti, tersicorei già precedentemente assunti con una pluralità di contratti a tempo determinato dalla Fondazione resistente, all’esito di procedura di bando nella quale si erano tutti utilmente collocati , non erano stati assunti (se non con ritardo ed a produzione ampiamente in corso). Occorre innanzitutto delineare lo spazio applicativo delle tutele invocate e l’astratta riconducibilità della vicenda prospettata all’ambito della tutela antidiscriminatoria e poi, in punto di fatto, accertare se l’omessa assunzione si ponga quale comportamento ritorsivo \ discriminatorio attuato dalla Fondazione ed annunciato già con la clausola di bando che sottoponeva l’assunzione alla condizione obbligatoria e necessaria della preventiva sottoscrizione da parte degli aspiranti di un verbale di conciliazione tombale relativo ai rapporti contrattuali pregressi intercorsi tra le parti.

Nella prospettazione difensiva dei lavorator i, il fattore di discriminazione è individuato nella (mancata) sottoscrizione da parte dei reclamanti del verbale di conciliazione predisposto dalla Fondazione per regolar e le vicende pregresse; la comparazione è proposta con riferimento ad altri lavora tori firmatari del verbale di conciliazione e pertanto assunti nonostante la posizione postergata in graduatoria. La tesi sostenuta, in primo grado come nel presente gravame, è che la mancata assunzione dei ricorrenti costituisca un atto di natura ritorsiva e dunque discriminatoria, in diretta discendenza causale dalla mancata sottoscrizione della conciliazione: la Fondazione avrebbe così attuato il comportamento ritorsivo già implicitamente anticipato con la clausola del bando, cioè l’estromissione dal noverodei coristi degli aspiranti che avessero rifiutato di definire con transazione stragiudiziale tutti i precedenti rapporti intercorsi, così rinunciando nella sostanza alla riqualificazione anche giurisdizionale dei precedenti rapporti intercorsi ed ai conseguenti eventuali crediti.

Il Tribunale , condotta un’analisi specifica di tutte le norme antidiscriminatorie richiamate nell’apertura dell’art.28  1.  n.  150\2011  (e  dunque  l’articolo  44  del decreto legislativo 25 luglio 1998 , n. 286, l’art. 4  del  decreto legislativo 9  luglio 200 3, n.  215,  l’art.4  del decreto legislativo 9  luglio 2003,  n.  216, l’art.3  della legge1° marzo 2006, n. 67, l’artico lo 55- quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006 ,n. 198) e ritenuto che nessuna di tali norme apprestasse tutela diretta  alla  fattispecie prospettata, ha escluso che potessero di conseguenza trovare spazio le specifiche  tutele  anche  sostanziali  e  risarcitorie  previste  dai  commi  5  e  6 dell’a rt .28 .

Più in generale, il Tribunale si è espresso sulla tassatività delle ipotesi di discriminatorietà individuate dalla legge che sarebbero dunque insuscettibili di espansione   in   via   analogica    ad    ipotesi    non    direttamente    contemplate. Nell’ ordinanza di prime cure, il giudice ha posto poi, come unica eccezione alla regola di tassatività, le norme dettate in tema di licenziamento discriminatorio  (artt. 4 1. 604/1966; art. 15 comma 1 lett. b comma 2 1. 30 0 / 197 0) l e quali, costituendo  espressione  di   un   principio   generale   (quello   del   diritto   alla  conservazione del posto di lavoro cu i fanno eccezione le ragioni di giusta causa e giustificato motivo di  recesso),  sono  suscettibili  di  integrazione  analogica  e con sentono di includere nella tutela antidiscriminatoria anche il licenziamento attuato con motivo ritorsivo determinante. Secondo la ricostruzione del giudice di prime cure di con tro , le altre disposizioni normative dettate in tema di atti discriminatori devono ritenersi disciplinare ipotesi tassative,  e come tali insuscettibili di integrazione analogica, per cui  non  potrebbero  essere elasticamente estese fino ad includere qualsiasi modalità ritorsiva realizzata nei rapporti tra priva ti, restando esclusa dalla specifica tutela anche l’eventuale ritorsione in ambito  preassuntivo  o  concorsuale,  cioè  in  fase  antecedente  alla costituzione del rapporto.

La ricostruzione offerta dal Tribunale, pur completa e ampiamente argomentata , non convince tuttavia questa Corte in relazione alcuni degli esiti decisori.

In sostanza, l’antecedente fattuale della vicenda può essere individuato nella clausola del bando del 18.9.2014 del quale anche il Tribunale ha dichiarato la nullità. Il bando di selezione in parola prevedeva infatti una clausola, apposta in fondo allo stesso, che  sanciva  quale  condizione  essenziale  e  preliminare all’assunzione a termine la preventiva sottoscrizione di un verbale di conciliazione, con una previsione del seguente testuale tenore: «Articolo 8 Assunzione. I candidati che abbiano conseguito l’idoneità saranno assunti dalla Fondazione con contratti a tempo determinato, relativamente alle esigenze di produzione che dovessero presentarsi nella stagione 2014 / 20 15, previa sottoscrizione di apposito  verbale  da  stilare  innanzi  alla  Commissione   di   Conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Napoli, al fine di dirimere eventuali  controversie» .

La Fondazione in pratica, come evincibile dai documenti allega ti, con tale

clausola poneva quale condizione necessaria, da assolversi preventivamente all’assunzione, che tutti i vincitori delle plurime selezioni sottoscrivessero una istanza congiunta (lavoratore e datore) di denuncia di controversia di lavo ro, unilateralmente predisposta dall’Ufficio del Personale della resistente, al fine di ottenere presso l’Area Con flitt i di Lavoro della D.T.L. di Na po li la fissazione della comparizione delle par ti, al fin e di far sottoscrivere un verbale di conciliazione (peraltro non concordato, bensì integralmente predisposto dalla resistente, il cui contenuto      veniva noto      solo                         all’atto    della   firma  del         negozio              giu ridico transattivo/ abdicativo) .

Secondo la prospettazione dei ricorrenti, la mancata sottoscrizione del  verbale da parte degli appellanti aveva avuto come conseguenza ritorsivo-discriminatoria da parte della Fondazione il diniego di assunzione, dunque un comportamento omissivo di contenuto ritorsivo.

Ebbene, secondo una delle alternative prospettive introdotte dalla difesa dei lavoratori, la denunciata discriminazione deve essere  posta  in  diretta correlazione   con    il   fattore    di    protezione    delle    “convinzioni    personali”; denunciata ,  dunque,  quale discriminazione diretta ai sensi degli art.  2, commi  1, 3 e 4, ed art. 11 della Direttiva 78/2000/CE e dell’art . 21 CDFUE. In particolare, viene più  volte  invoca to  l’ar t.  11  della  citata  direttiva,  laddove  si  qualifica espressamente co me condotta discriminatoria il ” trattamento sfavorevole da parte del datore di lav oro, quale reazione a un reclamo interno all’impresa o a u n’azione legale volta a ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento”.

Occorre dunque ricostruire la nozione di “convinzioni personali”, per valutare se, almeno in via astratta, la fattispecie descritta sia riconducibile a tale  specifico fattore di protezione della normativa antidiscriminatoria.

La nozione di discriminazione sia diretta che indiretta è stabilita dall’ar t .  2, D.L.vo n. 216 del 2003, che definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui” per religione , per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un‘altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le  persone  portatrici  di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” .

Deve a questo punto richiamarsi quanto ricostruito molto recentemente  dalla  Suprema Corte (Corte Cass. Sez. Lavoro 2 gennaio 2020 n. l) con riguardo alla possibilità di includere nell’espressione c on v in z io n i pe sr o nal i di cui  all’art. 1, D.L.vo n. 216 del 2003 un contenuto materiale ampio e  composito, comprendente anche  posizioni  volontaristiche quale  quella  in esameLa Corte ha specificamente ricostruito la  disciplina  del  d.  lgs.  216 \ 03  secondo  lo  spirito della direttiva 2000 / 78, di cui il D.L.vo  costituisce  attuazione,  tale  Direttiva stabilisce  un  quadro  generale  per  la  parità  di  trattamento  in  materia  di occupazione e di condizioni di lavoro, individuando il campo di applicazione del provvedimento, le azioni e le misure  specifiche  dirette  ad  evitare  le discriminazioni sul luogo di lavoro.

Essa trova fondamento nell’art. 13 del trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione  Europea,  i  trattati  che  istituiscono  le  Comunità  Europee  e alcuni atti connessi che, nella versione pubblicata nella G.U. n . C  340  del  10 novembre 1997 testualmente recita “Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e, nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità , il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap , l’età o le tendenze sessuali”

La contiguità dei due termini, religione e convinzioni personali, separati dalle altre definizioni da una virgola, pone in rilievo l’affinità dei due concetti ma non ne determina una sovrapposizione concettuale.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c . d . Carta di Nizza) al l’ar t .

21 ribadisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione. La versione ufficiale dell’art. 21 testualmente recita: “Non discriminazione . I . È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni persona li, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

A questo punto la Corte esprime un concetto centrale e decisivo: “L’elenco dei possibili motivi di discriminazione contenuti nell’art. 21, tra cui le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, non è esauriente, ma costituisce solo un tentativo di esemplificazione espresso dalla formula “i n particolare” .

Accedendosi ad una interpretazione delle norme coerente con la ratio della norma comunitaria lett a alla lu ce dei principi fon da men ta li del Tra tt a to, nel caso specifico può senz’altro ritenersi che la  direttiva  2000 / 78/ CE,  tutelando  le con vmz1om personali avverso le discriminazioni, ” abbia dato ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento (seppure nel solo ambito della regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica il cui ampio contenuto    materiale    può  essere   stabilito   anche   facendo   riferimento   all’art. del  TUEe,  quindi,  alla  Convenzione  Europea  dei   diritti  delluomo.   Infatti, se il legislatore comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi” (così Cass. 1\ 2020 citata).

Il contenuto dell’espressione “convinzioni persona li” richiamato dall’a rt. 4 ,D.L.vo

n. 216 del 200 3, non può perciò che essere interpretato nel contesto del sistema normativo speciale in cui è inserito , restando del tutto irrilevante che in altri testi normativi l’es press ione “convinzioni perosnali” possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali.

Si consideri in particola re che l’a rt. 4 , D.L.vo n. 216 del 2003 prevede il principio di  parità  di  trattamento  senza  distinzione  di  religione,   di   convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale, che si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che  privato  ed  è  suscettibile  di  tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’a rt. 4 , con specifico riferimento tra l’altro , alla lett . a) all’accesso all ‘occupazione e al lavoro , sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione.

Pertanto,  essendo  espressione  dell’ampio  concetto  di  libertà  ideologica , nell’a m b ito della categoria generale delle convinzioni personale e del suo contenuto materiale, caratterizzata dall’eterogeneità delle  ipotesi  di  discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, può essere ricompresa anche la discriminazione fondata sulla libertà di scelta contrattuale  rivendicata  dal soggetto che intenda proteggere  il  suo  diritto  all’iniziativa  giudiziaria. Costituisce discriminazione per convinzioni personali, dunque, anche la diversità di comporta men to riservata dal potenziale datore al lavora to re che non voglia sottoscrivere clausole o accordi evidentemente pregiudizievoli e limitative di diritti acquisiti o acquisibili in via giudiziaria. Dunque, se nel concetto di convinzioni persona li può farsi rientrare anche la  libertà  di autodeterminazione contrattuale del lavoratore , deve ritenersi che da ciò consegua il divieto di atti o comportamenti idonei a realizzar e una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragion e del rifiuto del lavoratore di addivenire a transazion i “forza te”, non espressione di una comune volontà abdicativa.

Ricondotta dunque la fattispecie almeno in astratto, per come prospettata, sotto l’ombrello protettivo della tutela conto le discriminazioni realizzate in ragione delle convinzioni personali del lavoratore, deve passarsi ad esaminare se della discriminazione stessa sia stata fornita in giudizio adeguata prova.

Per la valutazione del quadro probatorio, appare opportuno premettere sinteticamente gli elementi fattuali della vicenda, sostanzialmente pacifici all’es ito delle acquisizioni istruttorie.

Elementi fattuali asseverati e comunque non contestati in giudizio sono l’esistenza del bando pubblicato dalla Fondazione resistente con le clausole già sopra indagate, la partecipazione degli odierni appellanti alla selezione e l’utile collocazione degli stessi in graduatoria rispetto al numero di coreuti necessari per la produzione dell’opera Giselle.

Nelle precedenti parti del bando prodotto è possibile verificare che sono indicati i requisiti per la partecipazione (età cittadinanza, possesso di permesso di soggiorno, godimento dei diritti politici e certificato di sana e robusta costituzione) ed è prevista una verifica di idoneità mediante prove di esame All’esito della stessa è previsto che fosse stilata una graduatoria.

Orbene, come dedotto dalla difesa dei ricorrenti e come già ricostruito dal Tribunale, dalla lettura del bando è evidente che la previa sottoscrizione del verbale di conciliazione veniva posta come unica condizione per l’assunzione di candidati già riconosciuti all’esito della selezione come idonei. L’es ito della selezione e la collocazione utile in graduatoria si palesano come elementi non sufficienti né dirimenti, ponendosi invece come circostanza condizionante la sottoscrizione della conciliazione. La dizione del bando su questo punto non può lasciare alcun dubbio: “i candidati che abbiano conseguito lidoneità saranno eventualmente assunti dalla Fondazione previa sottoscrizione di apposito verbale al fine di dirimere eventuali controversie”.

Trattasi di condicio sine qua non: se non viene sottoscritto il verbale di conciliazione non si verrà assunti, anche se idonei e inseriti utilmente in graduatoria.

La questione non è di poco momento perché gli appellanti – che hanno dato prova di aver precedentemente sottoscritto numerosissimi contratti a tempo determinato per le precedenti stagioni- avevano impugnato detti contratti stragiudizialmente e si apprestavano a proporre ricorso giudiziale (cosa poi effettivamente avvenuta).

In buona sostanza, in base al disposto del bando, per essere assunti  per il balletto in questione, secondo il bando, i lavoratori avrebbero dovuto rinunciare al loro pieno diritto a far valere innanzi ad un giudice la pretesa nullità dei precedenti contratti sottoscritti. In caso di mancata rinuncia non avrebbero lavora to.

Molto significativo appare altresì lo svolgimento dei fatti accaduti innanzi alla commissione di conciliazione, trattandosi di circostanze che si pongono come antecedenti logici alla discriminazione pre-assuntiva lamentata.

Risulta prodotto in atti verbale di conciliazione del 5.12.2014 con il quale ciascun ricorrente sottoscriveva accordo in cui, in cambio di euro 100 a titolo di bonus transattivo, rinunciava ai diritti fatti valere in relazione ad  una  pluralità di contratti a termine  (intercorsi per l’            dal 22.5.2003 all’l. 8 .2 014, per il • • • dal 2.9.2005 al 23.10.2014 e per la • • • dal 4.1.2001 al 27.3.2014) .

La transazione, a fronte della cifra oggettivamente simbolica di 100 euro, aveva peraltro ad oggetto a rinuncia a differenze retributive maturate per il mancato godimento di ferie e riposi compensativi. La funzione di condizione sospensiva della conciliazione, in difetto preclusiva della assunzione, è provata dalla circostanza che•   •   •   •   •    e ••••siano stati poi effettivamente ,  immediatamente dopo la sottoscrizione della transazione, assunti per il periodo 6.12.2014 –  5.1.2015,  per “lo Schiaccianoci” come da contratto in atti.

Tuttavia, la conciliazione sottoscritta è stata poi impugnata dai ricorrenti in data 12.12.2014 per vizio della volontà oggetto di coercizione, impugnativa nella quale si rappresenta che la mancata  sottoscrizione non  avrebbe  permesso  ai  ricorrenti  di lavorare. Nell ‘impugnativa si fa espresso riferimento al verbale di mancata conciliazione del giorno 4.12.2014, giorno in  cui  le  parti  erano  presenti  innanzi alla Commissione in diversa composizione che aveva rifiutato di sottoscrivere i verbali ravvisando l’illegittimità della condotta della Fondazione ed invitando la parte datoriale a procedere comunque all’assunzione, indipendentemente dalla sottoscrizione delle conciliazioni. Tuttavia, le medesime parti sono state convocate innanzi a commissione in diversa composizione  per  il giorno  successivo  (5.12), con vocaz ion e che ha dato il diverso esito di cui appena sopra, con la sottoscrizione delle conciliazioni da parte dei lavoratori, sebbene  nel  frattempo  il  procuratore della parte avesse inoltrato una diffida alla DTL (cfr. folio 9 della produzione di primo grado).

Medesima sequela precontrattuale si è ripetuta per la partecipazione al balletto “Giselle”. Ciascun ricorrente desume di essere stato contattato telefonicamente il 23 .1 .20 15 per la sottoscrizione di nuovo verbale di conciliazione, senza la stipula del quale egli non avrebbe potuto lavorare. Nelle more è stata inoltrata nuova diffida alla DTL.

E’ in atti, quindi,  il  verbale  del  19.2.2015  innanzi  alla  Commissione provinciale di conciliazione . Il suo contenuto è particolarmente significativo.

In  quella   sede  è  intervenuto   il  direttore   territoriale   del  lavoro dott.•   •                   il quale, essendo  venuto  a  conoscenza  delle  precedenti  diffide,  ha  domandato  ai lavoratori “se la loro presenza innanzi all’intestata commissione per firmare i verbali oggi sottoposti alla loro attenzione e prodotti dalla Fondazione • • • • sia il frutto di una loro  libera  determinazione o se ,  invece , gli  stessi  siano presenti all’ odierna seduta ed eventualmente pronti a sottoscrivere i verbali dietro costrizione. In particolare , il direttore territoriale domanda se gli stessi siano stati invitati a sottoscrivere il verbale di conciliazione dalla stessa Fondazione predisposto in quanto condizione necessaria per essere assunti con successivi contratti a tempo de termina to”.

La risposta degli odierni appella nti è stata così verbalizzata: “Alla domanda il lavoratore espressamente dichiara di essere presente oggi davanti alla commissione in parola perché invitato dalla direzione del personale della Fondazione a sottoscrivere denuncia di controversia di lav oro, nonché il presente verbale di conciliazione redatto esclusivamente dalla fondazione- al fine di poter essere assunto con successivi  contratti a  tempo determinato.  In sintesi  lo stesso dichiara che  la Fondazione  gli ha  espressamente  comunicato che  se  non avesse sottoscritto  il  verbale di conciliazione  allegato,  non  avrebbe  più lavorato  per la fondazione e

— – Lo stesso lavoratore dichiara di essere titolare del diritto all’assunzione a termine in quanto idoneo nella graduatoria di merito formata a seguito di audizione\ selezione indetta dalla Fondazione, selezione che prevedeva espressamente l’ assunzione a condizione della sottoscrizione del verbale di conciliazione innanzi a questo ufficio”.

Assolutamente significativa appare poi il prosieguo del verbale, nel quale si dà conto dello sviluppo degli eventi: “A questo punto, presente la sig. ra M P G , nella qualità di Direttrice del Personale della fondazione, invitata a rispondere sulla questione appena sollevata dal Lavoratore, dichiara di aver predisposto tutte le denunce di controversie e tutti i verbali di conciliazione già dal Novembre 2014 , dietro espressa direttiva del Commissario Straordinario della Fondazione Teatro Appresa la notizia e vista la conferma da parte dato riale ,  immediatamente  i membri della commissione M d P e M P, rispettivamente rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro presso la DTL di Napoli , contestano la mancanza della libera volontà dei lavoratori e si rifiutano di sottoscrivere i verbali di conciliazione. Anche il presidente della Commissione P M esprime il proprio dissenso a far sottoscrivere le predette conciliazioni. Collateralmente il direttore della DTL, in  epigrafe  indicato,  dispone  la  verbalizzazione di quanto accaduto conferendone l’onere agli avvocati  presenti.  A questo punto l’ A vv. Santoni abbandona l’  fficio alle ore 11,00. Del che è verbale stilato mediante l’ ausilio del funzionario dr. G R  in data diciannove febbraio 2015 conclusosi alle ore 11, 50” .

In buona sostanza il direttore  territoriale  del  lavoro,  presente  al  momento dell’accesso innanzi alla Commissione, ha provveduto a verificare sia il reale svolgimento dei fatti prodromici (ovvero che le denunce ed i verbali erano stati predisposti dalla sola parte datoriale) sia la presenza (rectiu s : assenza) di libera volontà di transigere. Il tutto è verbalizzato. A fronte della concreta verifica della mancanza di libera volontà non si è proceduto alla transazione.

In data 20.2.2015, poi, ciascun ricorrente ha ricevuto ulteriore invito a presentarsi innanzi alla commissione a firma della sovrintendente P, del

seguente tenore: ” in riferimento alla mancata conciliazione del 19  febbraio  u.s. presso la direzione territoriale del Lavoro di Napoli e dovendo dirimere il contenzioso in atto con la Fondazione  Teatro•                                                                                   la invitiamo a presentarsi presso la sede dell’ Unione Industriali….il giorno 23 febbraio 2015 al fine di esperire un ulteriore tentativo di conciliazione in sede sindacale ai sensi dell’ a rt. 411 cpc assistito da un rappresentante sindacale di sua fiducia munito  del potere di  firma depositata  presso la direzione territoriale del la v oro.”

A questo punto in data 23.2.2015 gli odierni appellanti non si presentavano e inviavano diffida , facendo presente di avere diritto all’assunzione in base alla collocazione nella graduatoria stilata all’esito della selezione.

Tuttavia, nonostante la posizione in graduatoria e lo sviluppo fattuale fin qui riportato, i ricorrenti non sono stati assunti per  il  balletto  Giselle  che  aveva inizio il 23.2.2015, così realizzandosi la condotta ritorsivo-dis c rim in a to ria .

Va anche detto che allegati in produzione di parte appellata ci sono i verbali di conciliazione   riguardanti   altri   lavoratori   (sulla    cui    assunzione    non    vi    è con tes taz ione ); e vi è la missiva del 13.3.2015 a firma del Maestro And olfi, rivolta al presidente della Fondazione, cui per esigenze di  produzione  si  chiede  per  il balletto Giselle, il necessario completamento dell’organico ” l’assunzione di 3 uomini e una donna di cui un lavoratore con diritto di precedenza di chiamata nelle assunzioni a termine, che hanno rifiutato la transazione in data 19 febbraio u.s “.

Ciò in quanto tali integrazioni di personale erano assolutamente necessari per la produzione. Il 14.3 .20 15 , perciò , gli appellanti hanno sottoscritto il contratto sotto la dirigenza del Sindaco di Na poli, in luogo del sovrintendente.

Orbene è del tutto evidente che la discriminazione ai danni dei ricorrenti si è verificata, poiché per la produzione sono stati assunti inizialmente solo quelli che avevano sottoscritto le transazioni, sebbene insufficienti per la produzione stessa, come chiaramente dimostra la missiva del maestro

Sotto il profilo dei carichi probatori e del piano della ripartizione dei relativi oneri, va ritenuto che le  circostanze  fattuali  introdotte  siano  sufficienti  a delineare il rapporto causa-effetto tra la precedente scelta di autodeterminazione contrattuale del lavoratore che non ha sottoscritto il verbale e  il comportamento  ritorsivo  e  sostanzialmente  discriminatorio  della Fondazione. Il dato numerico seppure piuttosto generico è comunque probante in quanto contestualizzato in termini di raffronto con dati comparativi riferiti alla consistenza ed entità dell’intero organico assunto per l’opera . Del res to, la Fondazione non ha provato che una par te, neppure minima, dei coreuti fosse stata assunta nonostante il rifiuto alla sottoscrizione della conciliazione. Non sono stati espressi e provati dalla resistente elementi selettivi alternativi cui siano stati ispirati i criteri di assunzione, restando dunque provato l’unico criterio della scelta dismissiva ottenuta con la sottoscrizione delle preventive conciliazioni.

Nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio l’attore ha soltanto l’on ere di fornire elementi di fatto, anche di carattere statistico,  idonei  a  far  presumere  l’esistenza di una discriminazione. Deve tuttavia chiarirsi che non è affatto previsto che i dati statistici debbano assurgere ad autonoma fonte di prova; conseguentemente , qualora il dato statistico fornito dal ricorrente indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di lavoratori, è onere del datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state invece effettuate secondo criteri oggettivi e non discriminatori (cfr. art.  8 Direttiva 2000/ 78 / CE e Par 15 dei “consid erando” ).

Quanto all’agevolazione probatoria in favore del soggetto che lamenta la discriminazione è stato evidenziato (cfr.  Cass.  27 settembre  2018  n.  23338,  Cas s . 12 ottobre 2018 n. 25543) che le direttive in materia (n. 2000/78, così come le  nn. 2006/ 54 e 2000 / 43), come interpretate della Corte  di  Giu s tizia ,  ed  i  decreti legislativi   di   recepimento   impongono   l’introduzione  di   un          meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del  carico probatorio gravante sull’attore   ” prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia avuto luogo, per far scattare l’onere per il datore di lavoro di dimostrare l’insussistenza della discriminazione”, (cfr. Cass. n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere ). Il lavoratore deve provare il fattore di rischio, il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, deducendo una correlazione significativa fra qu esti elementi che rende plausibile la discriminazione; il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significa to , la natura discriminatoria del comportamento, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi  parametri  nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione , (cfr. Cass. n. 14206/ 13 coerente con le indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia 17.7.08, C303/ 06 Colem an n, 10 .7.08 C- 54/07 Feryn,  16.7.15 C- 83/ 14 Chez ).

Dunque, nel caso m esame, può ritenersi adeguatamente provato che il trattamento deteriore riservato agli appellanti trovi fondamento nella volontà di discriminare il lavoratore in ragione delle sue “convinzioni persona li” che lo avevano condotto a non cedere alla condotta coercitiva della imposizione di un verbale di conciliazione e transazione. Lo stesso tentativo di estorsione negoziale portato avanti dalla Fondazione appare chiaramente discendere, quale reazione ritorsiva, all’azione dei lavoratori di rivendica della stabilità occupazionale e di conversione dei ctd (esercitata in separato giudizio) che il datore di lavoro tentava appunto di disinnescare ottenendo delle transazioni tombali.

Il datore di lavoro risulta in sintesi aver violato, in sede di accesso al lavoro, il diritto assoluto della libertà ideologica ed all’autodeterminazione negoziale del lavoratore, vistosi coartato nella propria volontà negoziale all’atto immediatamente preliminare alla conclusione del contratto. Si tratta di condotte che costituiscono reazione all’esercizio di un diritto soggettivo inviolabile quale il diritto a determinare liberamente la propria volontà negoziale nell’ambito dell’accesso al lavoro, riconducibile quest’ultima alla categoria delle convinzioni personali protette contro gli atti discriminatori. Appare in sintesi raggiunta la prova dell’intento discriminatorio essendo emersi elementi idonei ad individuare il nesso di causalità tra le circostanze accertate nella dinamica preassuntiva e l’intento di rappresaglia realizzato con l’omissione delle assunzioni, dal momento che le risultanze processuali acquisite presentano sufficienti i requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Dall’accertamento fin qui condotto  discende  il diritto  di  ciascuno  degli appellanti al  risarcimento  dei  danni,  patrimoniali  ma  anche  non  patrimoniali,   pure  oggetto di domanda.  L’art.28  d.lgs.150\2011  attivato  nel  presente  giudizio  contiene  anche la sintesi dei criteri di liquidazione. Recita  la  disposizione  citata,  nella  parte  a questo punto rilevante: “… 5. Con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche  non  patrimoniale  e ordinare la cessazione del comportamento , della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole , a dottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuove me gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione , il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate . Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l’ente collettivo ricorrente.

Ai fini della liquidazione del danno, il giudice tiene conto del fatto che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente  attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

Quando accoglie la domanda proposta, il giudice può ordinare la pubblicazione del provvedimento , per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale. Dell’ordina nz a è data comunicazione nei casi previsti dall’articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998 , n. 286, dall’articolo 4 , comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 20 03 , n. 215 , dall’a articolo 4 , comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003 , n. 216 , e dall’articolo 55-quinquie s, comma 8, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198»

Per quanto riguarda il danno patrimoniale, lo stesso decorre dalla scadenza del termine di adempimento dell’obbligo di assunzione coincidente con l’inizio dell’opera , e deve essere commisurato alle retribuzioni non percepite fino alla costituzione del rapporto.

In ordine alla quantificazione del risarcimento del danno patrimoniale perequato ai giorni di mancata retribuzione, gli appellanti hanno lamentato che il Tribunale abbia quantificato lo stesso in soli 15 giorni anziché in relazione ai 18 giorni effettivamente non lavora ti. Con riferimento poi ai parametri di quantificazione utilizzati dal giudice di prime cure, hanno lamentato che lo stesso abbia erroneamente preso in esame quale retribuzione dovuta ai lavoratori solo quella tabellare, assumendo quale retribuzione minima inderogabile solo la retribuzione minima, la contingenza e ….. chiedevano che invece la retribuzione minima inderogabile fosse quantificata nella misura e con le voci base evincibili  dallo statino paga nel quale compaiono anche l’assegno integrativo e l’indennità  di mensa, rispettivamente retribuzione accessoria di natura aziendale ed elemento di merito ma anche fisso e continuativo della retribuzione. Così quantificata, con l’inclusione delle voci retributive elenca te, la retribuzione minima inderogabile andava correttamente quantificata nell’importo di euro 1881,93. La ricostruzione quantificatoria non è stata in alcun modo avversata dalla  difesa  della  resistente che si è limita ta a chiedere, nell’appello incidentale, la riforma della condanna di primo grado con rigetto integrale della domanda.

Possono quindi essere accolti i criteri di calcolo formulati da  parte appellante, con inclusione nella base di calcolo delle voci fisse indicate. La condanna per il periodo di manda assunzione, a titolo di danno  patrimoniale  potrà  essere ricalcolate e quantificata in euro 1.881,93, con conseguente condanna della Fondazione appellata al pagamento della corrispondente somma in favore di ciascuno degli appellanti, oltre interessi e rivalutazione moneta ria .

Può essere riconosciuto, come espressamente previsto dall’art.28 commi 5 e 6, altresì il danno non patrimoniale, discendente dal fatto medesimo della discriminazione subita e collegato anche alle modalità particolarmente intense di pressione rivolta ai lavorato i per coartarne la volontà negoziale, facendo leva sul genera le bisogno di accesso al contratto di lavoro per soddisfare le esigenze primarie retributive, strettamente collega te alla necessaria libertà e  dignità dell’es is tenza, nonché per es ercitare la propria competenza professionale e dunque esprimere e realizzare la propria personalità.

Il danno può essere equitativamente liquidato in misura pari all’entità delle retribuzioni non conseguite per la durata del comportamento ritorsivo­ discriminatorio, individuando il criterio liquida torio proprio in ragione dello stretto collegamento del danno subito con la prestazione lavorativa cui la resistente aveva illegittimamente inibito l’accesso a gli appellanti, oltre interessi al tasso legale dall’epoca dell’illecito sulle somme via via rivalutate fino all’attualità.

Le ulteriori domande di inibitoria e di adozione di piani di rimozione della discriminazione e dei suoi effetti risultano attualmente infondate in ragione dell’integrale ed ormai remoto esaurimento fattuale di tutta la vicenda, almeno nei rapporti tra le parti in giudizio.

La ricostruzione fin qui operata rende assorbito l’appello incidentale che risulta ovviamente rigettato per infonda tezza .

L’accoglimento solo parziale della domanda induce a compensare per metà le spese del doppio grado; la restante parte segue la soccombenza della società appellata e viene liquidata per ciascun grado come da dispositivo, con attribuzione.

P.Q.M.

La Corte così decide:

  1. accoglie parzialmente il gravame e, in riforma del provvedimento impugnato, condanna la Fondazione appellata al pagamento in favore di ciascun  ricorrente della somma di euro 1.881,93 per il periodo di mancata assunzione,  oltre interessi   rivalutazione monetaria;
  2. condanna altresì la Fondazione appellata, per i titoli e le causali di cui in motivazione, al pagamento in favore di ciascun ricorrente della ulteriore somma di euro 1.881,93, oltre accessori come indicati in motivazione;
  3. rigetta l’appello incidentale proposto dalla Fondazione;
  4. compensa tra le parti le spese del doppio grado nella misura di metà, e pone la residua parte a carico della Fondazione appellata, liquidando in favore degli appellanti per il primo grado, in tale ridotta misura, la somma di euro 2.054 ,50 , oltre Iva, CPA e rimborso spese forfettarie con attribuzione; liquida altresì in favore degli appellanti per il presente grado, in tale ridotta misura, la somma di euro 4.757,50, oltre Iva , CPA e rimborso spese forfettarie con attribuzione.

Così deciso in Napoli in data 7 settembre 2021

Il Consigliere est.

Dr.ssa Chiara De Franco Il Presidente Dr. Gennaro Ia