Discriminazione di genere sul lavoro e assegno divorzile, Cassazione, ordinanza 9 settembre 2020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

– Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

– Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

– Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

– Dott. CAIAZZO Rosario- Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 ORDINANZA sul ricorso 8661-2018 proposto da: G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIO FANI 106, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO ROSSI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente

– contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLA RICCIOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA PUCILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 12/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA GIULIA.

 Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 97/2017 depositata il 12/9/2017, in giudizio promosso da C.A., nei confronti del coniuge G.S., al fine di sentire pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, contratto tra le parti il 4/8/1985, ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale che, dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva assegnato la casa coniugale, in comproprietà dei coniugi, al G., perchè vi continuasse ad abitare con il figlio F., maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, respingendo le restanti domande, compresa quella della C. di riconoscimento in proprio favore di un assegno divorzile, nella misura di Euro 700,00 mensili. La Corte d’appello, in parziale accoglimento del gravame promosso dalla C., ha disposto che il G. versasse, con decorrenza dalla data della domanda, alla ex coniuge un assegno divorzile di Euro 250,00 al mese, oltre rivalutazione Istat annuale, considerato che la C. non risulta svolgere una stabile attività lavorativa e “ben difficilmente potrà inserirsi nel mondo del lavoro in modo proficuo”, essendo “52enne”, mentre l’ex marito risulta svolgere un’attività di lavoro dipendente, con un reddito annuo netto pari ad Euro 20.853,00, e fruisce dell’immobile, già casa coniugale, seppur sostenendo l’onere del pagamento del mutuo e del mantenimento del figlio, il tutto tenuto anche conto della non breve durata del matrimonio, dall’agosto 1985 al marzo 2007, epoca della separazione consensuale tra i coniugi. Avverso la suddetta sentenza, G.S. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di C.A. (che resiste con controricorso). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta:

 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendosi riconosciuta la spettanza all’ex coniuge di un assegno divorzile, in difetto di una compiuta verifica della mancanza dell’indipendenza economica da parte della richiedente ovvero dell’impossibilità per ragioni oggettive di raggiungerla, nella specie insussistenti (essendo la C. comproprietaria dell’immobile, già casa coniugale, e svolgendo la stessa attività lavorativa nel settore delle pulizie e dell’assistenza agli anziani, non regolare, e comunque essendo pienamente capace di procurarsi un lavoro);

2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 115 c.p.c., avendo la Corte di merito posto a fondamento della decisione fatti e circostanze non provate, in difetto di dimostrazione da parte della C. dell’assenza di autonomia economica ovvero dell’impossibilità di essere autosufficiente economicamente;

3) con il terzo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile, ex artt. 132 e 115 c.p.c.. 2. La prima censura è infondata. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia vagliato il presupposto del riconoscimento dell’assegno L. n. 898 del 1970 ex art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, costituito dalla inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno e dall’impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la recente sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che:

1) “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”;

2) “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”;

3) “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. La Corte d’appello ha compiuto una corretta valutazione del presupposto del riconoscimento dell’assegno, dando rilievo all’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine “alla disparità reddituale in favore della C.”, emergente dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi del G., dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato, e dallo stato di disoccupazione della C., la quale aveva allegato di non potere più svolgere neanche quei lavori di addetta alla pulizia, che prima le consentivano di guadagnare Euro 400,00 mensili. Sono valsi in tal senso l’assenza di un reddito da lavoro della C., l’età non più giovane della donna, la situazione del mercato ed il fatto che la stessa risulta comproprietaria unicamente dell’immobile adibito a casa coniugale, assegnato all’ex coniuge che vi abita con il figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente. Non vi è stata dunque violazione della L. div., art. 5, comma 6, avendo la Corte d’appello, valutate le risultanze istruttorie, ritenuto che vi fosse un divario delle condizioni economiche dei due coniugi e l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione della C., stante il peggioramento delle condizioni economiche della stessa, conseguente alla perdita delle fonti di lavoro, peraltro irregolare, prima saltuariamente svolto come addetta alle pulizie.

3. Il secondo motivo è inammissibile. Invero, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 14627/2006; Cass. 24434/2016; Cass. 23934/2017). E’ opportuno evidenziare che l’onere probatorio, per entrambe le parti, nei giudizi in tema di assegno divorzile può essere alleggerito allorchè alcune circostanze possano ritenersi acquisite, senza la necessità di specifica prova, attraverso tre meccanismi concorrenti tra di loro: la mancata contestazione, ad opera della controparte, di fatti specificamente esposti (art. 115 c.p.c., comma 1), il ricorso a fatti notori (art. 115 c.p.c., comma 2), il richiamo a presunzioni semplici (art. 2729 c.c.). Nella specie, il giudizio espresso dalla Corte di merito risulta corretto anche alla luce del nuovo orientamento espresso dalle Sezioni Unite nel 2018 e dalle successive pronunce di questo giudice di legittimità (cfr. in motivazione, Cass. 21926/2019, nella cui ordinanza questa Corte ha evidenziato come l’assegno di divorzio abbia una funzione assistenziale, imprescindibile ma in pari misura compensativa e perequativa, cosicchè può “ritenersi che, anche alla luce della nuova elaborazione ermeneutica dell’art. 5, comma 6, deve essere riconosciuto il diritto all’assegno divorzile, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati gli altri criteri, ancorchè equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari”, sempre previo preliminare esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti). Si è dato dunque, nella specie, correttamente rilievo alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile, a fronte comunque dell’accertata disparità economica tra gli ex coniugi conseguente allo scioglimento del vincolo e, quanto, alla richiedente l’assegno, della condizione di disoccupazione, con conseguente mancanza di mezzi adeguati a garantirle un’esistenza libera e dignitosa, e della oggettiva difficoltà di procurarsi un lavoro, per le condizioni di età e personali. Invero, a fronte di un’accertata, come nella specie, non autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente, l’assegno divorzile può anche fondarsi in via esclusiva o prevalente sul criterio assistenziale senza valutare, o anche laddove non si possa valutare compiutamente, il profilo perequativo o compensativo.

4. Infondato è pure il terzo motivo. Non ricorre il vizio di motivazione meramente apparente o di omessa motivazione su fatto decisivo, avendo la Corte esaustivamente vagliato il materiale probatorio e motivato in modo logico e coerente, dando conto della sperequatezza reddituale tra i coniugi, dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’impossibilità oggettiva di procurarseli, in considerazione dell’età, quanto alla C., e della durata del matrimonio. Questa Corte, a Sezioni Unite, ha chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione). Nella fattispecie de qua, invero, la Corte d’appello ha espresso, in modo sintetico ma comunque esaustivo, le ragioni giuridiche poste a fondamento della propria decisione, non potendo conseguentemente prospettarsi, sotto tale profilo, alcun vizio comportante la nullità della pronuncia medesima. 5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 febbraio 2020. Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2020