Discriminazione razziale, mancata concessione dell’assegno nucleo familiare ai cittadini extracomunitari, Tribunale di Genova, ordinanza 24 settembre 2012

a scioglimento della riserva, visti gli atti ed esaminate le opposte deduzioni delle parti, osserva quanto segue

E. H. è cittadino marocchino residente in Savignone (GE). Ha chiesto accertarsi il carattere discriminatorio delle condotte dell’Amministrazione di questo Comune nonché dell’INPS che gli hanno negato il diritto all’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli, di cui all’art. 65 l. 448/98, per la ragione che egli non è cittadino italiano o comunitario.

Le questioni sul rito e sull’azione proposta.

Ha pertanto agito nei confronti dei due enti predetti qualificando la procedura introdotta sulla base delle norme di cui agli artt. 702-bis c.p.c., 44 D.Lgs. 286/98, 4 D.Lgs. 215/2003. Dovendosi ritenere effettivamente incompatibile col rito del lavoro — è quanto ha eccepito INPS — il procedimento sommario di cognizione introdotto con la legge 69/2000, risulta corretto l’inquadramento del presente giudizio nello speciale procedimento disciplinato dall’art. 44 D.Lgs. 286/98, richiamato del resto anche dall’art. 4, primo comma, D.Lgs. 215/2003. La sua disciplina è ormai da ritenersi integrata dall’art. 28 D.Lgs. 150/ 2011 e dalle norme processuali in questo richiamate.

Ulteriore eccezione di rilievo pregiudiziale concerne l’inammissibilità dell’azione così qualificata. L’INPS ha ritenuto infatti che non possa predicarsi per sé — ma il rilievo è evidentemente riferibile anche al Comune di Savignone — un comportamento discriminatorio quando esso sia adottato nella mera esecuzione di norme di legge.

L’eccezione non è fondata.

Ai sensi dell’art. 43, secondo comma, D.Lgs. 286/98, “costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa”.

La norma riprende la nozione di derivazione comunitaria che censura una disposizione, un criterio od una prassi che, apparentemente neutri, determinino di fatto nelle persone a cui sia riferibile uno dei motivi tipizzati, una posizione di particolare svantaggio. Pertanto, in virtù di quanto affermato anche dalla giurisprudenza comunitaria [sul punto cfr. già CGUE 23 maggio 1996, causa C-237/94, O’Flynn c. Adjudication Officer,], saldamente ancorata ad una concezione funzionale dell’illecito discriminatorio, a rilevare è unicamente l’effetto pregiudizievole che discende da atti e comportamenti, prescindendo dunque dalla motivazione addotta così come dall’intenzione di chi li adotta.

Più in generale, può ormai dirsi acquisita nel nostro ordinamento una nozione oggettiva di discriminazione (sia diretta che indiretta) che ascrive rilevanza decisiva al risultato delle azioni, tra cui è compresa l’applicazione delle norme positive. È quanto si desume dall’avvenuto recepimento delle direttive dell’Unione 2000/43, 2000/78 e 2002/73, rispettivamente ad opera dei d.lgs. 215 e 216/2003 e 145/2005.

Nel caso in esame il ricorrente ha subito un indiscutibile pregiudizio dall’ applicazione delle norme — ritenuta dalle parti convenute aderente al loro contenuto dispositivo — che vieterebbero il riconoscimento dell’emolumento rivendicato a cittadini stranieri. Pertanto sussiste in via astratta la discriminazione che legittima all’azione ex art. 44 D.Lgs. 286/98.

Stabilita l’ammissibilità della domanda volta a rimuovere gli ostacoli alla percezione dell’assegno per gli anni tra il 2010 ed il 2012, occorre accertarne la proponibilità.

Va in premessa rilevato che nella discussione orale la difesa attrice vi ha rinunciato per l’anno 2010, a seguito dell’avvenuto riconoscimento da parte del Comune di Savignone (che aveva ricevuto dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, da parte del ricorrente, circa la nazionalità italiana di lui e dei componenti il proprio nucleo familiare — all. 3 alla memoria di costituzione del Comune). La rinuncia, che equivale a riduzione della domanda con sua conseguente parziale reiezione [cfr. Cass., sez. II, 8 luglio 1981, n. 4488], rende irrilevante l’indagine sulla proponibilità per l’assegno di quell’anno.

Quanto agli anni successivi, va precisato che la l. 388/2000, art. 80, comma nono, riconosce il diritto all’assegno al richiedente “che ne abbia fatto annualmente domanda nei termini previsti dalle disposizioni di attuazione”. L’art. 16, primo comma, DM 452/2001 prescrive che essa sia “presentata, per ogni anno solare o periodo inferiore in cui sussiste il diritto, entro il termine perentorio del 31 gennaio dell’anno successivo a quello per il quale è richiesto il beneficio”.

È tra le parti pacifico il fatto che il ricorrente abbia avanzato una sola domanda, successiva a quella di cui si è detto, spedita l’11 e pervenuta al Comune di Savignone il 12.4.2012 [all. 12 e 13 al ricorso]. Essa è pertanto tardiva rispetto al termine stabilito per l’anno 2011. È da ritenersi invece tempestiva per l’anno 2012, poiché la norma di riferimento, fissando la scadenza entro cui richiedere il beneficio, non ha precluso la facoltà di proporne istanza anticipata in corso di periodo (salvo rimettere evidentemente all’Amministrazione la facoltà di valutarne la fondatezza nel merito).

La difesa attrice ha sostenuto che la domanda non sarebbe stata proposta per il 2011 per il rifiuto opposto dal personale comunale di consegnargli l’apposito modulo. Il diniego, unitamente alla constatazione che anche il sito internet dell’INPS riportava il requisito di cittadinanza per accedere al beneficio, l’avrebbe dissuaso dalla formulazione dell’istanza, diversamente da quanto fatto poi l’anno successivo.

Dovendosi dunque addebitare alla condotta delle parti convenute, il ricorrente consererebbe, a suo giudizio, il diritto all’assegno o, quanto meno, ad un risarcimento d’importo equivalente.

La tesi non è fondata per ragioni di diritto e di fatto.

Dal primo punto di vista, occorre considerare che, data la natura assistenziale dell’assegno, la domanda assolve alla funzione di avviare il procedimento amministrativo preliminare alla controversia giudiziale, ai sensi dell’art. 443 c.p.c.; in difetto, pertanto, l’azione è improponibile [Cass., sez. lav., 28 dicembre 2011, n. 29236].

Secondariamente, la tesi pretende di giustificare mediante una prospettazione di fatto e meramente soggettiva un’omissione ad un adempimento di legge, trascurando, tra l’altro, il fatto che l’anno prima (e l’anno dopo) il ricorrente abbia avuto modo di depositare l’istanza.

Il diritto fatto valere.

Il ricorso proposto da A. E. H va di conseguenza esaminato esclusivamente con riguardo all’anno 2012. In questi limiti è nel merito fondato.

È pacifico tra le parti ed è comunque documentato il fatto che  E. H. sia titolare di permesso per soggiornanti di lungo periodo [all. 7] e che in data 21.12.2009 sia nata la sua terza figlia. Neppure è controverso il requisito economico [all. 9-10] per accedere al beneficio.

Questo è previsto dalla legge 448/98 che l’ha introdotto all’art. 65, con effetto dall’1.1.99, “in favore dei nuclei familiari composti da cittadini italiani residenti, con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, che risultino in possesso di risorse economiche non superiori al valore dell’indicatore della situazione economica (ISE)..”. L’art. 80, quinto comma, l. 388/2000 ha esteso il diritto anche ai nuclei familiari composti da cittadini comunitari.

Il ricorrente fonda la propria domanda sulla disciplina di fonte sovranazionale che, vietando discriminazioni nei confronti di cittadini stranieri e, prima ancora, di cittadini soggiornanti di lungo periodo, imporrebbe un’interpretazione conforme o, altrimenti, la disapplicazione delle disposizioni interne limitative del diritto sotto questo profilo.

L’art. 11 della direttiva 2003/109/UE del 25.11.2003 (relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), in particolare, stabilisce che “il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda (..) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione sociale” (primo comma). Riconosce agli Stati membri la facoltà di “limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali” (quarto comma).

Il tredicesimo considerando della stessa direttiva precisa che, “con riferimento all’assistenza sociale, la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza a lungo termine..”.

Essa è stata trasposta nel nostro ordinamento interno col D.Lgs. 3/2007, che ha modificato il D.Lgs. 286/98 (cd. t.u. sull’immigrazione). Con l’art. 9, comma 12, lett. c), lo straniero titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo è stato tra l’altro ammesso a godere “delle prestazioni di assistenza sociale, di previdenza sociale .. salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale”.

Orbene, il nostro legislatore non ha introdotto le limitazioni che l’art. 11, quarto comma, della direttiva consentiva. Il principio del tredicesimo considerando fa comprendere come l’assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli rientri tra quelli essenziali secondo i principi dell’Unione, poiché è diretto al sostegno per il reddito ed all’assistenza familiare. Riconosce diritti strumentali a rapporti che hanno tutela diretta nella nostra legge fondamentale (artt. 29, primo comma, e 31, primo comma, Cost.).

La Corte di giustizia europea [grande sezione, 24 aprile 2012, causa C-571/10, Kam- beraj] ha del resto affermato che, “dal momento che l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri ed il diritto di tali cittadini al beneficio della parità di trattamento nei settori elencati all’art. 11, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 costituiscono la regola generale, la deroga prevista al paragrafo 4 di tale articolo deve essere interpretata restrittivamente” [punto 86]; tale deroga può essere invocata “unicamente qualora gli organi competenti dello Stato membro interessato per l’attuazione di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi della deroga suddetta” [p. 87]; qualora un sussidio risponda alla finalità enunciata nell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, “non può non essere considerato, nell’ambito del diritto dell’Unione, come non compreso tra le prestazioni essenziali ai sensi dell’art. 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109” [p. 92].

Va rammentato che l’art. 6 del Trattato UE — così com’è stato riformulato dal Trattato di Lisbona in vigore dall’1.12.2009 — riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali adottata il 12.12.2007. Si è detto che, pur nei limiti prefissati delle competenze definite nei trattati dell’Unione, la Carta è stata comunitarizzata.

All’art. 34 essa riconosce, in conformità al diritto dell’Unione, il “diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali” a chiunque risieda o si sposti all’interno dei suoi Stati membri (comma secondo) nonché “il diritto all’assistenza sociale .. volta a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti” (comma terzo).

In quanto fondato sulla limitatezza delle risorse economiche dell’avente diritto, l’assegno su cui si controverte persegue dunque le finalità enunciate in queste disposizioni dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Ciò dà conferma del fatto che esso rientra tra le prestazioni essenziali, relativamente alle quali lo Stato italiano non poteva (e, si è visto, di fatto non ha inteso) avvalersi della facoltà di deroga prevista dall’art. 11, quarto comma, della direttiva 2003/109.

Pertanto, un’interpretazione del combinato disposto degli artt. 65 l. 448/98 ed 80, quinto comma, l. 388/2000 in senso di esclusione dei cittadini non comunitari lungo soggiornanti nel territorio dello Stato si porrebbe in contrasto non solo con le regole dell’Unione, ma anche con la disciplina interna che le ha trasposte.

Occorre verificare se, rispetto a queste, sia possibile una lettura delle disposizioni predette conforme per risolvere tale possibile antinomia. Tale operazione si fonda sull’obbligo per gli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguirne il risultato sulla base del testo e dello scopo [v. già Corte giust., 10 aprile 1984, causa C-14/83, Van Colson e Kamann; più recentemente, tra le tante, 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, 15 maggio 2003, causa C-160/01, Mau, e 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler].

La Corte di giustizia dell’Unione, in particolare, chiede al giudice interno di adottare la presunzione per cui lo Stato, avvalendosi della discrezionalità riconosciutagli dall’art. 288 del Trattato fondativo U.E., abbia avuto l’intenzione di adempiere pienamente gli obblighi della direttiva considerata nel caso di specie.

Il principio dell’interpretazione conforme richiede che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi interpretativi riconosciuti da quest’ultimo [cfr. anche Corte giust., 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact, p. 100].

A questo proposito, se il diritto nazionale, mediante l’applicazione di metodi di interpretazione da esso riconosciuti, in determinate circostanze consente di interpretare una norma dell’ordinamento giuridico interno in modo tale da evitare un conflitto con un’altra norma di diritto interno o di ridurre a tale scopo la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra, il giudice ha l’obbligo di utilizzare gli stessi metodi al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva” [cfr. CGUE, 5 ottobre 2004, C-397 e 403/01, Pfeiffer, p. 105 e 106 segg.].

Nel caso in esame, la trasposizione della direttiva 109, avvenuta col D.Lgs. 3/2007, è successiva alla disciplina di legge sull’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli. È così possibile ritenere che il legislatore nazionale abbia inteso allargarne ulteriormente l’area dei beneficiari, estendendola, dopo i cittadini dell’Unione, anche ai titolari di permesso di lungo soggiorno. Questa soluzione ermeneutica è del tutto aderente ai canoni interpretativi del nostro ordinamento e rende il combinato disposto degli artt. 65 l. 448/98 ed 80, quinto comma, l. 388/2000 compatibile con la disciplina di carattere antidiscriminatorio, eliminandone il contrasto.

La portata decisiva degli argomenti esposti determina l’irrilevanza delle ulteriori eccezioni sollevate dalle parti resistenti.

La riferita conclusione comporta il diritto del ricorrente all’assegno richiesto per l’anno 2012, nei limiti delle quote già maturate mensilmente.

La legittimazione passiva dell’INPS e la responsabilità dei convenuti.

Il ricorrente ha assunto le proprie conclusioni nei confronti di entrambi i soggetti convenuti, qualificando l’Istituto come ente pagatore ed il Comune responsabile della raccolta degli elementi per accertare il diritto del cittadino richiedente.

L’INPS ha tuttavia eccepito la propria carenza di legittimazione, invocando in particolare le disposizioni del DM 452/2000 che ha dettato le modalità di attuazione delle norme di legge in materia di assegno per il nucleo familiare.

L’art. 14, quarto comma, del decreto conferma che, come già stabilito dal secondo comma dell’art. 65 l. 448/98, l’assegno è “concesso” dall’Amministrazione comunale; il successivo art. 18 precisa i contenuti del “provvedimento” con cui essa ne determina la spettanza e dell’accertamento preventivo sulla titolarità dei requisiti da parte del soggetto che ne abbia fatto richiesta.

Ai sensi dell’art. 19 dello stesso DM, però, l’INPS è non soltanto l’ente pagatore (primo comma), presso cui sono trasferite apposite risorse finanziarie (art. 22), ma il soggetto cui è demandato l’accertamento di un eventuale cumulo con altri benefici ed è rimessa la segnalazione al Comune dell’eventuale incompatibilità perché provveda alla revoca (secondo comma).

Questa duplice funzione porta ad escludere che l’Istituto convenuto sia un mero adiectus solutionis causa, così come ha sostenuto la sua difesa. Né può ascriversi rilievo decisivo contrario alla norma dell’art. 18, terzo comma, DM 452/2000, che qualifica il

Comune “ente erogatore” ai soli fini del controllo sulla variazione della situazione economica dei soggetti e dei nuclei familiari sul proprio territorio (art. 3 D.Lgs. 109/98).

A riprova della sua responsabilità v’è l’incontestata predisposizione, da parte dell’INPS, di pubbliche informative che negano il diritto all’assegno in favore dei cittadini non comunitari; tra questi il ricorrente ha indicato specificamente il suo sito internet, di cui ha depositato un estratto cartaceo [all. 11 ric.].

In ragione dei riferiti elementi l’accertamento del diritto del ricorrente è stato chiesto correttamente anche nei confronti dell’INPS. Va dunque condannato al pari del Comune di Savignone a corrispondere l’assegno per l’anno 2012, con gli interessi legali dalla data di maturazione e sino al saldo.

I due soggetti pubblici sono tenuti a provvedere nell’ambito delle rispettive funzioni in materia. In questo modo viene rimosso il risultato della posizione discriminatoria tenuta nei confronti del ricorrente, al quale si deve porre fine.

Oltre all’eccezione di difetto di legittimazione passiva va disattesa anche la domanda proposta dall’INPS in manleva verso l’ente comunale, giacché l’Istituto ha pienamente resistito in causa ed è il soggetto tenuto al pagamento.

La parziale soccombenza di entrambe le Amministrazioni comporta che esse siano tenute a rifondere il ricorrente delle spese del presente procedimento nella misura dei 2/3, misura che si liquida come da dispositivo, in importo da ritenersi già comprensivo della percentuale forfetaria (12,5%) per spese generali. Esso va distratto a favore dei difensori, che si sono dichiarati antistatali.

La frazione residua si compensa tra tutte le parti.

P.Q.M.

  1. dichiara il diritto di A E H a percepire per l’anno 2012 l’assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli condanna il Comune di Savignone e l’INPS a corrisponderle, nei limiti delle rispettive competenze, per le quote già maturate, cessando la condotta discriminatoria nei suoi confronti;
  2. respinge le domande del ricorrente relative agli anni 2010 e 2011 e la domanda di risarcimento del danno;
  3. condanna il Comune di Savignone e l’INPS, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, a rifondere il ricorrente delle spese del procedimento nella misura dei 2/3, misura liquidata in complessivi E 2.700,00, oltre a IVA e cpa, con distrazione a favore degli avv. A. Guariso e L. Neri;
  4. compensa tra le parti la frazione residua.