Discriminazione handicap, Corte d’Appello di Torino, sentenza del 29 novembre 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI TORINO

SEZIONE LAVORO

Composta da:

Dott. Giancarlo GIROLAMI          PRESIDENTE

Dott.ssa Maria Gabriella MARIANI          CONSIGLIERE

Dott. Federico GRILLO PASQUARELLI     CONSIGLIERE Rel.

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa di lavoro iscritta al n.ro   18/2012   R.G.L.

promossa da:

AZIENDA U.S.L. VALLE D’AOSTA, in persona del Direttore Generale pro tempore dott.ssa ………….., rappresentata e difesa dall’avv. prof. Ignazio Pagani del foro di Novara, giusta delibera di conferimento incarico generale n. 1408 del 17.10.2011 (doc. 1), nonché giusta delega a margine del ricorso in appello, ed elettivamente domiciliata in Torino, via don Giovanni Minzoni n. 14, presso lo studio dell’avv. Andrea Ricuperati

APPELLANTE

CONTRo

B.B., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Caveri e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Aosta, via Torino n. 7, giusta delega in calce all’atto di appello notificato

APPELLATA

Oggetto: Risarcimento danni: altre ipotesi

CONCLUSIONI

Per l’appellante: come da ricorso depositato il  10/01/2012

Per l’appellata: come da memoria depositata il  13/11/2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Aosta la dott.ssa B. B. conveniva in giudizio l’Azienda USL Valle d’Aosta esponendo di essere portatrice di handicap, con invalidità riconosciuta del 100%, e di avere iniziato a lavorare presso la convenuta nel maggio 2003, prima con contratto di convenzione libero professionale e poi come dipendente di ruolo dal 7.4.2008, a seguito di superamento di un concorso riservato ai sensi della L. 68/1999 per l’assunzione a tempo indeterminato di un dirigente biologo presso il Laboratorio di Analisi; di essere stata oggetto di continui atteggiamenti discriminatori, molesti e vessatori da parte del Dirigente del Laboratorio, dott. Di B., che l’avevano costretta in più occasioni a ricorrere a cure mediche contro l’ansia provocatale, e che l’avevano infine spinta a presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Aosta; chiedeva al Tribunale di ordinare alla convenuta la cessazione dei comportamenti discriminatori e di condannarla al risarcimento dei danni.

Costituendosi in giudizio, l’Azienda USL Valle d’Aosta contestava il fondamento della domanda, chiedendone il rigetto.

Istruita la causa, con sentenza del 22 – 28.9.2011 il Tribunale adito accoglieva il ricorso e liquidava in euro 5.000,00 i danni patiti dalla ricorrente.

Avverso detta sentenza interponeva appello l’USL, con ricorso depositato il 10.1.2012, chiedendone la riforma.

L’appellata, costituitasi, resisteva al gravame.

All’udienza del 29.11.2012 la causa veniva discussa oralmente e decisa come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale ha accolto il ricorso rilevando che l’istruttoria esperita aveva confermato che la ricorrente – la quale, a causa del suo handicap, è di statura molto bassa – veniva costantemente chiamata “piccolina” dal dott. Di B., non in modo benevolo, ma per mettere in evidenza che, a causa della sua statura, non poteva fare quello che fanno tutti gli altri biologi; che il dott. Di B. era solito dire, facendosi sentire anche dalla ricorrente, che c’era da aver paura quando lei era adibita alle urgenze; che la ricorrente era stata tenuta all’oscuro dell’opportunità di frequentare alcuni corsi attinenti la sua attività professionale e di prendere conoscenza di un macchinario specificamente relativo alla sua attività; che il dott. Di B. aveva affermato che la ricorrente, nel vincere il concorso, aveva rubato il posto ad un’altra persona in grado, per la sua statura, di arrivare dappertutto; che ciò aveva creato una situazione di sofferenza e di discriminazione a carico della dott.ssa B.; che l’USL era responsabile di quanto verificatosi ad opera del suo Dirigente, ed aveva mantenuto condotte inidonee a tutelare l’integrità e la personalità morale della dipendente, violando l’art. 2087 c.c. e il D.Lgs. 216/2003.

L’USL appellante censura la sentenza impugnata per avere “obliterato” la distinzione legislativa (D.Lgs. 216/2003) tra discriminazione diretta e discriminazione indiretta, per errata valutazione delle prove testimoniali e documentali, per violazione e falsa applicazione dell’art. 4, 4° comma, D.Lgs. 216/2003 e per violazione degli artt. 24 e 111 Cost..

L’appello è infondato.

I fatti dedotti nel ricorso introduttivo risultano pienamente provati.

Il dott. Di B era solito chiamare la ricorrente “piccola” o “piccolina”, sia in sua presenza che in sua assenza (es.: “dov’è la piccola?”), accompagnando la parola con “un gesto della mano diretto ad indicarne la bassa statura” e a “mettere in evidenza che, a causa della sua statura, non poteva fare quello che fanno tutti gli altri biologi” (v. testi S., B., M. e, amplius, verbali di s.i.t. S. e M.); che tale appellativo non venisse utilizzato in tono benevolo, o a mò di vezzeggiativo, era talmente evidente al personale del Laboratorio, che nessuno rispondeva utilizzando la stessa espressione (“non rispondevamo ‘la piccola è …’, ma ‘B è …’”: v. teste S).

Il dott. Di B. era solito dire, anche in presenza dell’appellata, che c’era da aver paura quando lei era adibita alle urgenze (“c’è la B alle urgenze, non c’è da fidarsi … che paura!”); inizialmente, anzi, aveva escluso la partecipazione della dott.ssa B ai turni di guardia notturna nonostante ella volesse parteciparvi e poi, a seguito dell’intervento della Direzione Generale, aveva dovuto consentirla, ma aveva imposto all’appellata di firmare una dichiarazione di scarico di responsabilità in relazione alla sua adibizione ai turni notturni, dichiarazione mai richiesta ad altri dipendenti (v. testi R, S, M e verbali di s.i.t. R, B, C, R, S).

Dopo che la dott.ssa B era stata assunta a tempo indeterminato, avendo superato un concorso riservato ai disabili ai sensi della L. 68/1999, il dott. Di B ebbe a dire in più occasioni, a diversi interlocutori, che l’appellata “aveva rubato un posto” e che lui “avrebbe voluto gente abile” e “l’avrebbe voluta in soprannumero sull’organico e non come parte dello stesso” (v. testi R, S e, amplius, verbali di s.i.t. B, C, M, R, M, A).

Per volontà del dott. Di B, la dott.ssa B  fu esclusa dalle occasioni di aggiornamento professionale offerte al personale del Laboratorio: l’appellata non era stata informata né di “un aggiornamento che si sarebbe tenuto a Scarmagno per la conoscenza di un nuovo apparecchio di stretta competenza del suo settore”, né di “un corso diretto a migliorare l’ambiente di lavoro”, al quale poté partecipare solo grazie all’intervento diretto della responsabile del progetto (v. testi Russo, Montagnana e verbali di s.i.t. C, M, Mi, S).

Dovendo redigere le schede di valutazione annuale del personale dirigente laureato per l’anno 2009, dalle quali dipende la determinazione della parte variabile della retribuzione, il dott. Di B diede alla dott.ssa B una valutazione numerica medio-bassa e priva di motivazione; su istanza dell’appellata, la Direzione Generale, avendone facoltà, ritenne di modificare tale punteggio dopo avere acquisito la documentazione del suo impegno in reparto e i pareri dei colleghi, unanimemente positivi (v. verbali di s.i.t. R, C, S).

Di queste circostanze la Direzione Generale dell’USL era stata informata, almeno a partire dal 2008, dalla stessa dott.ssa B che aveva più volte lamentato i comportamenti tenuti dal dott. Di B nei suoi confronti, ed anche da una rappresentante sindacale che aveva chiesto un intervento della Direzione Generale per far cessare tali comportamenti discriminatori; la Direzione ha incontrato più volte il dott. Di B, il quale ha sempre negato l’intenzionalità degli eventi, ed ha organizzato un intervento formativo volto, in particolare, agli aspetti relazionali, al quale, tuttavia, proprio il dott. Di B non ritenne di partecipare (v. verbale di s.i.t. Riccardi); si tratta dello stesso corso di formazione dal quale la dott.ssa B era stata inizialmente esclusa, proprio per volontà del dott. Di Bo, ed al quale aveva potuto partecipare solo grazie all’intervento della responsabile del corso.

È provato, infine, che gli atteggiamenti denigratori e discriminatori del dott. Di B hanno causato episodi di malessere psicofisico nell’appellata, la quale pativa stati di ansia che, in un’occasione, hanno comportato un suo accesso al Pronto Soccorso ed una successiva assenza per malattia per quasi un mese per “stress psicofisico lavorativo” (v. certificati medici allegati al verbale di s.i.t. B e verbali di s.i.t. B, N, C, M, R,M, S).

Questa ricostruzione dei fatti, che conferma la bontà della valutazione delle prove testimoniali e documentali fatta dal Tribunale, impone di respingere tutte le critiche mosse dall’appellante alla sentenza impugnata.

Nella fattispecie in esame – vero e proprio caso di scuola – ricorrono, infatti, tutte e tre le tipologie di discriminazione delineate dall’art. 2 del D.Lgs. 216/2003, ed è irrilevante che il primo Giudice non le abbia individuate analiticamente: c’è la discriminazione diretta perché la dott.ssa B è stata trattata, a causa della sua condizione di disabilità, meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in situazione analoga (esclusione dai turni di guardia notturna, imposizione di una dichiarazione di scarico di responsabilità, esclusione dalle occasioni di aggiornamento professionale dedicate al personale del Laboratorio, valutazione annuale illegittimamente bassa); c’è la discriminazione indiretta perché un criterio apparentemente neutro (quale la presenza, nella stanza adibita alle guardie notturne, di una poltrona letto e di una scrivania di altezza adeguata a persone normodotate [v. verbale s.i.t. R]) ha messo la dott.ssa B, a causa della sua condizione di disabilità, in una situazione di particolare svantaggio rispetto ai suoi colleghi; ci sono, evidentemente, le molestie perché la dott.ssa B è stata fatta oggetto ripetutamente di comportamenti indesiderati, a causa della sua condizione di disabilità, con lo scopo e con l’effetto di violare la sua dignità e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo (gli appellativi “piccola” o “piccolina”, il gesto della mano diretto ad indicarne la bassa statura, l’ironia sul pericolo incombente quando lei era adibita al turno di guardia notturno, l’affermazione che la dott.ssa Betemps “aveva rubato un posto” in organico ad un biologo normodotato, la stessa valutazione annuale illegittimamente bassa e, come tale, lesiva della sua dignità di lavoratrice).

È noto, poi, che per aversi discriminazione, diretta o indiretta, è irrilevante l’elemento soggettivo ed è sufficiente il fatto oggettivo della discriminazione, a prescindere da qualsiasi intento soggettivo discriminatorio dell’autore dei comportamenti lesivi, sicché è irrilevante, in particolare, chiedersi – come fa l’appellante – se il dott. Di B utilizzasse l’appellativo “piccolina” in modo benevolo e senza la finalità di offendere l’appellata, ovvero se lo utilizzasse con intenzioni denigratorie.

Nella valutazione del materiale istruttorio, dunque, il Tribunale non è affatto incorso in violazione o falsa applicazione dell’art. 4, 4° comma, D.Lgs. 216/2003 (sostituito dall’art. 8-septies del D.L. n. 59/2008 e successivamente abrogato dall’art. 34, comma 34, lettera b), del D.Lgs. n. 150/2011, il cui art. 28, 4° comma, dispone: “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione”): nel presente giudizio, infatti, la lavoratrice non ha fornito solo elementi presuntivi, ma ha raggiunto la prova piena e diretta della sussistenza della discriminazione diretta, della discriminazione indiretta e delle molestie lamentate, sicché risulta del tutto superfluo ricorrere allo speciale regime probatorio previsto dalla normativa antidiscriminatoria.

Infine, la circostanza che la dott.ssa B abbia prodotto in giudizio, all’atto del deposito del ricorso introduttivo, copia degli atti dell’indagine penale promossa dalla Procura della Repubblica di Aosta a carico del dott. Di B non ha potuto certo comportare alcuna lesione del diritto di difesa dell’appellante né alcuna lesione dei principi del giusto processo, perché il documento – la cui produzione era pacificamente ammissibile e rilevante, e non è mai stata contestata dall’USL – è stato valutato dal Tribunale nel contraddittorio delle parti e perché la lavoratrice – diversamente da quanto afferma l’appellante – non ha affatto omesso di produrre la copia del verbale di interrogatorio dell’indagato che, peraltro, si limita a negare gli addebiti senza essere in grado di confutare specificamente le dichiarazioni raccolte a suo carico.

L’appello deve pertanto essere respinto; le spese del presente grado seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q. M.

Visto l’art. 437 c.p.c.,

respinge l’appello;

condanna l’appellante a rimborsare all’appellata le spese del presente grado, liquidate in euro 4.000,00 oltre Iva e Cpa.

 

Così deciso all’udienza del 29.11.2012

IL CONSIGLIERE est.                        IL PRESIDENTE

Dott. Federico Grillo Pasquarelli              Dott. Giancarlo Girolami