Nozione di accomodamento ragionevole , discriminazione per motivi di handicap, Tribunale di Firenze, sezione lavoro, sentenza del 19 marzo 2020

TRIBUNALE DI FIRENZE

Sezione Lavoro

Sentenza 19 marzo 2020, n. 150

R.G. N. ………

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE

Sezione Lavoro

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Tommaso Maria Gualano, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado, di opposizione ex art. 1, commi 51 e ss., L. 92/2012, iscritta al n. r.g. 2046/2019, promossa da:

X SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS (C.F. OMISSIS), in persona del Presidente Dott. Francesco Clementi, con il patrocinio degli avv.ti FALSINI Marco (C.F. …..) e FERI Michele (C.F. ………..), elettivamente domiciliata nello studio del primo in Firenze, via ……….;

– parte opponente –

contro

C. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio degli avv.ti STRAMACCIA Andrea (C.F. …………) e CALVANI Lorenzo (C.F. …………..), elettivamente domiciliato presso il loro studio in Firenze, viale S. ……………;

– parte opposta e opponente in via incidentale –

Udienza di discussione: 3.3.2020

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

1.- Con ricorso ex art. 1, comma 51, L. 92/2012, la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS (di seguito, anche solo “la X.” o “la COOPERATIVA”) ha proposto opposizione avverso l’ordinanza n. 5229/2019 del 23.7.2019 con la quale, in esito alla fase sommaria del presente giudizio, era stato accolto il ricorso del P. avverso il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo – in particolare, a seguito dell’aggravamento delle sue condizioni di salute e della impossibilità di adibirlo a mansioni adeguate a soddisfare le particolari esigenze derivanti da tale aggravamento –.

2.- Di seguito, in sintesi, i fatti di causa.

La Società opponente è una cooperativa di tipo B che opera per favorire la creazione di percorsi di inserimento lavorativo per persone deboli sul mercato del lavoro. Ha – per dichiarazione non contestata della parte opposta – oltre 700 dipendenti dei quali circa 160 svantaggiati. Tra questi vi è il sig. P. – socio dipendente inquadrato come operaio livello B1 CCNL Cooperative Sociali – il quale, avendo una invalidità (inizialmente del 60%, successivamente del 70% e, infine, del 75%; cfr. doc. 12 opponente) per una grave patologia polmonare (comportante una riduzione della capacità respiratoria), era stato assunto in qualità di persona svantaggiata ex art. 4 L. 381/1991 (cfr. doc. 2 opponente). Il contratto, inizialmente a termine, era stato poi trasformato in contratto a tempo indeterminato in data 1.3.2015 (doc. 1 opponente).

È opportuno precisare anche che (per dichiarazione non contestata) il sig. P. è padre di quattro figli, dei quali uno invalido (cfr. doc. 6) e che egli è tenuto a pagare il canone di locazione dell’appartamento in cui abita nonché una somma (pari a euro 350,00 mensili) alla precedente compagna per il mantenimento di un figlio.

Dal febbraio 2016 e fino alla data del licenziamento, il sig. P. aveva svolto mansioni di portiere alla Residenza per Studenti ………… (in …………), presso cui la X. aveva (ed ha), in appalto con la E……….. S.r.l. (di seguito anche solo “la Committente”), la gestione del servizio di portierato. Tale servizio, come previsto nel contratto di appalto (doc. 14 opponente), è attivo 24 ore su 24 ed è articolato in tre turni (dalle 6:00 alle 14:00, dalle 14:00 alle 22:00 e dalle 22:00 alle 6:00) svolti, oltreché dal sig. P. (prima del suo licenziamento), da altri tre lavoratori. I compiti del portiere consistono nel controllare l’ingresso dello stabile (munito di tornello presso il quale passare un apposito badge), nonché nel ricevere e smistare la posta e nel visionare su un monitor le immagini fornite dalle telecamere a circuito chiuso (cfr. doc. 8 opponente).

A seguito di un peggioramento del suo stato di salute nel settembre 2018, il medico competente aveva giudicato il sig. P. idoneo al lavoro “con limitazioni”, in particolare, dettando la seguente prescrizione: “adibire a turni lavorativi fissi diurni (8-17), evitare qualunque movimentazione manuale carichi e sforzi lavorativi gravosi, evitare ambienti umidi e polverosi” (cfr. certificato medico sub doc. 6 opponente).

Il lavoratore, conseguentemente, aveva richiesto alla X. (anche mediante sollecitazione della E….) di inserire i turni della sua prestazione lavorativa esclusivamente in tale fascia oraria (cfr. doc. 13 opposto). La X., con comunicazione del 28.9.2018, aveva proposto al P. di ridurre il contratto ad un part time di 15 ore mensili, con turni 11:00-16:00 per tre volte al mese, con conseguente diminuzione della retribuzione (doc. 12 opposto). Secondo la COOPERATIVA, infatti, tale soluzione sarebbe stata l’unica praticabile per “venire incontro” alle esigenze del P.. Quest’ultimo, tuttavia, aveva immediatamente rifiutato la proposta della Società, dichiarandosi disponibile anche “a lavorare in altro luogo rispettando le ore di contratto in corso” (doc. 14 opposto).

Al rifiuto di accettare la riduzione oraria proposta dalla COOPERATIVA, avevano quindi fatto seguito il licenziamento (doc. 15 opposto) e – dopo la sua contestazione in sede stragiudiziale (doc. 16 opposto) – la sua impugnazione ex art. 1 comma 47 L. 92/2012 (doc. A opposto).

3.- Ciò premesso, il licenziamento è stato impugnato, essenzialmente, per tre ordini di motivi:

i in quanto discriminatorio poiché, in considerazione della condizione di handicap del sig. P. – certificata dalla competente Commissione (cfr. doc. 12 opponente) –, il datore di lavoro avrebbe dovuto modificare i suoi turni lavorativi in modo conforme alle prescrizioni mediche (in base alle quali egli avrebbe potuto lavorare solo nella fascia oraria 8:00-17:00);

ii poiché, a fronte della sua assunzione mediante collocamento mirato, il suo licenziamento sarebbe stato legittimo solo in caso di perdita totale della capacità lavorativa (dovendo peraltro essere un’apposita Commissione a certificarlo);

iii. poiché, comunque, il giudizio del medico competente era un giudizio di idoneità al lavoro per cui il licenziamento era illegittimo per carenza di giusta causa e giustificato motivo, potendo egli continuare a svolgere le mansioni di portiere con un cambio di orario o con spostamento presso altri appalti facenti capo alla Società resistente.

3.1.- Si era costituita la COOPERATIVA chiedendo, previo accertamento della legittimità del recesso, di rigettare il ricorso perché infondato in fatto e in diritto.

In sintesi, la COOPERATIVA deduceva le seguenti circostanze:

– preliminarmente, che il P. non era stato assunto ex L. 68/1999 ma quale lavoratore svantaggiato ex art. 4, comma 3, L. 381/1991 e che, dunque, i riferimenti (fatti dal ricorrente) alle disposizioni comunitarie e alla giurisprudenza in materia di discriminazione non erano pertinenti; aggiungeva che il P. le aveva comunicato l’aggravamento dello stato di salute solo successivamente al licenziamento;

– che la E aveva manifestato in più occasioni la propria contrarietà alla ristrutturazione dei turni e che, dunque, non era stato possibile venire incontro alla richiesta del lavoratore;

– che quest’ultimo aveva rifiutato la proposta datoriale di modifica del contratto con riduzione oraria e retributiva;

– che non era stato possibile ricollocare il lavoratore in appalti diversi da quello con EVERGREEN , non essendovi impieghi compatibili con le limitazioni derivanti dal suo stato di salute.

3.2.- Il giudice della fase sommaria, anzitutto, ha evidenziato come il P. sia “persona portatrice di handicap ex L. n. 104/1992 nonché invalido al 75%”. A ciò ha ricollegato l’applicabilità al caso di specie dell’art. 3, comma 3-bis D.lgs. 216/2002, in forza del quale “… al fine di garantire il rispetto della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare “accomodamenti ragionevoli”, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009 n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori …”. Ha poi evidenziato, anche attraverso il richiamo della pertinente giurisprudenza di legittimità, che “La nozione di “accomodamento ragionevole” che impone al datore di lavoro di modificare la propria organizzazione per salvaguardare il diritto dei dipendenti a svolgere mansioni compatibili con il proprio stato di salute implica che tale modifica non deve essere tale da imporre al medesimo datore di lavoro modifiche di tale entità da sconvolgere l’assetto organizzativo dell’impresa”.

Peraltro, ha specificato che, nel caso di specie, i “ragionevoli accomodamenti” dovessero tenere conto della circostanza che la mansioni del sig. P. erano svolte nell’ambito dell’appalto tra la X. ed E e che, in particolare, “vi è un committente che ha appaltato un determinato servizio, richiedendo determinati orari e modalità di prestazione” e, quindi, “che l’appaltatore è tenuto a garantire tale servizio al committente con le caratteristiche fatte oggetto del contratto di appalto, non potendo costituire accomodamento ragionevole quello teso ad incidere sul contenuto dell’appalto, ogni modifica unilaterale potendo determinare una risoluzione dello stesso per inadempimento dell’appaltatore”. Su tale presupposto, rilevato che la E avesse richiesto un’articolazione del servizio di portierato su tre turni dalle 6:00 alle 14:00, dalle 14:00 alle 22:00 e dalle 22:00 alle 6:00, “e che tale articolazione fosse essenziale al servizio”, ha rilevato che la modifica dei turni richiesta dal sig. P. non potesse pretendersi dal datore di lavoro (evidentemente sul presupposto che si trattasse di un onere organizzativo eccessivo e, dunque, non rientrante nella nozione di “accomodamenti ragionevoli”).

A fronte di ciò, il giudice della fase sommaria ha poi ritenuto che la COOPERATIVA, anziché licenziare il lavoratore, potesse ricollocarlo presso altri appalti e, in particolare, presso quello con il Consorzio per la Cooperazione e Solidarietà per la gestione del Museo della Torre del Chianti di San Casciano in Val di Pesa, nonché presso quello con l’Azienda USL Toscana Nord Ovest-Area di Massa e Carrara. Presso, essendo emerso che entrambi richiedessero mansioni che, anche in termini di orari, apparivano compatibili con le limitazioni imposte al sig. P..

La COOPERATIVA, quindi, avrebbe dovuto (in quanto avrebbe potuto) ricollocare il lavoratore presso uno di questi appalti anziché licenziarlo.

Il giudice, pertanto, ritenuto che il licenziamento fosse stato intimato in assenza di giustificato motivo oggettivo con conseguente applicazione dell’art. 18, comma 7, L. 300/1970, ha così concluso: “annulla il licenziamento intimato al ricorrente [sig. P. n.d.r.] e, per l’effetto, ordina alla resistente [X. n.d.r.] la reintegra del ricorrente al posto di lavoro, con condanna al pagamento nei suoi confronti di una indennità pari all’ultima retribuzione globale di fatto, dal licenziamento alla reintegra, nei limiti delle 12 mensilità, oltre interessi e rivalutazione, oltre al pagamento di contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo, oltre interessi legali”.

Inoltre, ha compensato integralmente le spese di lite, ritenendo (in linea con la sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2018) che sussistessero ragioni gravi ed eccezionali in tal senso, valorizzando la circostanza che il sig. P. avesse manifestato la propria disponibilità a svolgere attività lavorativa anche fuori dal territorio fiorentino solamente nel corso del giudizio (e non anche in precedenza, ossia prima del licenziamento).

4.- Con il ricorso in opposizione introduttivo della presente fase del giudizio, la COOPERATIVA ha dedotto la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo del licenziamento ed ha chiesto di dichiarare la legittimità del licenziamento medesimo sul presupposto che, in sintesi, esso sia stato intimato a causa del rifiuto del P. di svolgere le uniche mansioni disponibili sul territorio fiorentino.

In particolare, l’opponente ha rinviato alle argomentazioni della memoria della fase sommaria (riportata integralmente nell’atto di opposizione), e si è poi limitata “a contestare i punti salienti dell’ordinanza, senza tornare a ripetere le confutazioni [sintetizzate supra al punto 3.1. del presente provvedimento n.d.r.] dell’impostazione avversaria in tema di asserita discriminatorietà del recesso e di obblighi del datore di lavoro di adottare accomodamenti che comportassero modifica dei turni dei servizi presso l’appalto Evergreen […]”.

Su tale premessa, poi, ha dedotto le seguenti circostanze:

– il giudice della fase sommaria ha omesso di considerare che il lavoratore “non è stato licenziato perché non gli sono state reperite mansioni compatibili, ma perché gli orari ridotti presso l’appalto E che la datrice era riuscita a reperirgli non erano stati accettati dal lavoratore”;

– la Società “infatti aveva verificato che per le limitazioni del P. nell’ambito del territorio dove questi voleva lavorare per la sua manifestata indisponibilità a prestare la propria opera fuori da Firenze, aveva a disposizione [solamente n.d.r.] le poche ore settimanali indicate nella lettera del settembre 2018; cioè presso Evergreen”; indisponibilità che risulterebbe da “la mail 3.9.2015 del P., non contestata, in cui questo tornava a chiedere alla datrice di essere assegnato a Firenze” (doc. 16 opponente);

– quindi, il Giudice della fase sommaria ha sbagliato ad affermare che la Società potesse assegnare il sig. P. ad altri incarichi al di fuori del territorio fiorentino, in particolare, a San Casciano e a Carrara;

– “da allora il P. ha sempre opposto rifiuto a lavorare fuori da Firenze ed è sulla scorta di questa presupposizione che le mansioni alternative sono sempre state ricercate in appalti nell’area metropolitana fiorentina”;

– in ogni caso, è contestato che la Società, al tempo del licenziamento, avesse in essere gli appalti presi in considerazione nella fase di merito per sostenre che non c’era giustificato motivo oggettivo.

4.1.- Si è costituito il lavoratore-opposto il quale, ribadendo quanto già sostenuto in sede sommaria, ha chiesto il rigetto dell’opposizione principale e ha proposto opposizione incidentale. In particolare, ha rassegnato le seguenti conclusioni:

“in tesi, previo rigetto dell’opposizione proposta, voglia accogliere l’opposizione incidentale e riformare l’ordinanza n.5229/2019 e per l’effetto accertare e dichiarare la nullità del licenziamento perché ritorsivo per i motivi esposti e condannare la convenuta a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro ed a corrisponderle le retribuzioni maturate e maturande dal licenziamento alla reintegra calcolata sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto pari ad Euro 1876,38, oltre rivalutazione e interessi. Condanni la convenuta alla regolarizzazione previdenziale ed assicurativa per il periodo dal licenziamento alla reintegra. Condanni la convenuta al risarcimento derivante dalla natura discriminatoria del recesso, nella misura di Euro 10.000,00 o la diversa di giustizia. In ipotesi, previo rigetto dell’opposizione proposta, voglia confermare l’ordinanza n. 5229/2019 del 22.07.2019 RG n. 3167/2018 e per l’effetto confermare l’annullamento del licenziamento intimato al ricorrente con diritto alla reintegra del P. al posto di lavoro e con condanna al pagamento nei suoi confronti di una indennità pari all’ultima retribuzione globale di fatto, dal licenziamento alla reintegra, nei limiti delle 12 mensilità, oltre interessi e rivalutazione monetaria, oltre il pagamento di contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo, oltre interessi legali. Con vittoria di spese”.

A seguito dell’udienza del 5.11.2019, ritenuta la causa matura per la decisione, veniva fissata l’udienza di discussione per il 3.3.2020 in esito alla quale la causa veniva trattenuta in decisione.

* * *

Premesso quanto sopra, l’opposizione principale (della X.) è infondata e deve quindi essere rigettata, dovendo invece trovare accoglimento, per le ragioni di seguito esposte, l’opposizione incidentale proposta dal lavoratore – opposizione incidentale che, in quanto logicamente assorbente rispetto a quella principale, deve essere trattata prioritariamente –.

A.- In via pregiudiziale, per quanto (correttamente) nulla sia stato eccepito in proposito da parte della X., si rileva l’ammissibilità dell’opposizione incidentale tardiva esperita dal lavoratore. Ciò in linea con l’ormai consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “Nel rito cd. Fornero, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l’altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine per presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c., atteso che l’opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la riespansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l’oggetto dell’originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale” (cfr. Cass., sez. lavoro, n. 30443/2018; conf. Cass., sez. lavoro, n. 5993/2019; Cass. n. 3836/2016; Cass., sez. lavoro, n. 21156/2018; da ultimo, Cass., sez. lavoro, ord. 13025/2019).

B.- Ciò detto, l’opposizione incidentale, oltreché ammissibile, risulta fondata, dovendosi condividere le argomentazioni del lavoratore in ordine alla lamentata discriminatorietà del licenziamento e, correlativamente, non potendosi accogliere le difese che sul punto sono state svolte dalla X..

B.1.- Come noto, secondo quanto chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, “la nozione di “handicap” deve essere intesa nel senso che si riferisce ad una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori. Inoltre, dall’articolo 1, secondo comma, della Convenzione dell’ONU [sui diritti delle persone con disabilità del 26.11.2009 n.d.r.] risulta che le menomazioni fisiche, mentali intellettuali o sensoriali debbano essere durature” (C.G.U.E., 11.4.2013, C-335/11 e C-337/11, richiamata, ex multis, da Cass., sez. lav., 19.3.2018, n. 6798).

Nel caso di specie, la circostanza che il sig. P. sia (e fosse al tempo del licenziamento) portatore di handicap può considerarsi pacifico, non essendo contestata (e, comunque, essendo documentale).

Si tratta di circostanza rilevata ed affermata anche dal giudice della fase sommaria e che, infatti, non è stata oggetto di “censure” da parte della Società in sede di opposizione.

D’altronde, tale circostanza ha rappresentato il presupposto stesso dell’assunzione del sig. P. il quale, come risulta dal contratto di lavoro e come espressamente affermato anche dalla Società, è stato assunto quale soggetto svantaggiato (proprio in ragione della sua condizione di invalidità).

B.2.- Alla riconduzione della condizione del sig. P. a quella delle persone con disabilità – secondo la nozione sopra delineata – consegue l’applicabilità al caso di specie, dell’art. 3, comma 3-bis D.lgs. 216/2002 (attuativo della Direttiva 2000/78 CE) in forza del quale qualsiasi datore di lavoro, pubblico o privato, “al fine di garantire il rispetto della parità di trattamento delle persone con disabilità” e la loro piena eguaglianza rispetto agli altri lavoratori, ha l’obbligo di “adottare “accomodamenti ragionevoli”, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009 n. 18”.

In relazione a questo profilo, anzitutto, non può essere accolta la difesa della X. secondo la quale la normativa appena richiamata non potrebbe applicarsi al caso del sig. P. poiché la sua “assunzione non è avvenuta ai sensi della L. 68/’99” ma in forza dell’art. 4 L. 381/1991. Ciò che, infatti, rileva ai fini dell’operatività della disciplina di tutela dei lavoratori disabili non è il dato formale costituito dal “titolo” di assunzione, bensì il dato sostanziale costituito dalla condizione di concreta ed effettiva disabilità del lavoratore – condizione, come detto, sussistente e neppure contestata nel caso de quo –. Il che è pienamente in linea con la tendenza, tipica del legislatore europeo, a privilegiare la sostanza rispetto alla forma.

Oltretutto, lo stesso art. 4 L. 381/1991 – ossia quello su cui “fa leva” la tesi difensiva dell’opponente – qualifica come “persone svantaggiate”, tra gli altri, “gli invalidi fisici”. Tra questi ultimi rientrano certamente le persone portatrici di handicap secondo la nozione sopra delineata. Per cui la difesa della Società è infondata anche per questa ragione.

Ciò chiarito, ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’ONU richiamata dall’art. 3, comma 3-bis, D.lgs. 216/2003 (sopra riportato), per “accomodamenti ragionevoli” si intendono “le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali”.

In relazione al concetto di “accomodamento ragionevole” e al modo in cui è stato poi concretamente declinato, merita di essere richiamata l’ordinanza oggetto di opposizione, in particolare, nella parte in cui si afferma che “La nozione di “accomodamento ragionevole” che impone al datore di lavoro di modificare la propria organizzazione per salvaguardare il diritto dei dipendenti a svolgere mansioni compatibili con il proprio stato di salute implica che tale modifica non deve essere tale da imporre al medesimo datore di lavoro modifiche di tale entità da sconvolgere l’assetto organizzativo dell’impresa”.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, avuto modo ci precisare che “[…] l’assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo all’attuale attività, ad attività diverse e riconducibili alla stessa mansione, o ad altra equivalente, o anche a mansione inferiore, può essere rifiutata legittimamente dall’imprenditore se comporti (non meri aggravi organizzativi come statuito da Cass. S.U. n. 7755 del 1998, bensì) oneri organizzativi eccessivi (da valutarsi in relazione alle peculiarità dell’azienda ed alle relative risorse finanziarie) e, in particolare, se derivi, a carico di singoli colleghi dell’invalido, la privazione o l’apprezzabile modificazione delle modalità di svolgimento della loro prestazione lavorativa che comportino l’alterazione della predisposta organizzazione aziendale” (Cass., sez. lav., n. 27243/2018).

B.3.- Ciò posto, nel corso del giudizio è emerso che, nel caso di specie, per consentire al sig. P. di continuare a lavorare presso E compatibilmente con le limitazioni mediche a lui imposte (in ragione della sua condizione di salute), sarebbe stato sufficiente – come da lui suggerito e richiesto – modificare la turnazione oraria del servizio di portierato, semplicemente posticipando di due ore l’inizio di ciascun turno (cosicché il turno mattutino sarebbe iniziato, anziché alle 6:00, alle 8:00, quello pomeridiano, anziché alle 14:00, alle 16:00 e quello serale alle 24:00, invece che alle 22:00), senza in alcun modo intaccare la continuità del servizio 24 ore su 24.

In proposito, preliminarmente, non può essere condivisa la difesa della Società basata sulla circostanza che una tale modifica nella turnazione oraria sarebbe stata preclusa a causa della contrarietà manifestata da parte della società Committente.

La definizione dell’orario di lavoro dei propri dipendenti, infatti, costituisce un profilo estraneo alla sfera di possibile ingerenza del committente, trattandosi di aspetto strettamente inerente alla organizzazione dei mezzi dell’appaltatore, a meno di uno sconvolgimento dell’istituto dell’appalto di lavoro. Si tratta, infatti, di un aspetto che è (e deve essere) oggetto dell’autonomia organizzativa dell’appaltatore.

In quest’ottica, si sottolinea che ciò che contraddistingue l’appalto di lavoro, oltre all’assunzione del rischio di impresa da parte dell’appaltatore, è “l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore” (cfr. art. 29 D.lgs. 276/2003): in altri termini, l’appaltatore è un imprenditore la cui attività consta nel fornire al committente un’opera o un servizio, mediante la propria organizzazione di mezzi o anche soltanto mediante l’impiego di lavoratori da lui organizzati e diretti. Altrimenti, viene in rilievo il (diverso) istituto della somministrazione di lavoro in cui l’agenzia di somministrazione si limita a fornire ad altra impresa mere prestazioni di lavoro mediante lavoratori da essa assunti e retribuiti, ma diretti ed organizzati dall’impresa che li utilizza.

D’altronde, è stata la E stessa a riferire che la definizione della turnazione oraria dei portieri non rientra(va) nella propria competenza bensì in quella della X. (cfr. doc. 13 opposto, dal quale risulta che il direttore di E stessa abbia affermato: “Il sottoscritto non può (né deve) decidere alcunché delle tue personali vicende lavorative così come di quelle di ogni persona dipendente dalle aziende esterne che svolgono servizi per E”; cfr. inoltre doc. 10 opponente nel quale il medesimo direttore si limita ad esprimere un “parere contrario” alla ristrutturazione dei turni anche se precisa che la “questione” del sig. P. “esula dalla [sua] competenza”).

È vero, infatti, che nel contratto di appalto (e in particolare nell’allegato 1 ad esso: doc. 14 opponente) si fa riferimento anche alla turnazione oraria (6:00-14:00; 14:00-22:00; 22:00-6:00), ma si tratta di un aspetto che, riguardando il rapporto di lavoro tra la X. e i singoli portieri (suoi dipendenti), non può essere ritenuto vincolante, pena la violazione delle norme imperative in materia di appalto di lavoro.

Per quanto sopra, quindi, la E non aveva alcun titolo per ingerirsi nella vicenda che ha condotto all’instaurazione del presente giudizio. Né, tanto più, la X. poteva validamente invocare il dissenso della E per giustificare la mancata modifica richiesta dal sig. P. nell’orario della turnazione del servizio.

A riprova ed a rafforzamento di tale conclusione, si consideri che la stessa X. nella memoria difensiva della fase sommaria (integralmente riportata nell’atto di opposizione) afferma che “Da sempre sono gli addetti a quel servizio che si gestiscono da soli le relative sostituzioni […] senza che questo sia imposto dalla datrice” (punto 11 della memoria).

Ad ulteriore riprova dell’infondatezza della posizione sostenuta dalla Società, si consideri ancora che la stessa proposta che la X. aveva fatto al sig. P. – ossia quella di lavorare solo per 15 ore mensili – non rispettava la turnazione oraria 6:00-14:00; 14:00-22:00; 22:00-6:00 (indicata nell’allegato 1 al contratto di appalto), basandosi invece sulla seguente turnazione: 6:00-11:00, 11:00-16:00, 16:00-21:00, 21:00-6:00 (cfr. doc. B11 opposto e doc.13 opponente).

B.4.- Pertanto, date le circostanze concrete, è da ritenere che quanto richiesto dal P. fosse – in modo evidente – un “adattamento ragionevole”, trattandosi di una soluzione che non avrebbe certamente comportato uno sconvolgimento dell’assetto organizzativo o tantomeno un onere organizzativo eccessivo per la X. e per i colleghi del sig. P.; in altri termini, un adattamento pienamente esigibile (anche solo sulla base dei generali principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto) dal sig. P. nei confronti della X..

Si trattava, infatti, solo di posticipare di due ore l’inizio dei turni, senza in alcun modo incidere sulla continuità del servizio di portierato né modificare le sue caratteristiche. Il che vale ad accentuare la non giustificabilità della condotta tenuta dal datore di lavoro nonché, al contempo, a dimostrare la pretestuosità delle giustificazioni addotte a fondamento del licenziamento e, in ultima analisi, anche a provare (o comunque a gravemente indiziare del) l’intento soggettivamente discriminatorio del datore di lavoro medesimo o, in ogni caso, (del)l’assenza di una reale volontà di trovare effettivamente una soluzione per venire incontro alle esigenze del P..

D’altra parte, non ha nessuna rilevanza la circostanza – eccepita da parte opponente e, peraltro, contestata da parte opposta – che il sig. P. abbia comunicato alla Società l’aggravamento della propria condizione di invalidità solamente dopo il licenziamento. La Società, infatti, aveva l’obbligo di adottare le misure organizzative suddette, a prescindere dalla conoscenza di tale aggravamento, semplicemente sulla base delle limitazioni imposte dal medico competente, limitazioni di cui la Società era stata immediatamente notiziata (cosa che non è oggetto di contestazione).

B.5.- La mancata adozione, in violazione del D.lgs. 216/2003 (attuativo della Direttiva 2000/78 CE), delle misure organizzative di cui sopra costituisce di per sé violazione del principio di disparità di trattamento nei confronti del portatore di handicap, cosicché il licenziamento conseguente è da qualificarsi come discriminatorio, a prescindere dalla circostanza che sussista effettivamente un intento soggettivo discriminatorio da parte del datore di lavoro – intento soggettivo di cui, peraltro, nel caso di specie, date le circostanze, si ravvisano almeno gravi indizi –.

Da ciò deriva l’applicabilità al caso di specie della tutela di cui all’art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 con conseguenti:

– declaratoria di nullità del licenziamento irrogato nei confronti del P.;

– obbligo di reintegrarlo nel posto di lavoro;

– obbligo di corrispondergli le retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra calcolata sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto pari ad euro 1.876,38 (non oggetto di contestazione), oltre rivalutazione e interessi (non vi è prova della percezione, fino alla data odierna, di ulteriori redditi da parte del P. dopo il licenziamento);

– obbligo di regolarizzazione previdenziale e assicurativa per il periodo medesimo.

C.- Fondata è anche la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza della natura discriminatoria del licenziamento.

In via pregiudiziale, deve rilevarsi l’ammissibilità di detta domanda nell’ambito del “rito Fornero”, trattandosi di domanda che (in coerenza con quanto richiesto dall’art. 1, comma 48, L. 92/2012) si basa sui medesimi fatti costitutivi di quelli posti a fondamento della tutela di cui all’art. 18 L. 300/1970, in quanto fondata anch’essa sull’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e sull’invalidità del recesso datoriale (nello stesso senso, vd. Trib. Pisa, ord., 16.4.2015 in atti).

Ciò premesso, la direttiva comunitaria 2000/78 CE dispone che gli Stati membri determinino, “in caso di violazione degli obblighi risultanti dalla presente direttiva”, “sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili”, “che possono prevedere il risarcimento dei danni” (cfr. considerando n. 35 e art. 17 della Direttiva). In attuazione di tale previsione europea, il legislatore interno (D. lgs. 216/2003, art. 4 comma 3, ora abrogato, e il D.lgs. 150/2011, art. 28) ha previsto delle ipotesi espresse di risarcimento del danno non patrimoniale.

In ragione della funzione non esclusivamente compensativa ma anche (come detto) sanzionatoria e dissuasiva del risarcimento de quo e tenendo conto del comportamento tenuto dalla X., il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale invocato dal lavoratore deve ritenersi sussistente quanto all’an.

Per ciò che invece riguarda il quantum di tale diritto, in considerazione delle circostanze del caso di specie – in particolare: delle dimensioni aziendali della COOPERATIVA nonché del suo giro d’affari e della sua natura di organizzazione non lucrativa; delle modalità del comportamento serbato dalla COOPERATIVA, anche tenendo conto della ridetta natura non lucrativa nonché delle condizioni familiari del sig. P. –, si ritiene congrua la somma di euro 5.000,00, al cui pagamento la convenuta deve quindi essere condannata, oltre interessi .

D.- Le ragioni di cui sopra, che giustificano l’accoglimento dell’opposizione incidentale, comportano al tempo stesso l’infondatezza dell’opposizione principale che, pertanto, deve essere rigettata.

E.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Si precisa che, stante la particolare struttura del c.d. “rito Fornero” – caratterizzato dall’articolazione bifasica del giudizio di primo grado che, ciononostante, mantiene la sua unitarietà – la statuizione in ordine alle spese processuali inerisce tanto alla (precedente) fase sommaria quanto alla (presente) fase a cognizione piena.

In proposito, si rileva come la circostanza che il giudice della fase sommaria aveva posto a fondamento della decisione di compensare integralmente le spese – ossia che il sig. P. avesse manifestato la propria disponibilità a svolgere attività lavorativa anche fuori dal territorio fiorentino solamente nel corso del giudizio (e non anche in precedenza, ossia prima del licenziamento) –, è assorbita dall’accertato carattere discriminatorio del licenziamento del sig. P., in quanto profilo logicamente antecedente (e, appunto, assorbente) ai fini del decidere.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

1) rigetta l’opposizione principale proposta da X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS;

2) accoglie l’opposizione incidentale di C. P. e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza n. 5229/2019 del 23.7.2019 emessa all’esito della fase sommaria del presente giudizio:

– dichiara la nullità del licenziamento intimato al sig. C. P., in quanto discriminatorio;

– condanna la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS a reintegrare il sig. C. P. nel posto di lavoro;

– condanna la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS a corrispondere al sig. C. P. la retribuzioni maturate e maturande dal licenziamento all’effettiva reintegra, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalle singole scadenze a decorrere dalla data del licenziamento e fino al saldo (indicata la retribuzione-parametro in euro 1.876,38 al mese), detratto l’eventuale aliunde perceptum percepito dal P.;

– condanna la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS alla regolarizzazione della posizione previdenziale ed assicurativa del sig. C. P. per il periodo dal licenziamento all’effettiva reintegra;

– condanna la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS al risarcimento del danno non patrimoniale (derivante dal carattere discriminatorio del licenziamento) nella misura di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze a decorrere dalla data del licenziamento e fino al saldo;

3) condanna la X. SOCIETÀ COOPERATIVA SOCIALE ONLUS a rimborsare al sig. C. P. le spese processuali, che si liquidano in euro 5.973,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, iva e cpa.

Firenze, 19 marzo 2020

Il Giudice

dott. Tommaso Maria Gualano

Provvedimento redatto con la collaborazione del dott. Federico Falco,

Magistrato Ordinario in Tirocinio