Discriminazioni per ragioni etniche, Tribunale di Milano, ordinanza del 16 aprile 2016. Materiale pubblicato grazie ad ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione).

Tribunale di Milano

Sezione 1° civile

Dr.ssa Anna Cattaneo

Nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c. promosso con ricorso depositato il 3.7.2015

DA

P L c.f.

ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione

NAGA – Associazione Volontaria di Assistenza Socio-sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti

tutti elettivamente domiciliati in Milano, viale Regina Margherita 30, presso lo studio degli avv. Alberto Guariso, Livio Neri e Mara Marzolla, che li rappresentano e difendono come da procura in calce al ricorso,

RICORRENTI

CONTRO

B G c.f., rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Ginex del foro di Vercelli e Cristiano Cassamagnago del foro di Monza come da procura in calce alla comparsa di costituzione,

RESISTENTE

a scioglimento della riserva assunta alla udienza del 14.3.2016

letti gli atti ed i documenti di causa

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Con ricorso depositato in data 3.7.2015 i ricorrenti hanno chiesto che venisse accertato e dichiarato il carattere discriminatorio e/o molesto ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 215/2003 del comportamento tenuto dall’on. G B, esponente del partito Lega Nord e membro del Parlamentoeuropeo, consistente nell’aver affermato, in data 2.3.2015 e per quattro volte, che “i rom sono la feccia della società” nel corso della trasmissione televisiva “Piazzapulita” in onda sulla rete “La 7”; che, conseguentemente, venisse ordinato allo stesso di corrispondere a ciascuna ricorrente, a titolo di risarcimento del danno subito in conseguenza del dedotto comportamento discriminatorio e molesto, euro 6.000 o la diversa somma ritenuta di giustizia; che venisse ordinato all’on. B di dare adeguata pubblicità all’emanando provvedimento mediante pubblicazione su un quotidiano a tiratura nazionale nonchè mediante la pubblicazione sulla pagina facebook dello stesso per un periodo minimo di mesi 6, o nelle diverse forme ritenute di giustizia; che venisse adottato ogni altro provvedimento ritenuto opportuno in conformità a quanto previsto dall’art. 28 d.lgs. 150/2011, ivi compreso un piano di rimozione della discriminazione; con vittoria di spese e compensi da distrarsi a favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.

Hanno dedotto che in data 2.3.2015 G B aveva preso parte alla trasmissione “Piazzapulita” condotta da Corrado Formigli nella quale erano presenti, anch’essi in qualità di ospiti, la sig.ra Dijana Pavlović, attivista politica di etnia rom, e Stefano Fassina, all’epoca deputato del Partito Democratico e che, nel corso del dibattito televisivo, il B aveva più volte affermato che i rom sono “la feccia della società”. Tale affermazione non era sfuggita nel corso di una concitata conversazione, ma era stata proferita a freddo e ripetuta quattro volte al di fuori di qualsiasi tentativo di argomentazione, pur nella consapevolezza di trovarsi in una trasmissione televisiva di prima serata con elevati livelli di ascolto, segno evidente della volontà di diffondere una convinzione ragionata circa la natura del gruppo etnico, convinzione che peraltro era già stata espressa in altre occasioni dal B nel corso di differenti trasmissioni televisive e radiofoniche nel 2014 e nel 2015.

L’espressione utilizzata era palesemente lesiva della dignità degli appartenenti all’etnia rom e costituiva discriminazione, in quanto “molestia”, ai sensi dell’art. 2, c. 3 del d.lgs. 215/2003, in particolare, tale affermazione era idonea a creare un clima ostile, perché volta a creare disaggregazione ed a diffondere odio per gli appartenenti all’etnia rom; un clima intimidatorio, perché il concetto espresso, fondandosi su una distinzione tra una parte della società che merita rispetto e l’altra – la feccia – che invece rispetto non merita a causa della sua asserita inferiorità, aveva l’effetto di intimorire i soggetti che ne erano colpiti; un clima degradante perché avviliva il popolo rom e violava il precetto di eguaglianza e di “pari dignità sociale” di cui all’art. 3 Cost; un clima umiliante e offensivo, prospettando un paragone con un elemento spregevole quale la “feccia”.

Sotto diverso angolo visuale, tale affermazione era altresì discriminatoria perché, creando ostilità nei confronti dei rom, ostacolava e comunque rendeva loro difficoltosa la piena partecipazione alla vita sociale e occupazionale.

Si è costituito G B chiedendo, in principalità, il rigetto delle domande di parte ricorrente per insussistenza del preteso carattere discriminatorio, in subordine, con riferimento alla qualità di membro del Parlamento europeo attualmente ricoperta dallo stesso e, occorrendo, previa sospensione del presente giudizio per richiedere il parere ex art. 234 CE alla Corte di Giustizia Europea in merito all’interpretazione dell’art. 8 prot. n. 7 (Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea, allegato ai Trattati UE, FUE e CEEA), che venisse respinto l’avversario ricorso sussistendo l’immunità di cui all’art. 8 del suddetto Protocollo.

Ha dedotto di aver partecipato alla trasmissione televisiva “Piazzapulita” del 2.3.2015 nella propria veste di esponente del partito politico Lega Nord e di membro del Parlamento Europeo; in tale circostanza si era verificato uno “scontro verbale” scaturito da ovvie ed evidenti posizioni politiche antitetiche esistenti tra lo stesso, la sig.ra Pavlović e altri personaggi ivi presenti, l’atmosfera era decisamente “surriscaldata” e tutte le parti presenti avevano utilizzato espressioni alquanto colorite. Nel corso della trasmissione egli aveva effettuato un’importante premessa asserendo testualmente che “io non ce l’ho con gli zingari in quanto tali, se uno si comporta bene è il benvenuto”, chiarendo così che tutto quanto poi asserito non si riferiva a coloro che, accolti nel nostro paese, ne rispettano le leggi e le regole del vivere civile, ma si indirizzava solo ai soggetti che si macchiano di reati o di comportamenti illegittimi. Parimenti, gli altri spezzoni di dichiarazioni richiamati dai ricorrenti erano stati estrapolati da più ampi discorsi in cui sempre aveva manifestato la volontà di non generalizzare ma di rifarsi solo a quella parte dell’etnia rom irrispettosa della legittimità. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la fattispecie in esame non integrava la previsione normativa invocata, poiché non si era verificata alcuna “molestia” nel senso preteso dai ricorrenti. In ogni caso, il quantum del danno preteso da parte ricorrente era frutto di unilaterali quantificazioni prive di qualsiasi base oggettiva, ed anzi fondate sul non condivisibile presupposto che la ricorrente P fosse direttamente parte offesa dell’asserito comportamento discriminatorio.

Alla udienza del 3.11.2015, rigettate le prove orali indicate da parte ricorrente in quanto irrilevanti ai fini del decidere, la causa veniva rinviata per la discussione; all’udienza del 14.3.2016 le parti insistevano per l’accoglimento delle rispettive domande, come sopra riportate, e il giudice riservava la decisione.

Legittimazione ad agire

Preliminarmente, deve ritenersi esclusa la legittimazione ad agire della ricorrente L P, non essendo la stessa direttamente ed immediatamente lesa dal dedotto comportamento discriminatorio.

Occorre a tal proposito sottolineare che la legittimazione ad agire ex art. 28 d.lgs. n. 150/2011 e art. 4 d.lgs n. 215/2003 in relazione a comportamenti in ipotesi discriminatori spetta, ai sensi dell’art. 5 co.1 d.lgs n. 215/2003, al soggetto passivo della discriminazione che può agire in proprio o rilasciare delega alle associazioni o agli enti che siano iscritti in apposito elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità, ovvero, ai sensi del co. 3 nei casi di “discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto ed immediato le persone lese dalla discriminazione”, alle associazioni o agli enti di cui sopra.

Nel caso di specie, il comportamento della cui portata discriminatoria parte ricorrente si duole consiste nell’avere il B reiteratamente affermato, nel corso della trasmissione televisiva “Piazzapulita” del 2.3.2015 in onda sull’emittente televisiva “La 7”, che “i rom sono la feccia della società”. Tale affermazione, lungi dall’essere diretta immediatamente nei confronti della ricorrente P, la quale peraltro -come riferito dalla stessa difesa ricorrente- neppure era presente alla trasmissione, si riferisce genericamente alla collettività rom e costituisce pertanto un’ipotesi di discriminazione collettiva, che si configura, ai sensi dell’art. 5 c. 3 d.lgs. 215/2003, qualora non siano individuabili in modo diretto ed immediato le persone lese dalla discriminazione.

In siffatta ipotesi, la legittimazione ad agire nell’interesse della collettività rom non spetta a qualsiasi soggetto appartenente a tale categoria, pur questi ritenendosi offeso quale membro della categoria in assunto discriminata, bensì è rimessa dalla legge alle associazioni o agli enti individuati sulla base delle finalità programmatiche perseguite ed inseriti in un apposito elenco approvato con decreto Ministeriale (art. 5 cc. 1 e 3 d.lgs. n. 215/2003).

Deve pertanto escludersi che la ricorrente P abbia titolo per agire genericamente nell’interesse della collettività dei soggetti di etnia rom, non rilevando, ai fini della legittimazione, che la stessa abbia soggettivamente percepito, quale appartenente alla etnia rom, la portata diffamatoria e discriminatoria delle affermazioni dell’onorevole B.

Devono invece ritenersi certamente legittimati a proporre l’odierna azione i ricorrenti ASGI -Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e NAGA – Associazione Volontaria di Assistenza Socio-sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti.

Tali associazioni, il cui scopo statutario è rispettivamente “la promozione e la tutela nella società civile dell’affermazione dei principi di pari dignità sociale, di uguaglianza delle persone senza distinzioni di razza, di lingua, di religione, di sesso di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e di pari opportunità e di contrastare ogni fenomeno di odio o di violenza o di incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici (…)” nonché il “perseguimento di finalità di solidarietà sociale attraverso la promozione dell’impegno umano e sociale dei cittadini democratici senza alcuna discriminazione su base etnica, religiosa, politica (…)” sono iscritte negli elenchi di cui all’art. 5 c. 1 del decreto n. 215/2003 (cfr. doc. n. 1 di parte ricorrente) e, conseguentemente, sono pienamente legittimate ad agire autonomamente in relazione ad un’ipotesi di discriminazione collettiva.

Immunità di parlamentare europeo

In via ulteriormente preliminare, si ritiene che nel caso di specie non trovi operatività l’immunità di cui godono i Parlamentari europei ai sensi dell’art. 8 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea, allegato ai Trattati UE, FUE e CEEA, che, nell’ottica di tutelare la libertà di espressione e l’indipendenza dei deputati europei e dell’organo legislativo della Unione Europea, disciplina l’immunità in ragione delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle funzioni parlamentari.

Come espressamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la portata dell’immunità prevista da tale disposizione deve essere valutata dal giudice nazionale sulla scorta del diritto dell’Unione, né è necessario che il giudice sottoponga la questione al Parlamento europeo e sospenda il giudizio qualora, come nel caso di specie, non abbia ricevuto informazione di richieste presentate dal deputato al Parlamento europeo per ottenere la difesa della immunità di cui all’artt. 8 e 9 del Protocollo (cfr., in tal senso, sent. Marra della Corte di Giustizia, Grande Sezione del 21.10.2008; sent. Patriciello della Corte di Giustizia, Grande Sezione del 6.9.2011).

La giurisprudenza della Corte di Giustizia, pur interpretando in senso ampio la nozione di “opinione” di cui all’art. 8 Prot. -includendovi “i discorsi e le dichiarazioni che, per il loro contenuto, corrispondono ad asserzioni costituenti valutazioni soggettive” ed anche le dichiarazioni che siano state rese al di fuori delle aule parlamentari-, ha più volte ribadito che, per poter beneficiare dell’immunità, un’opinione deve essere stata espressa da un deputato europeo “nell’esercizio delle sue funzioni”, ciò che presuppone necessariamente l’esistenza di un nesso tra l’opinione formulata e le funzioni parlamentari, nesso che deve “essere diretto e imporsi con evidenza” (sent. CGUE Patricilello, par. 31-35). In sostanza, affinché operi la dedotta immunità, deve sussistere una sostanziale corrispondenza e una diretta connessione funzionale tra le opinioni espresse e le attività parlamentari concretamente svolte dal parlamentare, non essendo sufficiente una semplice comunanza di argomenti, né un mero “contesto politico” entro cui le dichiarazioni possano collocarsi né, a maggior ragione, il riferimento alla generica attività parlamentare.

La difesa di parte resistente non ha fornito alcuna allegazione specifica dalla quale possa ritenersi sussistente un collegamento tra le espressioni incriminate e l’attività parlamentare del B, limitandosi ad affermare che il predetto era presente alla trasmissione nella propria veste di esponente del partito politico Lega Nord e di membro del Parlamento Europeo, nulla allegando in merito ai contenuti dell’attività parlamentare da questi svolta né all’esistenza di una qualsivoglia connessione tra le affermazioni di cui è causa e l’attività parlamentare de qua.

La difesa dei ricorrenti, di contro ha prodotto documentazione, non contestata dal convenuto, attestante l’attività di parlamentare europeo dello stesso dal quale non risulta alcun intervento che possa qualificarsi come attestante una posizione politica in linea con la sostanza dell’intervento televisivo del 2.3.2015 (risulta, al contrario, una discussione in data 25.3.2015 relativa al riconoscimento da parte della UE della giornata del genocidio dei rom durante la seconda guerra mondiale).

In ogni caso, è doveroso rilevare che il preteso nesso funzionale tra la condotta contestata e l’esercizio delle attribuzioni proprie del rappresentante parlamentare non possa riconoscersi in tutte quelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, le parole utilizzate non siano espressione di opinioni politiche, seppur manifestate con toni aspri e duramente critici, ma abbiano come unica finalità la denigrazione e l’offesa, dovendosi certamente ritenere che l’uso del turpiloquio trascenda in ogni caso dai contenuti riconducibili all’attività parlamentare assistiti dalle immunità in parola ( Cass. sentenza n. 35523/2007; Corte Cost. sentenza n. 249/2006 che ha chiarito che “l’uso del turpiloquio non fa parte del modo del modo di essere delle funzioni parlamentari”).

In conclusione, nel caso di specie, deve escludersi la sussistenza di un nesso diretto ed evidente tra le affermazioni di cui al ricorso e l’attività di parlamentare europeo svolta dal B e quindi non opera l’immunità de qua.

Nel merito, la domanda è fondata e merita accoglimento.

La natura discriminatoria del comportamento contestato

Si ritiene che l’affermazione dell’odierno resistente “i rom sono la feccia della società” costituisca un comportamento discriminatorio ai sensi dell’ art. 2. C. 3 d.lgs. n. 215/2003, che considera come discriminazioni “le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo” (si veda per un caso simile l’ordinanza di questo Tribunale del 24-26.5.2012 nel procedimento n. r.g. 34318/2011 relativa all’uso dell’espressione “zingaropoli”).

Come correttamente ritenuto da parte ricorrente, il termine “feccia”, assume nella lingua italiana il significato di “gentaglia, marmaglia, plebaglia, popolaglia” e viene utilizzato con valenza negativa per indicare “la parte peggiore e più spregevole, con particolare riferimento a una comunità o a un gruppo sociale”. L’utilizzo di tale espressione con riferimento all’etnia rom non solo è grandemente offensivo e lesivo della dignità dei destinatari, ma assume altresì assume un’indubbia valenza discriminatoria ai sensi di quanto disposto dal suddetto art. 2. c. 3 d.lgs. n. 215/2003: in primo luogo, tale espressione è offensiva e umiliante, poiché il paragone con un elemento spregevole quale la “feccia” è tale da mortificare, e dunque offendere, la dignità dell’etnia rom; in secondo luogo, tale affermazione è idonea a creare un clima ostile e intimidatorio nei confronti della collettività rom, veicolando l’idea negativa che tale collettività costituisca la “parte peggiore della società” e che, in quanto tale, rappresenti una minaccia per la società medesima. Infine, essa presenta altresì valenza degradante poiché, gettando discredito sul popolo rom, è idonea a ingenerare infondate distinzioni su base sociale del tutto estranee e contrarie ai precetti di eguaglianza e di pari dignità sociale di cui all’art. 3 della Carta Costituzionale, ostacolando la libera e serena partecipazione degli stessi alla vita sociale.

Alla luce delle circostanze del caso di specie, inoltre, non si ritiene idoneo ad elidere o attenuare la valenza discriminatoria del comportamento di cui è causa il fatto che l’odierno resistente avesse affermato, nel corso della medesima trasmissione “io non ce l’ho con gli zingari in quanto tali, se uno si comporta bene è il benvenuto” atteso che l’asserita volontà dello stesso di “non generalizzare ma di rifarsi solo a quella parte dell’etnia rom irrispettosa della legittimità” risulta nei fatti smentita dalla successiva affermazione de qua la quale peraltro, come si è detto, è stata ripetuta ben quattro volte nel corso della trasmissione, del tutto sganciata dal collegamento con coloro che commettono reati e non.

Si sottolinea che, quando al B è stato chiesto dal conduttore se si volesse scusare per l’affermazione proferita egli ha risposto di no che non aveva nulla di cui scusarsi.

Se è vero che la trasmissione ha registrato toni concitati e di aspra polemica, ciò è accaduto essenzialmente dopo la prima affermazione del B circa l’assimilazione dei rom alla feccia della umanità, dovendosi escludere, anche in punto di fatto, che “l’atmosfera surriscaldata” abbia potuto ridimensionare in qualche modo la portata denigratoria e discriminatoria della frase in esame.

La pubblicazione del presente provvedimento

Quanto alle sanzioni applicabili all’accertato comportamento discriminatorio, in considerazione delle concrete modalità attraverso le quali la discriminazione è stata attuata, in particolare essendo consistita in una affermazione espressa in un programma televisivo e quindi essendosi manifestata con un unico atto istantaneo, il rimedio della adozione di un piano di rimozione volto ad evitare il ripetersi della discriminazione non può trovare luogo.

Sussiste però la possibilità di dare parziale ristoro alla categoria offesa e discriminata mediante la pubblicazione ai sensi dell’art. 28, c. 7 d.lgs. 150/2011 della intestazione e del dispositivo della presente ordinanza con le modalità meglio indicate in dispositivo.

Il risarcimento del danno

I principi comunitari -anche nelle ipotesi in cui, trattandosi di discriminazione collettiva, non vi siano vittime specificamente identificabili- impongono sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (art. 15 direttiva 2000/43/CE del 29.6.2000) e, secondo l’orientamento della Corte di Giustizia, una sanzione meramente simbolica non può essere considerata compatibile con un’attuazione corretta ed efficace delle direttive stesse (cfr., in tal senso, sent. Asociaţia Accept della Corte di Giustizia del 25.4.2013 e sent. Centrum voor gelijkheid della Corte di Giustizia del 10.7.2008).

Si ritiene che l’ordine di pubblicazione del presente provvedimento non costituisca sanzione sufficiente e non sia adeguatamente dissuasivo.

Si sottolinea altresì, che le associazioni legittimate ad agire in quanto portatrici degli interessi e dei diritti della collettività dei soggetti appartenenti alla etnica diffamata e discriminata hanno subito in proprio un danno non patrimoniale per aver visto frustrato l’oggetto della propria attività e le finalità perseguite.

Pertanto deve condannarsi la parte resistente al risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti delle associazioni ricorrenti.

Quanto alla quantificazione del danno, deve tenersi conto dell’elevato contenuto discriminatorio delle affermazioni pronunciate dal B della loro portata diffamatoria e denigratoria, della reiterazione per ben quattro volte della frase offensiva, della assoluta convinzione con la quale sono state pronunciate tanto da non indurre alle scuse malgrado la espressa possibilità offerta dal  conduttore, del fatto che le offese sono state pronunciate nel corso di una trasmissione televisiva in onda su di una importante emittente televisiva, con un buon indice di ascolto (4-5% di share –circostanza non contestata dal convenuto) in prima serata e quindi con ampia diffusione mediatica ed infine del ruolo politico e pubblico del B e della sua notorietà.

Alla luce dei parametri indicati, si ritiene di dover condannare parte resistente al pagamento della somma che viene equitativamente determinata in euro 6.000,00 in favore di ciascuna delle due associazioni ricorrenti.

Le spese del presente giudizio seguono la sostanziale soccombenza e vengono liquidate, d’ufficio, in assenza di nota spese, come in dispositivo ai sensi del DM 55/2014, tenuto conto del valore della causa, dei criteri di cui all’art. 4 commi 1,2,5 del citato DM, e dell’assenza di attività istruttoria.

P.Q.M.

  1. Dichiara la carenza di legittimazione attiva di P L,
  2. Dichiara il carattere discriminatorio ai sensi dell’art. 2 c. 3 d.lgs 215/2003 del comportamento di G B consistente nell’aver affermato per quattro volte che “i rom sono la feccia della società” nel corso della trasmissione televisiva “Piazzapulita” in onda sull’emittente televisiva “La 7” del 2.3.2015,
  3. Ordina la pubblicazione della intestazione e del dispositivo della presente ordinanza per una sola volta ed a spese del B, in caratteri doppi del normale ed in formato idoneo a garantirne adeguata pubblicità, sul quotidiano “Il Corriere della Sera” entro 30 giorni dalla notifica in forma esecutiva della presente ordinanza, autorizzando parte ricorrente a provvedervi autonomamente, in caso di inosservanza da parte del B, e con diritto di rivalsa in favore del resistente per le spese sostenute,
  4. Condanna G B al pagamento nei confronti di ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione, e di NAGA – ASSOCIAZIONE VOLONTARIA DI ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA E PER I DIRITTI DI CITTADINI STRANIERI, ROM E SINTI, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di euro 6.000,00 ciascuno in moneta attuale, oltre agli interessi legali dalla presente sentenza al saldo,
  5. Condanna G B alla rifusione delle spese del giudizio a favore dei ricorrenti che si liquidano in € 3.882,00 per compensi professionali, oltre spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA come per legge, con distrazione a favore degli avvocati Alberto Guariso, Livio Neri e Mara Marzolla, dichiaratisi antistatari.

Cosi deciso in Milano, il 16.4.2016

Il Giudice

Dr. Anna Cattaneo