Congedo di paternità e dimissione volontarie, Corte di Cassazione, Sentenza del 9 maggio 2012, n. 11676

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 1.10.2007, la Corte d’Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’invalidità delle dimissioni rassegnate da ………….. il 2.11.2002, in quanto, se pur presentate entro l’anno della nascita del figlio, avvenuta il …… non erano state convalidate a norma dell’art 55, comma 4, del d.lgs. 151/2001; la Corte condannava la società a riammetterlo in servizio, nonché a corrispondergli le retribuzioni in misura di euro 1188,05 mensili dal 22.11.2002 alla data del rispristino del rapporto, oltre accessori di legge.

Rilevava la stessa Corte che il comma 4 dell’art 5 D.lgs 151/2001 prescriveva che la richiesta di dimissioni, presentata dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino, dovesse essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente e che a detta convalida fosse condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro, ma che nella specie le dimissioni presentate dal ………. durante il primo anno di vita del bambino non erano state convalidate a norma di legge. Riteneva errata la tesi del Tribunale secondo cui l’art. 55 si applicava solo al padre lavoratore che si trovasse nelle condizioni per fruire del congedo di paternità di cui all’art 28, e cioè in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, atteso che la norma non conteneva alcun riferimento, per il padre, alla circostanza che avesse fruito del congedo di paternità, con sintomatica differenza rispetto al comma 2.

Riteneva ancora che ciò non fosse frutto di una dimenticanza del legislatore, in quanto il formalismo garantista per la validità delle dimissione fosse logicamente previsto per entrambi i genitori, considerando che entrambi potessero poi avvalersi dei congedi parentali di cui all’art. 32 sino al compimento degli otto anni del minore. Osservava che le prove richieste in primo grado dalla società in ordine alla mancata comunicazione al datore della nascita del figlio e la richiesta di produzione della documentazione fiscale relativa ai redditi 2002-2006, non erano state riproposte in appello.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società, con quattro motivi, avanzando, in subordine, questione di legittimità costituzionale della norma del testo unico esaminata.

Resiste il ………… con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società denunzia la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, degli artt. 28,32,54,55, 1, 2 3, e 4 comma, del d.lgs 151/2001, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.

Osserva il legislatore, in virtù della delega contenuta nell’art 15 della l. 53/2000, ha esteso al padre lavoratore le tutele di cui beneficia la lavoratrice madre, ivi comprese quelle disciplinanti il divieto di licenziamento fino al compimento del primo anno di vita del bambino e le relative indennità economiche in caso di violazione del divieto e che la ratio della norma è chiaramente ricavabile dalle disposizioni di cui all’art 54 comma 6 ed in particolare 7 comma del d.lgs 151/2001, le quali sanciscono la nullità del licenziamento del lavoratore o della lavoratrice causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino, ed, in caso di fruizione del congedo di paternità di cui all’art 28, il divieto di licenziamento del padre lavoratore.

Lo spirito del legislatore è ribadito nell’art 55, commi 1 e 2, che ha previsto il diritto della lavoratrice a percepire l’indennità prevista per il caso di licenziamento nell’ipotesi di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, stabilendo che tale diritto è esteso al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità. Evidenzia che proprio la portata delle norme richiamate rende palese che la disposizione di cui all’art. 55 comma 4 non può che essere letta in coordinamento con le disposizioni precedenti ed, in particolare, con il comma 7 dell’art 54, quale norma di chiusura delle stesse, considerando che anche il successivo articolo 56, disciplinante il diritto al rientro ed alla conservazione del posto di lavoro, fa riferimento al lavoratore che abbia usufruito del congedo di paternità. Non esiste, pertanto, secondo la ricorrente, un autonomo diritto di convalida delle dimissioni da parte del padre lavoratore finalizzato a tutelare il padre in quanto tale, rispetto al quale non vi sarebbe alcuna necessità di verificare la volontà dimissionaria al fine di pervenire pregiudizi a suo carico, posto che nessun datore avrebbe interesse a favorire le dimissioni del lavoratore quando diventa padre se questi non chieda di usufruire dei congedi o dei permessi previsti dagli art.. 28 e 32 del citato testo unico.

In ipotesi di mancata richiesta di congedo non esiste alcuna esigenza di tutela, né di una tutela ancora più incisiva di quella prevista in caso di licenziamento. All’esito della parte argomentativa, la ricorrente formula quesito, con il quale domanda se l’art 55, comma 4, del D.lgs 151/2002 vada interpretato nel senso che il regime di convalida si applichi esclusivamente al lavoratore che abbia fruito di congedo di paternità o lavoratore in quanto tale.

Con il secondo motivo, la società lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, agli artt.28,32,54,e 55, primi quattro commi, del d.lgs 151/2001, agli artt. 1175, 1735 e 2697 c.c., all’art. 3 Cost., ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., rilevando che il lavoratore non è obbligato a effettuare alcuna comunicazione della gravidanza della moglie o della compagna, né a comunicare al datore ed agli enti previdenziali e di assistenza la notizia dell’avvenuto parto, sicché, aderendo all’impostazione avallata in sentenza, il datore dovrebbe cautelativamente, in modo paradossale, richiedere sempre la convalida delle dimissioni volontarie rassegnate dal lavoratore, per mettersi al riparo dal rischio di successiva impugnazione strumentale delle dimissioni, con affermazione della relativa invalidità per nascita di un figlio, magari sconosciuta all’azienda. Sarebbe, pertanto, onere del lavoratore almeno quello di rendere nota la nascita del figlio. Il motivo si conclude con quesito, con il quale si domanda se, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma e per l’esigenza di certezza de rapporti giuridici, le dimissioni devono essere convalidate solo laddove il datore o gli enti pubblici competenti siano a conoscenza della circostanza che il lavoratore è divenuto padre e se l’onere di provare che il datore sia stato preventivamente informato gravi sullo stesso lavoratore.

Con il terzo motivo, la società si duole della omessa pronuncia, con conseguente nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 161, 112, e 277  c.p.c e/o dell’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, ex art. 360, n. 5, c.p.c., evidenziando come appaia lesivo dell’autonomia negoziale dei privati subordinare l’efficacia o validità di un negozio giuridico alla convalida di una amministrazione terza, senza porre contestualmente a carico del soggetto tutelato da tale regime il minimo onere di informazione, se non del datore di lavoro, almeno dell’organo politico deputato all’accertamento cui è subordinata l’efficacia e validità del negozio.

Con il quarto motivo, ascrive alla decisione impugnata la violazione e /o falsa applicazione di norme di diritto – artt 343, 421 e 434 c.p.pc – nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art 360, nn. 3 e 5, c.p.c, assumendo che la Corte territoriale non avrebbe considerato che le difese erano state ritualmente riproposte e che le istanze istruttorie non erano state reiterate perché mai dedotto dall’intimato di avere ritualmente informato il datore o gli enti competenti della sua paternità. In ogni caso, doveva ritenersi che sussistesse l’obbligo, ex art 421 c.p.c., di esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi e non anche l’onere di riproposizione da parte dell’appellata di domande ed eccezioni non accolte in primo grado rimaste assorbite. Formula specifico quesito con il quale chiedere se, in caso di pluralità di domande o di eccezioni proposte non in via cumulativa ma alternativa e subordinata, si presuppone la soccombenza con riguardo ad alcune di esse ai fini dell’onere di riproposizione di quelle rimaste assorbite, sollevate dalla parte che nella specie è rimasta vittoriosa totalmente in primo grado.

Infine, la società chiede che, in caso di mancato accoglimento della interpretazione della norma proposta, si sospenda il giudizio con remissione alla Corte Costituzionale della questione della legittimità costituzionale della norma sotto il profilo della violazione dell’art 3 della Costituzione, sostenendo al riguardo che si verrebbero irragionevolmente a parificare situazione diverse, non essendo conoscibile da parte del datore l’evento nascita in difetto di una sua comunicazione, sotto il profilo dell’eccesso di delega (art. 77 Cost.), in ragione  del difetto di coordinamento dell’art. 55, 4 comma, con il comma 7 del precedente art 54 del d. lgs. 151/2001, essendosi preceduto non ad una semplice ricognizione di una disciplina già esistente, ma ad un ampliamento dei contenuti della stessa in termini incoerente con il principio di ragionevolezza, logicità, organicità e sistematicità e sotto il profilo della violazione del principio di certezza dei rapporti giuridici (art.. 24, 101, 102, e 104 Cost.)

Il ricorso è fondato.

I primi due motivi di impugnazione, che si fondano, da un lato, sulla affermazione di una diversa interpretazione della norma (art. 55 comma 4 del d. lgs 151/20019) e, dall’altro, sulla considerazione che la norma, così come interpretata dal giudice del gravame, presupponga il verificarsi di una determinata situazione di conoscibilità dell’evento nascita da parte del datore di lavoro destinato alle dimissioni del padre lavoratore, vanno trattati congiuntamente, involgendo l’esame di profili comuni.

Nello specifico, a ben considerare, non si è al cospetto di una norma equivoca, quanto piuttosto di una norma da leggersi in stretta connessione con le disposizioni dei precedenti commi del medesimo articolo, ed in particolare, con quello (comma 2 dell’art 55 d.lgs 151/2001) che prevede che la disposizione di cui al precedente comma ( che sancisce che in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’art 54 il divieto di licenziamento, l lavoratrice ha diritto alla indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento) si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.

Deve, ai fini della comprensione del quadro normativo delineatosi con l’emanazione del testo unico di cu al d. lgs 151/2001, considerarsi che l’art 11 del regolamento di esecuzione ( d.p.r. n. 1026 del 1976) della legge 1204 del 1971 (sulla tutela della lavoratrice madre) – norma che, durante il periodo in cui è previsto dall’art 2 della legge il divieto di licenziamento della lavoratrice madre, condiziona l’efficacia delle dimissioni di quest’ultima alla successiva convalida delle stesse ad opera dell’ispettorato del lavoro – è stato ritenuto, da orientamento giurisprudenziale espresso da questa corte prima dell’entrata in vigore del citato d. lgs 151/2001, illegittimo e da disapplicare dal giudice ordinario perché, nell’introdurre tale condizione di efficacia della dimissioni, detta una disciplina diversa e confliggente rispetto a quella prevista dall’art 12 della legge, che non subordina ad alcuna condizione o verifica esterna l’idoneità di tale dichiarazione unilaterale di recesso a risolvere immediatamente il rapporto di lavoro (cfr. Cass. 14.12.1996 n. 11181 ed, in senso conforme, Cass. 17.4.200 n. 4941). La norma introdotta dall’art 18 della legge 53/2000 ha, successivamente, previsto, al 2 comma, che “La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento deve essere convalidata dal Servizio Ispezione della direzione provinciale del lavoro”. Tale norma è stata trasfusa nel testo unico delle disposisizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, e a norma dell’art 15 della stessa legge 8 Marzo 200, n. 53, che ha previsto, tra l’altro, che nel testo unico dovesse provvedersi al coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo£.

L’evoluzione normativa suindicata deve essere considerata ai fini della corretta soluzione della questione, evidenziandosi che l’estensione delle tutele previste per il caso di licenziamento in periodo di fruizione del congedo e fino al compimento di un anno di età del bambino anche al padre lavoratore, per il caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di divieto di licenziamento, è condizionata alla fruizione, appunto, del congedo di paternità e che risulterebbe priva di coordinamento con le norme che hanno previsto il divieto di licenziamento e disciplinato le dimissioni volontarie del lavoratore padre (art. 54 comma 7 ed art 55 commi 1 e 2 ) la previsione della necessità di convalida delle dimissioni del lavoratore a prescindere dalla fruizione del congedo da parte del predetto, prevista dalle precedenti disposizioni dello stesso testo unico, o a prescindere dalla conoscenza, da parte del datore della nascita del figlio del proprio dipendente. Ed invero, la disposizione, ove letta nel suo stretto tenore letterale, senza completarne la portata precettiva attraverso il criterio ermeneutico del significato alla stessa attribuibile in base all’intenzione del legislatore, sarebbe anche in contrato con il principio della certezza dei rapporti giuridici, precludendo al datore di lavoro di accettare le dimissioni del lavoratore senza cautelativamente disporne la convalida dinnanzi al Servizio familiare del primo. Né potrebbe considerarsi parificabile la situazione a quella della lavoratrice, per la quale la conoscibilità dello stato di gravidanza è necessaria ai fini della fruizione del periodo di astensione obbligatoria del lavoro. Di qui la necessità di interpretare la norma in questione in stretta correlazione con le previsioni di cui alle precedenti disposizioni normative o, quanto meno, in modo costituzionalmente orientato, in funzione della evidenziata esigenza probatoria, il cui onere, evidentemente, non può che ricadere sul lavoratore che intenda far valere le invalidità delle dimissioni non convalidate nei modi di legge. Peraltro, la possibilità per il lavoratore di avvalersi degli ulteriori congedi parentali previsti dall’art 32 del decreto citato fino al compimento di otto anni del minore non rileva nei sensi sostenuti dal lavoratore ai fini della interpretazione della norma di cui all’art 55 comma 4 dello stesso decreto, che diversamente dalla prima, non prevede in modo testuale, in caso di dimissioni, alcun collegamento con la nascita del figlio.

Ogni altro rilievo avanzato nel terzo e quarto motivo di ricorso risulta assorbito dalle considerazioni che precedono nelle quali rifluiscono quelle sollecitate dalle ulteriori questioni, anche di costituzionalità, prospettate in relazione agli oneri probatori ravvisabili in capo alle parti ed alle relativa ripartizione.

Ne può ritenersi fondato il rilievo del controricorrente di una non condivisibile apodittica presunzione di immunità del padre d ogni suggestione e /o coercizione, ove non si colleghi in qualche modo la invalidità delle dimissioni non assistite dalla procedura garantistica della convalida alla conoscenza da parte del datore della situazione familiare del predetto, questa sola potendo giustificare una atteggiamento del datore che faciliti in qualche modo l’intento dimissionario del lavoratore in un periodo di particolare debolezza, meritevole di maggiore tutela giuridica.

Un’interpretazione che sia aderente al principio di uguaglianza e alle esigenze di solidarietà sociale invocate dal ………. Impone, pertanto, che si tenga conto della preventiva conoscenza dello stato che giustifica la tutela apprestata in favore anche del lavoratore padre.

Essendo pacifico nel caso esaminato che la nascita del figlio del ….. non sia stata resa nota al datore di lavoro all’epoca delle dimissioni rassegnate dal predetto, e che quest’ultimo non abbia neanche presentato istanza di fruizione del congedo per paternità, deve ritenersi sussistente la denunziata erroneità dell’interpretazione della norma di diritto, onde la sentenza va cassata in relazione all’accoglimento dei motivi indicati, senza rinvio ( ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma1, ultimo periodo), in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base dell’enunciata interpretazione della norma censurata – senza che siano necessari all’uopo accertamenti di fatto – e, per l’effetto, va rigettata la domanda del … intesa alla declatoria della invalidità delle dimissioni non convalidate.

La peculiarità  della questione esaminata e la mancanza di precedenti giurisprudenziali di legittimità giustificano la compensazione integrale tra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda del M. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in ROMA, il 9.5.2012.