Licenziamento a seguito di fruizione di permessi ex art 33, l 104/92. Tribunale Civile di Lodi, Ordinanza 30 ottobre 2009

TRIBUNALE CIVILE DI LODI

Il Giudice del Lavoro  Dr. Elena Giuppi

ha pronunciato la seguente

                        ORDINANZA

nel procedimento proposto ex art.4 Dlgs 216\2003 da

G.C. L. -ricorrente-

contro

FONDAZIONE EDUCATORI DEL TERZO MILLENNIO –CENTRO SCOLASTICO GIOVANNI PAOLO II – resistente-

letti gli atti

a scioglimento della riserva formulata all’udienza del 4 marzo 2009

OSSERVA

La ricorrente, insegnante di quarto livello presso l’istituto resistente, con mansioni di insegnante di scuola materna, ha agito ex articolo 4 decreto legislativo n. 216 \2003 per sentir accertare la natura discriminatoria della condotta tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro con condanna alla cessazione della predetta condotta e la riammissione all’insegnamento nella classe della sezione “primavera” con l’espletamento del relativo orario scolastico e per sentir condannare l’istituto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente alla illiceità della predetta condotta.

L’istituto si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso e  contestando la natura discriminatoria della condotta assunta nei confronti della ricorrente.

A parere del giudice non è necessario istruire la causa con l’assunzione di testimoni.

E’infatti pacifico che:

la ricorrente ha diritto a godere dei permessi ex articolo 33 comma 3 L. 104 \92 in quanto coniugata e convivente con persona con handicap  in situazione di gravità;

a settembre 2008 le era stato affidato l’insegnamento nella classe” primavera” composta da bambini di 2\3 anni e con orario di lavoro dalle h. 8.30 alle h.15.45 in tutti giorni della settimana ad eccezione del mercoledì in cui il termine della giornata lavorativa era fissato alle 13.15;

nel corso del mese di ottobre 2008 la ricorrente aveva goduto dei permessi per tre giorni alla settimana (dalle h 8,30 alle 9,10, dovendo accompagnare il marito presso la palestra di riabilitazione);

a partire dal mese di novembre 2008 era stata allontanata dalla classe “prima vera” ed assegnata ad altri compiti (dapprima di assistenza ad un bambino problematico e poi di assistenza al riposo dei bambini della scuola materna e alla vigilanza nelle ore del doposcuola) e successivamente-dal 7 gennaio 2009- era stato modificato anche l’orario di lavoro, con impegno dalle 12 30 alle 18 45.

L’istituto resistente ha riconosciuto che il mutamento di mansioni e di orario è stato determinato dalla richiesta dei permessi ex lege 104\92, che avevano creato problemi di organizzazione del lavoro ai colleghi della ricorrente e all’utenza.

In diritto la normativa di riferimento è costituito dal Dlgs numero 216\2003 “attuazione della direttiva 2000\ 78\Ce per la parità di trattamento in materia di occupazioni e di condizioni di lavoro”.

La legge, come previsto dall’art.1 reca le disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall’ età e dall’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione, in un’ottica che tenga conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini.

Occorre in primo luogo verificare la legittimazione attiva della ricorrente a proporre il ricorso ex art.4, essendo pacifico che nel caso in esame, secondo le stesse allegazioni della medesma parte , la discriminazione non è avvenuta ai danni di una persona handicappata ma a causa dell’esercizio del diritto ai permessi  riconosciuto alla ricorrente in quanto convivente di persona handicappata.

La risposta a tale interrogativo  perviene dalla giurisdizione della Corte europea, citata da parte ricorrente.

La Corte di Giustizia della Comunità Europea,infatti, con sentenza 17 luglio 2008, chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità della normativa comunitaria sulla discriminazione in una fattispecie analoga a quella per cui si procede (licenziamento della lavoratrice madre  di un soggetto disabile, asseritamente a causa dell’ handicap del figlio) ha affermato il seguente principio:”La direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2078 CEE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, in particolare i suoi articoli 1e 2 ,lett.a), devono essere interpretate nel senso che il divieto di discriminazione diretta ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili, qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta  enunciato al detto art.2 n.2 lett. a)”.

Nella motivazione della predetta sentenza,punti 47 e 48, si legge:

  1. Riguardo agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2078, quest’ultima, come risulta dai punti 34 e 38 della presente sentenza mira, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui al suo articolo uno, tra i quali figura, tra l’altro, la disabilità, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. Dal 36º “considerando” di tale direttiva risulta che essa mira altresì alla realizzazione di una base omogenea all’interno della comunità per quanto riguarda la parità in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

 

  1. Come rilevano la signora, i governi…., i detti obiettivi al pari dell’effetto utile della direttiva 2078, sarebbero compromessi se un lavoratore che si trovi in una situazione come quella della ricorrente nella causa principale non possa far valere il divieto di discriminazione diretta prevista dall’articolo due, numero due, lettera a, di tale direttiva quando sia stato provato che egli è stato trattato in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, a causa della disabilità di suo figlio e ciò quand’anche non sia esso stesso disabile”

nel successivo punto 50 la corte afferma:

50.”Or bene, anche se in una situazione come quella di cui alla causa principale la persona oggetto di una discriminazione diretta fondata sulla disabilità non è essa stessa disabile, resta comunque il fatto che proprio la disabilità a costituire, secondo la signora, il motivo del trattamento meno favorevole del quale essa afferma di essere stata vittima. Come risulta dal punto 38 della presente sentenza, la direttiva 2078, che mira, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulle handicap, l’età o le tendenze sessuali, si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo art.1 “.

Alla luce della normativa comunitaria e della interpretazione fornita dalla corte di giustizia non può dunque dubitarsi che la ricorrente sia legittimata ad esercitare l’azione di cui all’art.4 decreto legislativo numero 216\2003 per far accertare la natura discriminatoria della condotta assunta nei suoi confronti dalla datrice di lavoro.

Occorre ora accertare se nel caso in esame la condotta denunciata costituisca una violazione del principio di divieto di discriminazione fondato sulla disabilità.

La nozione di discriminazione assunta dal legislatore nazionale ricalca quella del legislatore comunitario: in particolare ai sensi dell’art.2 lettera a) si ha  discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali per handicap, per età o per orientamento sessuale  una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

Nel caso in esame è pacifico che il mutamento di mansioni e di orario disposto dal datore di lavoro nei confronti della ricorrente è stato conseguente alla richiesta dei permessi ex art 33, comma 3,l.104\92 per assistere il marito invalido, riconosciuto persona con stato di handicap grave: lo ius variandi da parte del datore di lavoro è stato esercitato a causa degli effetti asseritamente negativi sull’organizzazione del lavoro della ricorrente derivati dalla disabilità del marito. In particolare la datrice di lavoro ha assunto che l’esercizio del diritto a godere dei permessi non era compatibile con le mansioni e con l’orario precedentemente assegnato alla lavoratrice, poiché cagionava disagio ai colleghi e all’utenza . In altre parole il ritardato avvio di 40 minuti dell’attività lavorativa per tre mattine alla settimana, aveva cagionato la protesta dei colleghi e quella dei genitori dei bambini frequentanti la scuola materna, costringendo la datrice di lavoro a modificare del tutto le mansioni attribuite e l’orario di lavoro della ricorrente.

A parere del giudice la condotta datoriale deve qualificarsi discriminatoria perché dichiaratamente  adottata a fronte dell’esercizio di un diritto della ricorrente conseguente alla disabilità del coniuge.

Non può dubitarsi che se un’ insegnante avesse richiesto,in una o più occasioni, il permesso di  prendere servizio con un ritardo di quaranta minuti per un motivo di carattere personale(per esempio un esame clinico,una vista medica urgente)il permesso le sarebbe stato accordato senza conseguenze negative sulle mansioni e sull’orario di lavoro:per la  ricorrente,invece,attesa la disabilità del marito,dalla quale consegue la possibilità che la richiesta di permessi sia  reiterata nei limiti di legge(tre giornate lavorative anche non continuative) ,la ritardata presa di servizio ha comportato la reazione del datore di lavoro,che esercitando il preteso diritto ala organizzazione del lavoro,ha modificato unilateralmente orario di lavoro e mansioni.

Le allegate esigenze di organizzazione del lavoro(sulle quali,nonostante la invero  modesta incidenza negativa,il giudice non intende soffermarsi) ,non escludono la discriminazione.

In primo luogo deve osservarsi che il godimento di permessi,per sua natura,impedendo l’adempimento della prestazione influisce  negativamente sull’organizzazione dell’impresa e del lavoro: il datore di lavoro,tuttavia, non può rifiutare il permesso o condizionarne l’esercizio alle proprie esigenze.E’dunque illegittima e discriminatoria  ogni condotta che in qualche modo limiti il libero esercizio del diritto previsto dall’art.33,3 comma l.104\92.

Alla illegittimità della condotta discriminatoria consegue la condanna della datrice di lavoro a reintegrare la ricorrente nelle mansioni di insegnante della scuola materna  e con espletamento del relativo orario scolastico (dalle 8.30 alle 15,45 per le giornate di lunedì martedì giovedì e venerdì e dalle  h.8.30 alle 13,15 nella giornata di mercoledì).

La domanda risarcitoria non può invece trovare accoglimento in difetto di allegazioni e prova sufficienti in ordine all’esistenza del danno lamentato.

Poiché, a quanto risulta, la resistente è incorsa  per la prima volta nella violazione delle norme a tutela della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, non sembra necessario, ai fini della rimozione degli effetti negativi della condotta, dare pubblicità alla sentenza mediante pubblicazione su quotidiani.

Le spese di lite liquidate in euro 1900,00 oltre Iva cpa, seguono la soccombenza.

P.Q.M

visti gli artt.4 L.216| 2003,44,Dlgs286\1998

in accoglimento del ricorso proposto da C. L. G ,.

Condanna Fondazione Educatori del Terzo Millennio-Centro Scolastico Giovanni Paolo II di Melegnano, a riassegnare alla ricorrente le mansioni di insegnante di scuola materna della classe primavera con espletamento del relativo orario scolastico ;

condanna la predetta Fondazione al pagamento in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio liquidate in euro 1900 oltre Iva cpa.

Lodi ,30 ottobre 2009                               Il Giudice