Discriminazione di un genitore con figlio disabile, Tribunale ordinario di milano, sezione lavoro, ordinanza del 16 settembre 2010

Tribunale Ordinario di Milano

Sezione Lavoro

Il Collegio,

letti gli atti e i documenti della causa iscritta al n. 7274/2010 RGL pendente

tra:

N S. S.

e

VF ITALIA S.R.L.

sciogliendo la riserva assunta in data 09.11.10 rileva:

IN FATTO

N S S ha proposto reclamo, ai sensi degli artt. 4 del D.lgs 216/2003 e 44 del D.Lgs 286/1998,  per  la modifica dell’ordinanza di rigetto delle  proprie istanze  del 4 agosto 2010 (R:G: N.6467/10) emessa dal  Tribunale di Milano.

La parte reclamante ha allegato come sarebbe stata discriminata dal comportamento datoriale della VF ITALIA S.R.L, lamentando la lesione dei propri diritti di donna e madre e, soprattutto, di genitore di un bambino disabile.

Per sostenere la propria tesi, N S S ha narrato di essere stata adibita, con nuove mansioni di commessa, all’outlet di Via Morimondo, dopo la soppressione del proprio  posto nella ristrutturazione dell’ufficio custmer, ove era adibita quale impiegata.

Inoltre, secondo quanto prospettato nel reclamo, la responsabile dell’ufficio custmer, D Cin, avrebbe motivato  la scelta di adibire proprio N S S all’outlet  come conseguenza della richiesta di congedo straordinario avanzata dalla stessa per assistere il figlio minore e disabile, evidenziando che, infatti,  in ragione dell’assenza della lavoratrice, l’ufficio custmer sarebbe stato, altrimenti, privato di tre risorse, anziché delle due programmate.

Quale ulteriore doglianza, N S S ha addotto di essere stata trasferita dopo la successiva chiusura dell’outlet – avvenuta nel marzo del 2010 – a Vicolungo (Novara), rilevando che, viceversa,  altre colleghe avevano ottenuto di essere riallocate nell’ambito del Comune di Milano e  deducendo  la violazione dell’art. 33 della legge n. 104/1992, per il quale le sarebbe stato garantito il mantenimento del posto di lavoro nella stessa sede.

Pertanto, la parte attorea  ha chiesto  all’adito Tribunale una declaratoria di inefficacia del trasferimento intimato a Vicolungo (Novara) e l’assegnazione a mansioni compatibili con l’inquadramento contrattuale impiegatizio, oltre al risarcimento del danno non patrimoniale che avrebbe, inoltre, subito.

Si è costituita  in giudizio la società VF ITALIA S.R.L. rilevando, in via preliminare, l’incompetenza del Tribunale adito e la tardività del reclamo proposto per violazione del termine di cui all’art. 739, co. 2°, cpc.

La reclamata, altresì, ha eccepito il difetto del periculum in mora e, quanto al fumus boni iuris, ha evidenziato l’infondatezza delle argomentazioni avversarie, deducendo l’assenza di qualsivoglia profilo discriminatorio per l’applicazione di criteri aziendali sempre oggettivi.

All’udienza del giorno 8 settembre 2010, è stato esperito inutilmente il tentativo di conciliazione; si è, quindi, proceduto  alla discussione orale ed il Collegio si è riservato  di decidere.

IN DIRITTO

  1. SULL’AMMISSIBILITÀ DEL RICORSO.

Occorre, in via preliminare, osservare come le questioni eccepite dalla VF ITALIA S.R.L. in ordine all’ammissibilità del reclamo risultino prive di fondamento.

  1. a) In primo luogo, deve essere rigettata l’eccezione di incompetenza del Tribunale, poiché l’art. 44, co 6°, del D.lgs 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/02, espressamente identifica quale organo competente il Tribunale adito, prevedendo che “contro i provvedimenti del tribunale in composizione monocratica è ammesso reclamo al tribunale nei termini di cui all’articolo 739, secondo comma, del codice di procedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile”.

In particolare, nel disposto della nuova norma, si chiarisce espressamente come il giudice competente per i reclami per i provvedimenti pronunciati ai sensi dell’art. 44  dal giudice monocratico sia lo stesso Tribunale in composizione collegiale e, quindi, non risulta più compatibile l’applicazione dell’art. 739, co. 1,  cpc per quanto riguarda le possibilità di reclamo alla Corte d’Appello.

Attesa, cioè, la regolamentazione diretta della competenza del giudice del reclamo, il rinvio dell’art. 44 all’art. 739 c.p.c. (e, in particolare, al suo secondo comma) è da intendersi riferito solo alla disciplina sui termini  e alle altre disposizioni applicabili nei limiti della compatibilità.

 

  1. b) Deve, altresì, essere rigettata l’eccezione di tardività, per violazione dei termini procedimentali statuiti dall’art. 739, co. 2, p.c. che prevedono la sua presentazione nel termine di dieci giorni dalla comunicazione dell’atto reclamato, posto come detta comunicazione sia avvenuta il 4.8.10 (cfr. avviso telematico) e come il giorno di scadenza fosse perciò il 14.8.10, che cadeva di sabato, con conseguente proroga del termine al lunedì successivo (il 16.8.10) ai sensi dell’art. 155, co. 5, cpc, giorno  ultimo in cui  N S S ha tempestivamente depositato in cancelleria il proprio atto.

 

  1. B) SUI PRESUPPOSTI DEL PROCEDIMENTO EX ART. 44 D.LGS 286/1998

– Il Periculum in mora.

Deve, altresì, essere rigettata l’eccezione proposta dalla parte reclamata in ordine al difetto del periculum in mora.

La ratio dell’art. 44 D.Lgs 286/1998 è quella di garantire una sollecita tutela del soggetto vittima di comportamenti discriminatori, ancorchè  attraverso una disciplina che risulta sotto diversi aspetti conformata a quella del procedimento cautelare uniforme.

In particolare, occorre osservare come, in difetto di una previsione sull’irreparabilità del pregiudizio, possa ragionevolemente escludersi che il legislatore abbia richiesto la prova del periculum in mora, considerato come si tratti di un procedimento volto ad evitare che comportamenti discriminatori possano  incidere su diritti fondamentali.

– Il Fumus.

Occorre, allora, muovere all’esame del fumus boni iuris, prendendo in esame i comportamenti della VF ITALIA S.R.L. censurati dalla parte reclamante, ovvero la modifica delle mansioni a far data dal 15 giugno 2009 e l’intimazione di trasferimento con lettera del 26 marzo 2010.

1) Mutamento in peius delle mansioni nello spostamento all’outlet.

Per la riorganizzazione dell’ufficio custmer, con la soppressione di due posizioni lavorative e spostamento delle impiegate all’outlet, la parte reclamante ha rilevato come l’adozione in via esclusiva del criterio della minore anzianità denuncerebbe l’esistenza di profili di discriminazione ai danni della stessa, avendo il datore di lavoro del tutto pretermesso la considerazione del primo parametro indicato dalla legge (art. 5, lett. a, della legge n. 223/1991), ovvero quello dei carichi familiari.

Dal canto suo, al contrario, la reclamata ha rilevato l’oggettività del criterio legale, applicato nella scelta delle due risorse (N e D D) da ricollocare presso l’outlet dopo il ridimensionamento dell’ufficio custmer.

Per risolvere la questione proposta, si rende necessario verificare la conformità della condotta datoriale al principio generale della buona fede ( art 1175 e 1375 c.c.).

Detto principio, nel caso, richiedeva che il datore di lavoro dovesse scegliere i criteri di individuazione delle due posizioni da sopprimere presso l’ufficio custmer  e da trasferire all’outlet in modo oggettivo e congruo (garantendo, cioè,  il migliore contemperamento tra le esigenze organizzative del datore di lavoro e le istanze dei lavoratori alla luce della fattispecie specifica), nel senso che il criterio non solo doveva essere trasparente ed imparziale, ma doveva anche essere adeguato alla situazione concreta.

E il parametro della minor anzianità appare nel caso non solo certamente oggettivo e trasparente, ma, altresì, corrispondente  ad un caso concreto nel quale lo spostamento all’outlet non veniva di fatto a variare il luogo di lavoro del personale ivi trasferito – posto che sia l’ufficio custmer che l’outlet sono situati nella stessa via Morimndo –  e,  dunque, detto spostamento  non poteva determinare alcun sensibile mutamento nelle possibilità organizzative delle lavoratrici nell’accudire la propria famiglia fuori dal lavoro, non richiedendo cambiamenti logistici di rilievo (anche considerandosi l’esigenza della reclamante  di condurre il bambino disabile presso il centro specializzato di Lodi, con la frequenza di tre volte alla settimana).

Cosicchè, correttamente, la reclamata non ha considerato il criterio dei carichi familiari che nell’ipotesi non aveva ragione di trovare applicazione secondo il parametro della ragionevolezza e buona fede, posto che lo spostamento presso l’outlet non richiedeva maggiori tempi di percorrenza dall’abitazione di ciascun prestatore al posto di impiego.

Peraltro, in aggiunta, la reclamante ha allegato solo il mutamento in peius delle mansioni – che, però,  deve reputarsi giustificato dalla esigenza di conservare il posto di lavoro –  e non ha dedotto alcuna circostanza ulteriore di natura pregiudizievole per l’assolvimento dei suoi doveri assistenziali che possa, in qualche modo, essere ricondotta al suo spostamento all’outlet.

Verificato, dunque, che nel caso di specie il potere organizzativo del datore di lavoro non ha inciso in modo alcuno sulle esigenze famigliari della reclamante, appare corretta l’applicazione del parametro della minore anzianità come esclusivo criterio di scelta nell’ individuazione dei lavoratori interessati dal repechage.

Infatti, in assenza di interessi famigliari da salvaguardare, l’opzione del parametro dei carichi famigliari non sarebbe risultata congrua, presentandosi del tutto disancorata dall’apprezzamento degli interessi effettivi delle lavoratrici incisi dal potere organizzativo dell’azienda.

Ritiene, perciò,  il Collegio  che, una volta verificata la assoluta correttezza, oggettività e soprattutto congruità dei criteri di scelta aziendali,, debbano ritenersi del tutto irrilevanti le eventuali dichiarazioni ascritte dalla lavoratrice alla Dal Cin.

Tali dichiarazioni, infatti, per quanto certamente inopportune e sconvenienti ove fossero state effettivamente pronunciate, resterebbero, comunque,  esterne alla fattispecie e non incisive sulla stessa, posto come la reclamata abbia, poi, in realtà,  mantenuto il comportamento corretto di cui si è fatta parola.

Si conferma, pertanto, la statuizione del provvedimento reclamato, emesso in data 4 agosto 2010, che ha escluso qualsiasi comportamento discriminatorio, o altrimenti illecito, della VF ITALIA S.R.L. nell’attuazione dell’obbligo di repechage della parte reclamante presso l’outlet di Via Morimondo.

2)Trasferimento da Milano a Vicolungo (Novara).

La difesa di N S S ha dedotto, altresì, il carattere discriminatorio del trasferimento nella sede di Vicolungo in quanto la VF ITALIA S.R.L. “ in spregio dell’art. 33 della L: 104 /1992 decideva di trasferire solo la ricorrente fuori dal Comune di Milano, cioè proprio l’unica che non poteva trasferire, avendo l’obbligo di tutelare di più”.

E’ noto che l’art. 33, co. 5, cit. prevede che il “genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede” e per valutare la fattispecie dedotta dalle parti si rende  necessario procedere all’analisi dei comportamenti aziendali sia precedenti che contemporanei alla fase di  chiusura dell’outlet di Via Morimondo presso cui risultavano occupate N S S e le colleghe V e L.

Con riferimento all’outlet, si deve rilevare che la parte reclamata ha, in primo luogo,  rappresentato nella propria memoria difensiva (cfr. cap. da 18 a 23) che il punto vendita presentava un andamento estremamente negativo, avendo dovuto prendere atto di un dimezzamento del suo fatturato con analisi svolta agli inizi del 2010, ma che era fondata su un confronto esteso con l’intero  fatturato medio mensile del 2009 (cfr. cap. 18 res.).

La VF ITALIA S.R.L. ha, poi,  allegato che dopo detta analisi economica – contabile, nonostante risultati tanto negativi,  non avrebbe deciso la “chiusura” dell’outlet, ma la sua “conservazione”, tramite la soppressione di un’unica posizione di commessa, individuata in quella della V, ricollocata presso il Coin di Milano.

Secondo la tesi aziendale, solo nel successivo mese di marzo, poi, vista l’ulteriore riduzione dei guadagni dell’outlet, la società avrebbe mutato le proprie scelte organizzative e deciso la definitiva chiusura di quest’ultimo (cfr. cap. 23 res.).

Le circostanze appena menzionate evidenziano profili di incongruenza, in quanto appare non persuasivo e credibile che la VF ITALIA S.R.L. dopo un’analisi approfondita del fatturato dell’outlet, con il confronto dei guadagni al gennaio del 2010 con l’intero anno precedente e  la presa d’atto del dimezzamento delle entrate monetarie, dapprima possa aver deciso a febbraio del 2010 la “conservazione” del negozio  con la sola soppressione della posizione di una commessa su tre e, poi, mutato radicalmente la propria scelta a marzo, stabilendone la “definitiva chiusura”,  dopo solo un mese e mezzo circa e sulla base della riduzione dei guadagni (la cui entità, tra l’altro, non è nota) che vi sarebbe stata in tale ulteriore limitatissimo periodo.

Appare, cioè, seriamente improbabile che la decisione aziendale possa essere maturata improvvisamente, nell’arco di un solo mese, considerando che, ormai, dall’inizio dell’anno, era chiara la criticità della situazione economica, dovuta al dimezzamento del fatturato medio mensile rispetto all’anno precedente.

Piuttosto, si deve sottolineare come l’andamento sicuramente negativo del fatturato, già agli inizi dell’anno, il modestissimo lasso temporale intercorso tra la soppressione del posto della sola V e la decisione di chiusura dell’outlet, il fatto che quest’ultima opzione  con  mutamento radicale delle scelte  organizzative aziendali  (dalla conservazione dell’outlet alla sua eliminazione) sia stato basato solo sull’ulteriore valutazione di un mese e mezzo di fatturato (tra il provvedimento di trasferimento della V al Coin  del 4.2.10 e quello della ricorrente a Novara del 26.3.10 intercorrono 50 giorni),  costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti, ex art. 2729 cc, di come presumibilmente già nel gennaio 2010 fosse proposito finale della reclamata la chiusura di detto negozio e che evidenziano l’esistenza di un disegno riorganizzativo unitario dell’azienda, al quale tutti i diversi “spostamenti” delle risorse, sia antecedenti che successivi alla soppressione del punto vendita, devono essere ricondotti.

Diversamente argomentando, risulterebbe davvero inspiegabile e priva di una ragionevole giustificazione la decisione dell’azienda di chiudere l’outlet nel mese di marzo, dopo soli 50 giorni dalla scelta della sua conservazione e sulla base di un tanto limitato periodo di ulteriore osservazione del fatturato.

Occorre, dunque, meditare come le operazioni di “ricollocamento” della V, della L e della N costituiscano fasi non dissociabili di un piano aziendale organizzativo più ampio ed unitario e che – al di là di ogni intento elusivo o illecito ed anche nel caso non fosse sussistente – l’azienda avrebbe, comunque,  dovuto valutare unitariamente (cioè, qualora anche la VF ITALIA S.R.L. avesse improvvisamente e in buona fede mutato al propria decisione nel marzo del 2010, passando dalla “conservazione” alla “chiusura” dell’outlet, attesa la strettissima prossimità temporale delle due opposte decisioni organizzative e la revoca della prima di queste, avrebbe conseguentemente dovuto riconsiderare la situazione nel suo insieme, come un unico problema organizzativo, revocando al limite anche il trasferimento della V al Coin, per poi valutare nuovamente e unitariamente le posizioni delle lavoratrici).

E una valutazione unitaria delle posizioni delle lavoratrici e di quelle disponibili, avrebbe richiesto in primo luogo che per N S S fosse preservato un posto di lavoro nello stesso Comune di Milano ove disponibile nel rispetto dell’art. 33, co. 5, della legge n. 104/1992.

Così, qualora si proceda ad una comparazione congiunta delle lavoratrici e delle posizioni disponibili,  si deve meditare come  non si possano considerare persuasive le argomentazioni giustificative della VF ITALIA S.R.L..

Per quanto, infatti,  la postazione lavorativa presso il Coin di Milano  richiedesse l’impiego di una sola risorsa, era consentito all’azienda assegnarne,  comunque, la titolarità a N S S, inviando provvisoriamente la V o la L o altra sostituta  in temporanea trasferta nella stessa posizione presso il Coin  fino al rientro della reclamante.

Ugualmente, anche nell’ipotesi in cui N S S  non avesse avuto sufficiente autonomia nelle mansioni di commessa (circostanza, peraltro, non facilmente dimostrabile), ma necessitasse di una fase di affiancamento ed apprendimento, nulla vietava di stabilire un periodo di formazione di tal fatta, magari anche a Novara, per poi disporre la sua assegnazione presso il Coin, una volta raggiunta la capacità necessaria (si rammenti che la ricorrente, del resto, era stata già valutata come idonea per svolgere le mansioni nell’ambito dell’outlet alla chiusura dell’ufficio custmer).

La scelta di collocare la V presso il Coin, dunque, non trova giustificazione nell’assenza della N per congedo straordinario, quanto piuttosto conferma che ci si trova di fronte ad una fattispecie discriminatoria, posto che, per le stesse esposte considerazioni presenti nella memoria della reclamata (pag. 28), la lavoratrice, qualora non avesse goduto del congedo straordinario  in parola, avrebbe avuto un trattamento differente potendo ambire ad occupare la posizione presso il Coin.

Ossia, l’opzione dichiarata nella memoria della VF ITALIA S.R.L. (cfr. pag. 28) di non trasferire la reclamante al Coin perché sarebbe stata assente fino al 31.12.10  per il godimento del congedo straordinario per assistere il figlio disabile, mostra come la stessa sia stata vittima di un comportamento oggettivamente discriminatorio.

La reclamante ha, perciò, subito una discriminazione diretta ai sensi dell’art. 2 del Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216, visto come, per una ragione collegata alla sua assistenza al figlio disabile, sia stata trattata  meno favorevolmente di quanto sarebbe trattata un’altra persona  in una situazione analoga.

E che si rientri nell’ambito delle discriminazioni è confermato anche dall’orientamento della Corte di Giustizia (C-303/06) che  ha chiarito che “la direttiva 2000/78/Ce deve essere interpretata nel senso che il divieto di discriminazione diretta ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili…..Qualora un datore di lavoro tratti in modo discriminatorio una lavoratrice, non disabile, ma impegnata nella cura del figlio disabile si rientra nel campo di applicazione della direttiva.”.

La Corte di Giustizia ha, infatti, interpretato l’ambito di tutela in materia di disabilità come dedicato anche alla protezione dei soggetti che pur non presentando personalmente un fattore di rischio, siano comunque pregiudicati, nel rapporto di lavoro, dalla relazione con altra persona che questa caratteristica presenti.

Si aggiunga, inoltre, ad abundantiam, come nelle determinazioni aziendali “il criterio organizzativo” aziendale sia erroneamente  prevalso sull’applicazione dell’art. 33, co. 5,  della legge n. 104/1992.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, infatti,  motivato che “ il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, cha assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico produttive dell’azienda, ovvero della pubblica amministrazione, non è invece attuabile ove sia accertata la incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro” (cfr. Cass. SU n. 16102/09).

Posta, quindi, la discriminatorietà del trasferimento a Novara di N S S, occorre rimuoverne gli effetti ed ordinare alla VF ITALIA S.R.L. di ricollocare la ricorrente presso un punto outlet o un ufficio sito nell’ambito del Comune di Milano, in mansioni almeno equivalenti a quelle proprie presso l’outlet di cui si è trattato in causa.

Per quanto concerne, infine, l’asserito  danno patito dalla reclamante, non è possibile accogliere la domanda attesa la genericità delle allegazioni e l’assenza di qualsiasi elemento di prova.

Le spese di lite per entrambi i gradi di giudizio, sono liquidate come da dispositivo, in ragione della soccombenza parziale della reclamata.

PQM

  • Accertata la legittimità del mutamento delle mansioni nello spostamento della reclamante dall’ufficio custmer all’outlet, rigetta la richiesta della lavoratrice di ripristino della situazione pregressa;
  • Accertata la discriminatorietà del trasferimento a Novara di N S S, ordina di ricollocare la ricorrente presso un punto outlet o un ufficio sito nell’ambito del Comune di Milano in mansioni almeno equivalenti a quelle presso l’outlet di cui si è trattato in causa;
  • Rigetta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
  • Compensate per 1/2 le spese di lite, condanna la VF ITALIA S.R.L. a rifondere le stesse a N S S nella misura di Euro 1500,00, oltre accessori.
  • Milano, 16.9.10
  • Il PRESIDENTE DEL COLLEGIO
  • dot.ssa S. Ravazzoni
  • IL GIUDICE RELATORE
  •                                         N. Di Leo