discriminazione razza, Tribunale ordinario di Torino, sezione lavoro, sentenza del 28 dicembre 2016

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO

SEZIONE LAVORO

causa  RGL n. …/….  promossa da:

E K N  ass. avv. GIOVANNI ANANIA,

  PARTE RICORRENTE

contro

 P P S.P.A., con il patrocinio dell’avv. ALBERTO MATTEO BORRIONE e dell’avv. MARIO SCOPINICH

                                     PARTE CONVENUTA

Il Giudice

Letti gli atti, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue.

La ricorrente , deducendo di aver lavorato nel corso del 2015 in favore della Pam Panorama spa inizialmente  tramite un rapporto di lavoro somministrato e poi con un contratto a termine, chiede accertarsi il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dalla convenuta concretizzatasi nella mancata assunzione a causa della sua nazionalità e chiede conseguentemente la condanna della convenuta a costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con inquadramento come ausiliario alle vendita ed a risarcire il danno patrimoniale subito a causa della condotta discriminatoria pari a tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto a termine sino all’effettiva assunzione.

A sostegno del proprio assunto la ricorrente deduce  che nello stesso periodo altri 7 lavoratori italiani , come lei inizialmente addetti  quali ausiliari alle vendite presso la Pam di Collegno per il tramite dell’agenzia di somministrazione e poi  assunti alle dipendenze della convenuta con contratti a termine, alla scadenza del termine sono stati tutti assunti con contratto a tempo indeterminato.  Allega altresì  la registrazione del colloquio intercorso con la sig. C C dal quale emerge con chiarezza che la ragione della mancata assunzione risiede nella sua nazionalità .

Resiste la convenuta negando la condotta discriminatoria ,  sostenendo  che altri lavoratori assunti con contratto a termine non hanno ottenuto la conversione del rapporto e rilevando che le dichiarazioni della C sarebbero sostanzialmente irrilevanti in quanto rese da un’impiegata di terzo livello priva di poteri direttivi e del tutto estranea al percorso assuntivo.

E’ necessario innanzitutto ricostruire sinteticamente  il quadro normativo applicabile alla fattispecie oggetto di decisione.

L’art. 43 d.lgs. 286/98 stabilisce che “ costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose(…..) In ogni caso compie un atto di discriminazione  (….) c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio , all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità”

Il primo comma dell’art. 28 d.lgs. 150/11 espressamente dispone la soggezione al rito sommario  delle controversie di cui all’art. 44 d.lgs. 286/88, cioè quelle controversie -come quella in esame- volte a reprimere il comportamento del privato che produca una discriminazione per motivi razziali, etnici , linguistici, nazionali , di provenienza geografica o religiosi .

L’applicazione del rito sommario comporta l’inversione dell’onere probatorio: ai sensi dell’art. 28 comma 4 “ quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione”.

Occorre quindi  valutare se la ricorrente abbia fornito elementi di fatto idonei e sufficienti a determinare  l’inversione dell’onere probatorio.

Sotto il  profilo della prova statistica la ricorrente afferma di essere stata l’unica del suo gruppo di assumendi a non aver ottenuto l’assunzione a tempo indeterminato. Gli esiti istruttori dimostrano che effettivamente i sette lavoratori indicati nel capo 7 del ricorso sono stati tutti assunti con contratto a tempo indeterminato. La  circostanza è peraltro irrilevante al fine della prova statistica della discriminazione essendo  emerso che, in occasione dell’apertura del punto vendita di Collegno,  P aveva un accordo con il centro per l’impiego di Rivoli in forza del quale si era impegnata a provare tutti i lavoratori che potenzialmente avessero i requisiti . La selezione del personale si è quindi realizzata  con una prima prova delle capacità degli assumendi per i l tramite dell’agenzia di somministrazione, successivamente con l’assunzione diretta con contratto  a termine con eventuali proroghe ed infine con l’assunzione a tempo indeterminato. E’ peraltro provato che i dipendenti D S, G e T assunti con contratti a termine poi prorogati hanno cessato i rapporti di lavoro alla scadenza del termine, circostanza che priva di significato presuntivo l’omessa assunzione della ricorrente.

L’istruttoria ha tuttavia o evidenziato un altro dato rilevante dal punto di vista statistico, non allegato in quanto non conosciuto né conoscibile  dalla ricorrente : i testi G e Mi hanno infatti riferito che presso il punto vendita Pam di Collegno non lavorano dipendenti extracomunitari, elemento che ha certamente un valore presuntivo significativo.

In quest’ottica va sottolineato  che la documentazione prodotta dalla convenuta, lungi dal fugare i dubbi di discriminazione razziale, evidenziano che in tutto i l territorio nazionale i dipendenti extracomunitari sono davvero pochi e che un  solo dipendente extracomunitario lavora nel territorio torinese.

Come  orgogliosamente dichiarato da P  sul sito web, la società conta 135 punti vendita ed oltre 7000 dipendenti mentre dalla documentazione versata in atti , (elenco dipendenti extracomunitari predisposto dalla stessa convenuta) in tutto il territorio nazionale    risultano solo 43 dipendenti extracomunitari e  nell’area nord ovest lavorano più di dieci dipendenti extracomunitari ( cfr. teste G): si tratta di  numeri talmente modesti,se paragonati ad una forza lavoro di 7000 dipendenti , da non poter essere trascurati nell’esame della condotta qui denunciata.

Ulteriori e significativi elementi sorreggono l’assunto di parte ricorrente.

Innanzitutto, contrariamente a quanto affermato da P in comparsa costitutiva e ripetuto nel corso della discussione orale, non corrispondono  al vero nè la pretesa estraneità della C al percorso assuntivo né  l’assenza in capo alla predetta di poteri direttivi ed organizzativi. Le testi V  e C hanno concordemente riferito che la C nei fatti esercitava le funzioni di capo del reparto casse coordinando le addette, predisponendo i turni, assegnando le ferie e valutando la loro prestazione lavorativa : evidentemente la circostanza che l’organigramma non preveda la posizione di capo reparto alle casse è del tutto irrilevante dovendosi applicare il principio di effettività,. Non solo la C è la coordinatrice delle cassiere e loro diretta superiore gerarchica ma ha anche voce in capitolo nel percorso assuntivo, circostanza che peraltro risultava già evidente dal tenore della conversazione registrata. La teste C ha così descritto il suo intervento: “ io comunico al direttore se le cassiere possono essere potenzialmente brave o se non vanno bene: io non mi occupo di assunzioni. Tra me e M c’è un rapporto di fiducia e collaborazione: l’opinione si esprime “

La circostanza che la C fosse la superiore gerarchica diretta delle cassiere comporta la diretta riferibilità alla società convenuta delle affermazioni rese dalla stessa in occasione del colloquio con la ricorrente tenuto conto  altresì dell’assenza di qualunque reazione o iniziativa disciplinare  da parte della società convenuta pur dopo aver  appreso la gravità delle affermazioni.

La conversazione, ascoltata più volte nel contraddittorio delle parti, contiene alcuni passi illuminanti che di seguito si trascrivono sinteticamente “ come marocchina hai delle agevolazioni da parte dello stato tipo un mese di ferie all’anno cosa che in Italia non esiste capisci? Però noi non possiamo assumerti tra virgolette con quella clausola lì perché non ci possiamo permettere che manchi un mese (……) che sono le regole anche di un’apertura di un supermercato magari la tua cittadinanza marocchina non lo so però magari come mussulmana hai delle particolarità tipo quando c’è il ramadan non puoi lavorare alle 8 di sera “. La conversazione si conclude poi con l’affermazione lapidaria “ l’importante [è] che ci sia la cittadinanza italiana”. Le dichiarazioni rese dalla C, direttamente imputabili alla società convenuta, hanno un contenuto confessorio talmente evidente da rendere inutile ogni ulteriore indagine: la ragione della mancata assunzione della ricorrente risiede nella sua appartenenza ad un’altra nazionalità e ad un’altra religione.

E’ inoltre  provato in causa che , in concomitanza della scadenza del contratto a termine della ricorrente, l’organico delle cassiere non era saturo. Ciò risulta sia dalla deposizione della C, la quale ha riferito che la ricorrente alle casse sarebbe servita perché non c’era personale in eccedenza,  sia dalla circostanza, documentata in causa ( doc. 48 di parte convenuta) , che M L Di S è stata assunta il 3 novembre 2015 e destinata alle casse  ( cfr deposizione  teste V) in sospetta coincidenza con la scadenza del contratto a termine della ricorrente. Inoltre la teste B ha riferito che anche dopo la scadenza del termine del contratto della ricorrente son ostati effettati nuovi inserimenti lavorativi, tutti con contratti a termine, circostanza che ulteriormente dimostra l’esistenza di un posto di lavoro quale addetta cassa che avrebbe potuto essere attribuito alla ricorrente.

Infine  è provato che la prestazione lavorativa della ricorrente alle casse era soddisfacente.

Gli elementi indicati  rappresentano fatti precisi e concordanti che univocamente depongono per il comportamento discriminatorio, ben al  di là degli elementi presuntivi che la ricorrente era tenuta ad offrire.

A fronte degli elementi di prova offerti dalla ricorrente la convenuta si è limitata a negare la discriminazione ed a ridicolizzare le dichiarazioni rese dalla C senza peraltro assumere alcun provvedimento , neppure un semplice richiamo, nei confronti della dipendente e non ha assolto neppure sotto il profilo dell’allegazione l’onere probatorio su di lei gravante.

Era onere della convenuta infatti dimostrare di aver interrotto il percorso preassuntivo della ricorrente per  ragioni diverse dalla nazionalità ed in particolare per ragioni inerenti la valutazione della prestazione lavorativa e tale onere non è stato assolto.

Innanzitutto è provata l’inesistenza di criteri oggettivi e predefiniti per la selezione del personale interamente demandata alle percezioni  del responsabile del punto vendita, con l’unico accorgimento dell’avallo del responsabile del personale. L’omessa predeterminazione di criteri selettivi , scelta imprenditoriale che non può essere sindacata dalla scrivente , espone comunque l’azienda al rischio del verificarsi di episodi di discriminazione razziale quale quello oggetto di causa ( tenuto conto della scarsa sensibilità dei preposti ) e denota comunque un certo disinteresse al puntuale rispetto dell’obbligo di fornire l’accesso all’occupazione senza distinguere o accordare preferenze in base alla razza ovvero all’origine nazionale sancito dall’art. 43 d.lgs. 286/98.

L’unico dato selettivo obiettivo riferito dal teste M, lungi dal provare la valutazione negativa della qualità della prestazione lavorativa resa dalla ricorrente, dimostra semai la volontà di escludere proprio lei dall’assunzione. M ha riferito di aver formulato una valutazione negativa della ricorrente ritenendola  non rapida nell’apprendimento e inidonea a svolgere altre mansioni:   la presunta lentezza nell’apprendimento è smentita dalla valutazione di segno contrario operata dalla diretta superiore gerarchica della ricorrente  mentre la pretesa inidoneità a svolgere altre mansioni – pacifico essendo che la ricorrente è sempre e solo stata utilizzata alle casse- è frutto  di pregiudizio.

Le conseguenze dell’accertata condotta discriminatoria non possono peraltro esser quelle invocate in ricorso.

Se è vero che l’art. 28 d.lgs. 150/11 impone l’adozione di un provvedimento che rimuova gli effetti della condotta è altrettanto vero che il presupposto per la costituzione coattiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dovrebbe necessariamente essere a monte il diritto all’assunzione , diritto pacificamente inesistente stante la libertà di impresa  costituzionalmente protetta  dall’art. 41 cost. e stante l’accertata diffusione dell’interruzione del percorso preassuntivo. Come già sottolineato infatti   non corrisponde al vero la circostanza che tutte le cassiere siano state poi assunte con contratto a tempo indeterminato con la sola eccezione della ricorrente. I testi hanno infatti concordemente riferito che la Di S, addetta alle casse assunta con contratto a termine, dopo aver fruito di una proroga del termine non è stata assunta. E’ poi provato che altri lavoratori, non addetti alle casse, hanno effettuato lo stesso percorso della ricorrente e non sono stati poi assunti con contratto a tempo indeterminato.

Il danno subito dalla ricorrente è quindi da valutare come perdita delle chances di essere assunta a tempo indeterminato alle dipendenze della convenuta.

Secondo il condivisibile orientamento della Suprema Corte in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di “chance” – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta ( così cass.18945 del 11/12/2003)

Le chances di assunzione erano nella specie consistenti stante l’accertata esistenza di posti liberi nell’organico delle cassiere e la valutazione positiva della qualità della prestazione resa dalla ricorrente operata dalla sua superiore gerarchica.

Ritiene quindi questo giudice di dover liquidare il danno in via equitativa utilizzando quali parametri da un lato l’art. 18 st. lav come modificato dalla legge 92/12 nella parte in cui prevede che il licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo venga sanzionato con la condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità determinata da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità della retribuzione globale di fatto e dall’altro l’art. 2 d.lgs. 23/15 ( astrattamente applicabile alla fattispecie ratione temporis) che in caso di licenziamento discriminatorio attribuisce al lavoratore il diritto alla reintegra nel posto di lavoro ovvero alla corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r.

Le norme richiamate sostanzialmente definiscono il costo che il datore di lavoro deve sostenere qualora decida di interrompere un rapporto di lavoro in difetto dei presupposti del recesso e possono  quindi  essere applicati in via analogica al  risarcimento del danno da perdita  di chances di ottenere un’assunzione con contratto a termine indeterminato.

Considerati da un lato la brevità del rapporto di lavoro e dall’altro la gravità dell’illecito si ritiene equo liquidare il danno in 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ( parti ad euro 647,47 mensili).

La convenuta va quindi condannata a pagare alla ricorrente euro 13.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria da oggi al saldo.

Le spese seguono la soccombenza

P.Q. M.

visto l’art. 28 d.lgs. 150/11

Accerta il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dalla società convenuta e per l’effetto condanna la società convenuta a risarcire alla ricorrente il danno subito, liquidato in euro 13.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria da oggi al saldo;

condanna la convenuta soccombente a rimborsare le spese di lite liquidate in euro 5.000,00 oltre rimborso forfettario, Iva e cpa.

Torino, 28/12/2016

Il Giudice

Drssa Clotilde FIERRO