Nullità licenziamento lavoratrice madre, Tribunale Brescia, sentenza del 6 settembre 2021

TRIBUNALE DI BRESCIA

SEZIONE LAVORO

ORDINANZA EX ART. 1, C. 49, L. 92/2012

Il Giudice del Lavoro, dott. Maurizio Giuseppe CIOCCA, nel procedimento ex art. 1, c.

47 ss., l. 92/2012 promosso

da

J B

con l Avv. Carbonelli

contro

XXXX DI V E & SAS

con l Avv. Vassalini

letti gli atti,

esaminati i documenti,

a scioglimento della riserva che precede,

osserva

IN FATTO

Con ricorso ex art. 1, c. 47 ss., l. 92/2012 depositato telematicamente il 13.11.2020, B J conveniva in giudizio XXXX DI V E & SAS innanzi al Tribunale di Brescia, sez. Lavoro, dolendosi dell’invalidità, dell’ illegittimità o comunque dell’inefficacia del recesso datoriale.

Nel dettaglio, la ricorrente esponeva di essere stata assunta alle dipendenze di controparte in data 15.12.2003, con qualifica di operaia stiratrice, secondo un inquadramento contrattuale al II livello del CCNL Artigiano Tessile.

La prestatrice deduceva inoltre che, a seguito della nascita della propria figlia in data 26.11.2019, aveva dapprima fruito del congedo per maternità, sia obbligatorio sia facoltativo, ed era stata successivamente collocata in ferie dal datore di lavoro al fine di esaurire i periodi di riposo in precedenza maturati e non goduti.

La dipendente precisava al contempo che, in data 22.9.2020, la resistente aveva elevato nei suoi confronti una contestazione disciplinare per assenza ingiustificata, cui, in data 2.10.2020, era seguito il licenziamento in controversia. B  J affermava infine che anche la sorella, XXXXX, dopo aver partorito in data 29.10.2019, era stata licenziata dalla medesima società, sempre in data 2.10.2020, sulla scorta di motivazioni pressoché identiche.

Tanto premesso, la prestatrice riteneva che il recesso datoriale fosse nullo, discriminatorio o comunque illegittimo in quanto intimato entro l anno di nascita del bambino e, pertanto, sosteneva che controparte dovesse essere condannata alla reintegrazione nel precedente posto di lavoro e comunque al risarcimento del danno, tenuto conto di una retribuzione globale di fatto pari ad euro 1.592,84 lordi mensili, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali.

Con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Si costituiva ritualmente in giudizio XXXX DI V E & SAS contestando in fatto e in diritto le deduzioni avversarie e negando, innanzitutto, che in data 3.9.2020 fosse stata comunicata alla ricorrente la necessità di smaltire tutte le ferie arretrate e, al contrario, sosteneva che in data 24.8.2020 vi fosse stata una telefonata con cui il datore di lavoro aveva voluto verificare la disponibilità della dipendente in ordine ad un suo rientro in servizio a partire dal 31.8.2020.

La convenuta affermava inoltre che B  J, all’inizio del mese di settembre 2020, non era tornata al lavoro ed aveva piuttosto domandato di poter fruire di un ulteriore periodo di ferie, pari a due settimane di tempo.

La società esponeva di aver dunque disposto che la lavoratrice riprendesse servizio in data 14.9.2020, ma precisava che in quella giornata ed anche in quelle successive la prestatrice era rimasta assente senza alcuna giustificazione.

XXXX DI V E & SAS rappresentava altresì che, in data 26.9.2020, controparte aveva presentato una richiesta di congedo parentale sino al 26.10.2020, così confermando il proprio disinteresse a riprendere l attività.

La resistente deduceva poi che, in data 28.9.2020, B  J aveva accompagnato la sorella sul posto di lavoro al fine di filmare i locali aziendali e le persone ivi presenti, dichiarando in quell’occasione di non essere intenzionata a tornare in servizio, bensì di voler avviare una causa risarcitoria.

Ciò posto, la società riteneva che la dipendente avesse violato l art. 42 CCNL Artigiano Tessile, in quanto si era resa responsabile di un assenza ingiustificata per oltre cinque giorni consecutivi, così che risultavano ricorrere i presupposti per il licenziamento intimato per giusta causa.

In ogni caso, XXXX DI V E & SAS affermava l’erroneità

della retribuzione globale di fatto indicata bda controparte, che procedeva a quantificare nella minore misura di euro 1.479,02, ed eccepiva in ipotesi la detrazione di quanto aliunde perceptum vel percipiendum dalla lavoratrice a seguito del licenziamento.

In considerazione di tutto ciò, la convenuta invocava la reiezione del ricorso. In subordine, la resistente chiedeva di escludere o comunque di limitare il risarcimento del danno nella misura minima di legge, con compensazione rispetto alle somme percepite da B  J in virtù dei rapporti di lavoro dalla stessa intrattenuti successivamente al recesso in controversia.

Con vittoria delle spese di lite.

All’udienza del 9.4.2021, il Giudice invitava le parti alla discussione e, all’esito, si riservava di decidere.

IN DIRITTO

Il ricorso deve essere accolto, per le ragioni di seguito illustrate.

Occorre innanzitutto osservare che B  J ha invocato l’invalidità e l’inefficacia del recesso datoriale del 2.10.2020 ai sensi dell’art. 54 d.lgs. 151/2001, alla le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al bambino che il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

b) di cessazione dell’attività dell’ azienda cui essa è addetta;

c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;

d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all articolo 4 della legge 10 aprile 19 91, n. 125, e successive modificazioni (c. 3).

In particolare, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in simili ipotesi spetta al datore di lavoro provare la sussistenza di uno tra i casi di legge che possono rendere inoperante il divieto di licenziamento previsto a tutela delle lavoratrici madri (cfr. ex multis Cass., sez. lav., sent. 10.6.2016, n. 11975).

Al riguardo, la Suprema Corte ha poi chiarito colpa grave da parte accertata sussistenza di una giusta causa oppure di quella colpa specificamente prevista – connotata, appunto, dalla gravità – e, proprio per questo, diversa dalla colpa (in senso lato) che deve connotare qualsiasi inadempimento del lavoratore, per essere sanzionato con il licenziamento 19912).

Nello stesso senso, anche la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di osservare concetto di colpa grave costituisce ipotesi più specifica e appunto più grave di quella prevista dall’art. 2119 codice civile (Cass. n. 6300/88, Cass. n. 1973/93, Cass. n. 4435/2004 ecc.) non è sufficiente l esistenza di una delle fattispecie che in linea generale o a norma del C.C.N.L. consentono il licenziamento, richiedendosi invece una riprovevolezza intrinseca o colpa morale tale da superare la considerazione in cui devono essere tenute le condizioni psico-fisiche della donna gestante [ovvero puerpera] la quale si trova a vivere una rivoluzione dei propri ritmi di vita con ineliminabili effetti nell’immediata vita di relazione, compresa l attività lavorativa 19.3.2019).

In altri termini, la normativa primaria ha inteso limitare l ambito di operatività delle eccezioni al divieto di licenziamento di cui all art. 54 d.lgs. 151/2001 non soltanto contemplando un catalogo tassativo delle ipotesi in cui il recesso datoriale deve ritenersi ammesso, ma altresì prevedendo che l estromissione per ragioni disciplinari possa essere intimata solamente laddove ricorra una fattispecie autonoma e connotata da un maggiore disvalore rispetto ai casi di giusta causa delineati dall’art. 2119 c.c. o enumerati dalla contrattazione collettiva.

Orbene, nel caso di specie la convenuta si è limitata ad invocare la riconducibilità art. 42 del ccnl applicato dalla società resistente che prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di recedere per giusta causa (senza preavviso), per assenza recesso ex art. 54 Co. 3, D.Lgs. 151/2001 -12).

Nello stesso senso, anche nella lettera di contestazione disciplinare del 22.9.2020 e nella conseguente comunicazione di recesso datoriale (cfr. docc. 5 e 7, fascicolo ricorrente) non vi sono riferimenti al fatto che la condotta della prestatrice possa aver integrato gli estremi di una colpa grave, né tantomeno sono illustrate le ragioni secondo cui sarebbe stato inoperante il divieto legale di licenziamento, essendovi esclusivamente un richiamo alle previsioni poste dall’art. 7 l. 300/1970 e dall’art. 42 CCNL Artigiano Tessile nonché una generica ed ambivalente valutazione di gravità circa la dedotta violazione degli obblighi contrattuali.

XXXX DI V E & SAS ha piuttosto sostenuto che la dipendente fosse rimasta assente dal lavoro senza giustificazione per almeno cinque giorni consecutivi, ha dunque ravvisato la ricorrenza di una fattispecie annoverabile tra quelle per cui la contrattazione collettiva ammette il recesso senza preavviso e, per l’effetto, ha ritenuto di poter automaticamente invocare la deroga di cui all art. 54, c. 3, lett. a, d.lgs. 151/2001.

Ciò, tuttavia, non appare tenere in debita considerazione il carattere peculiare ed autonomo dei casi di colpa grave, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte anche in una vertenza del tutto analoga a quella in esame, laddove non è stato ritenuto di per sé sufficiente che, al fine di poter legittimamente adottare un provvedimento di estromissione disciplinare, la dipendente avesse trasgredito la previsione del contratto collettivo che sanzionava un assenza dal servizio superiore a sessanta giorni di lavoro consecutivi (cfr. Cass., sez. lav., sent. 26.1.2017, n. 2004).

Non si ritiene dunque che la convenuta abbia dapprima invocato, in seguito allegato e infine offerto di provare la sussistenza di un ipotesi che deroghi al divieto di licenziamento stabilito in favore delle lavoratrici madri.

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 18, c. 1, l. 300/1970, il recesso datoriale intimato nei confronti di B  J deve essere dichiarato nullo.

*

XXXX DI V E & SAS va pertanto condannata all’immediata reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e nelle mansioni dalla stessa in precedenza disimpegnate.

La resistente va inoltre condannata a risarcire alla lavoratrice il danno quantificato nella retribuzione globale di fatto pari ad euro 1.479,03 lordi mensili, tenuto conto di una remunerazione pari ad euro 7,89165 lordi all’ora, nonché di un monte orario pari a n. 173 ore mensili e dell’incidenza della sola tredicesima mensilità (cfr. doc. 2, fascicolo ricorrente), non potendosi di contro considerare eventuali istituti contrattuali e indiretti della retribuzione meglio individuabili da corrispondere sino alla data di effettiva reintegrazione e a partire dal 25.9.2020, ovverosia dal momento di efficacia del licenziamento ex art. 1, c. 41, l. 92/2012 (cfr. doc. 5, fascicolo resistente), e, comunque, in misura non inferiore a cinque mensilità.

Ciò, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo effettivo.

Si deve al contempo precisare che dall’importo spettante a B  J non possono essere detratte somme a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, in quanto per costante giurisprudenza di legittimità il datore di lavoro è tenuto a dar prova dell’esistenza di simili poste, pur con l ausilio di presunzioni semplici (cfr. ex multis Cass., sez. lav., sent. 11.1.2018, n. 512), mentre nella fattispecie in esame la convenuta si è limitata a formulare una richiesta istruttoria generica ed indeterminata, avente carattere sostanzialmente esplorativo e, dunque, inammissibile (cfr. memoria, p. 15).

Da ultimo, va osservato che il datore di lavoro deve essere altresì condannato a versare i contributi assistenziali e previdenziali dal 25.9.2020 al momento dell’effettiva reintegrazione della ricorrente, come per legge.

* * *

La regolazione delle spese di lite segue ai sensi dell art. 91 c.p.c. il principio della soccombenza e le stesse vengono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

dichiara la nullità del licenziamento intimato nei confronti di B  J e, per

ordina a XXXX DI V E & SAS l’immediata reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro;

condanna la convenuta a risarcire alla lavoratrice il danno quantificato nelle retribuzioni globali di fatto pari ad euro 1.479,03 lordi mensili maturate dal 25.9.2020 alla data di effettiva reintegrazione e, comunque, in misura non inferiore a cinque mensilità, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo;

condanna la resistente a versare i contributi assistenziali e previdenziali dal 25.9.2020 al momento di effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale, senza

applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione;

condanna la società alla rifusione delle spese di lite, liquidate nella misura complessiva di euro 2.500,00, oltre iva e cpa, con distrazione in favore del procuratore antistatario;

MANDA

alla Cancelleria per la comunicazione alle parti costituite.

Brescia, 06/09/2021