Divieto di licenziamento della lavoratrice fino ad un anno di vita del bambino, Tribunale di Napoli, sentenza del 23 novembre 2023.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI NAPOLI NORD

Sezione lavoro

nella persona della dott.ssa Fabiana Colameo ha pronunciato, a seguito di deposito di

note scritte in sostituzione dell’udienza del 16.11.2023, ex art. 127ter c.p.c., la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 4184/2023 R.G. LAVORO

TRA

V P n. a SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) il 27/12/1996 rappresentata e difesa dall’avv. ZAMPELLA ARCANGELO, come da procura in atti.

RICORRENTE

E

M R E  s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. e Amministratore Unico sig. C F, nato a Frattamaggiore (NA) il ………., rappresentato e difeso dall’avv. PEZONE LUIGI

RESISTENTE

Ragioni di fatto e di diritto

Con ricorso depositato in data 01/04/2023 e ritualmente notificato V P ha convenuto in giudizio innanzi a questo Tribunale la società M R E, chiedendo di “… 1) Accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo ed inefficace il licenziamento de quo perché adottato in violazione dell’art 54 d.lgs. 151/2001; 2) In subordine accertare e dichiarare il licenziamento, comunque, nullo, invalido illegittimo, inefficace perché privo di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e oggettivo; 3) per l’effetto condannare la srl M R E , in persona del legale rapp.te p.t. rapp.to e dom.to come in epigrafe alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro con il pagamento di tutte le retribuzioni, con un minimo di cinque, dalla data del licenziamento fino a quella dell’effettiva reintegrazione e con il pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali come previsto dall’art.2 d.lgs 23/2015.La retribuzione mensile è pari ad € 1.561,09;4) in estremo subordine condannare la società convenuta al risarcimento del danno così come previsto dall’art.3 del d.lgs. 23/2015”.

In particolare, la ricorrente ha dedotto: di aver lavorato a decorrere dal 18.4.2018 presso l’unità aziendale di Teverola per conto ed alle dipendenze della srl M R E  – azienda esercente attività di consulenza imprenditoriale e altra consulenza amministrativo- gestionale e pianificazione aziendale- con le mansioni di “receptionist”, e cioè quale impiegata addetta alla accoglienza dei clienti, alla gestione degli appuntamenti ecc; che per tali mansioni era stata inquadrata, dallo stesso datore di lavoro, nel livello 5° del CCNL Commercio Terziario con contratto a tempo pieno ed indeterminato; che, in data 19.09.2022, alla lavoratrice veniva notificata la comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo datata 15.09.2022; che tale licenziamento veniva prontamente impugnato con missiva del 20.09.2022 notificata il 22.09.2022; che, contestualmente, l’istante inviava alla società convenuta certificato medico attestante il suo stato di gravidanza, già conosciuto dal datore di lavoro; che la data presunta del parto era indicata per il 30.03.2023; che la stessa società convenuta, preso atto di tale attestato, sospendeva il licenziamento con missiva del 21.9.2023, ribadendo, però, che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo era confermato al termine del periodo di gravidanza; che anche tale licenziamento veniva prontamente impugnato dalla sig.ra V P con raccomandata A.R. inviata alla società convenuta.

Tutto ciò premesso, la ricorrente concludeva nei termini di cui sopra.

La società resistente si costituiva e chiedeva, con diffuse argomentazioni, il rigetto del ricorso.

Esperito il tentativo di conciliazione, la causa veniva rinviata per la discussione all’udienza del 16.11.2023 e disposta la sostituzione dell’udienza con la trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa con la presente sentenza, completa di motivazione, sulle note delle parti.

In punto di fatto, occorre premettere che la ricorrente ha agito in giudizio al fine di ottenere l’accertamento e la declaratoria dell’inefficacia e dell’illegittimità del licenziamento intimatole il 19.09.2022 nonché la conseguenziale condanna della società resistente a reintegrarla nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dalla Legge.

Nello specifico, la ricorrente ha, in primo luogo, cesurato la condotta datoriale in ragione della violazione, ad opera della società datrice di lavoro, del divieto di licenziamento previsto dall’art. 54 del d. lgs. n. 151 del 2001, evidenziando: che l’avversa comunicazione del licenziamento sarebbe intervenuta durante il periodo di gravidanza e quindi, in violazione del divieto di cui all’art. 54 cit.; che tale licenziamento sarebbe stato successivamente sospeso con lettera del 21.9.2022, a seguito dell’invio del certificato di gravidanza; che nella predetta comunicazione di “sospensione del licenziamento del 19.9.2022” si ribadiva, però, che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sarebbestato confermato con effetti al termine del periodo di gravidanza e/o al compimento di un anno di età del bambino.

Di contro, la società convenuta ha eccepito l’insussistenza di un atto di licenziamento, essendo stato l’atto di recesso datoriale sospeso con missiva del 21.9.2022 fino al termine del periodo di gravidanza, quindi dopo il compimento di almeno un anno dalla nascita del bambino, come previsto dalla legge ed essendo la ricorrente ancora alle dipendenze della società convenuta.

Tanto doverosamente premesso sul tenore delle allegazioni difensive delle parti, dalla disamina della documentazione versata in atti si evince quanto segue:

– in data 19.9.2022 la società comunicava alla ricorrente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo stante la soppressione della sua posizione a seguito di riorganizzazione aziendale;

– con successiva missiva del 21.9.2022 rubricata “comunicazione di sospensione licenziamento del 19.9.2022” la società comunicava alla ricorrente che “..a seguito della documentazione da Lei prodotta in data 19.9.2022…l’azienda preso atto del certificato inviatoci, ha deciso di sospendere il procedimento, fino al termine del suo stato di gravidanza. Resta inteso che la presente, conferma in maniera integrale quanto già comunicatole in data 19.9.2022, circa la soppressione della mansione da lei svolta, e pertanto si ribadisce l’applicazione della misura del licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo al termine del periodo di gravidanza”.

Ciò posto, non vi è dubbio che la ricorrente risulta ancora alle dipendenze della società convenuta e ciò fin dal 21.9.2022, data in cui è stato sospeso il licenziamento intimatole due giorni prima (come si evince chiaramente dalle buste paga, dai flussi uniemens inviati all’I.N.P.S. e dall’accoglimento della domanda di congedo parentale – Doc. dal 07 al 25 memoria di costituzione – e come peraltro confermato dalla stessa ricorrente in sede di libero interrogatorio).

E’ altresì pacifico che gli effetti dell’atto di licenziamento comunicato all’istante in data 19.9.2022 sono stati sospesi con missiva del 21.9.2022 (fatto pacifico in quanto non contestato) e differiti al termine del periodo di gravidanza “quindi dopo il compimento di almeno un anno dalla nascita del bambino” così come ammesso dalla stessa convenuta nella memoria difensiva (v. memoria di costituzione, sul punto).

Sul punto, è noto che l’art. 54 del D.Lvo 26.3.2001 n. 151 stabilisce al comma 1° che “Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino” e al comma 2° che “Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, é tenuta a presentare al datore di lavoro idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano”. La sanzione è quella della nullità del licenziamento come chiaramente stabilito dal comma 5° stesso Decreto (“Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, é nullo”).

Ai fini della determinazione del periodo in cui vige per legge il divieto temporaneo di recesso, deve farsi riferimento alla presunzione legale dello stato di gravidanza prevista dall’art. 4 del D.P.R. 25.11.1976 n. 1026 (Regolamento di esecuzione della Legge 30.12.1971 n. 1024 poi confluita nel D.Lvo n. 151/2001 citato), secondo il quale “Per la determinazione dell’inizio del periodo di gravidanza ai fini previsti dall’art. 2, secondo comma, della legge, si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data del parto, indicata nel certificato medico di cui al successivo art. 14”.

Attesa la ratio della norma, che come si è visto protegge la lavoratrice in stato di gravidanza secondo una valutazione “oggettiva”, a tale conclusione si perviene anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, quando ha proceduto a licenziare la dipendente, ignorasse senza sua colpa l’evento protetto (com’è avvenuto nel caso in esame in quanto il certificato è stato prodotto solo in epoca successiva); anzi, la norma tutela a tal punto la lavoratrice anche se nell’ipotesi in cui fosse quest’ultima ad ignorare di essere incinta.

La giurisprudenza sia di legittimità che di merito non ammettono dubbi in proposito (cfr. ad esempio Cass. Sez. Lav. 3.3.2008 n. 5749 e 6.7.2002 n. 9864).

Per converso, il divieto di licenziamento durante lo stato di gravidanza non opera qualora sia motivato da ragioni che rientrino nei casi tassativamente previsti dal comma 3° dell’art. 54 D.Lvo n. 151/2001 (già art. 2 comma 3° Legge n. 1024/1971) e cioè:

– di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro: ipotesi non ricorrente nel caso in esame e comunque sottoposta alla disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 2119 cod. civ. e 7 Legge n. 300/1970;

– di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine: ipotesi non ricorrente trattandosi di contratto di lavoro a tempo indeterminato;

– di esito negativo della prova resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1990 n. 125 e successive modificazioni: ipotesi parimenti non ricorrente;

– di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa é addetta”.

Quanto poi alla legittimità del licenziamento con efficacia differita al termine del periodo di gravidanza e/o dopo il compimento del primo anno di età del bambino va rimarcato l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «è indubbiamente esatto che, quando il recesso abbia effetto differito, non è sufficiente la conoscenza dell’atto da parte del destinatario (art. 1334 cod. civ.) affinché quell’effetto si produca, ravvisandosi, invece, una fattispecie complessa: conoscenza dell’atto e verificarsi della scadenza prefissata. Tuttavia, tale distinzione…è in evidente contrasto con l’art. 2, primo e secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, i quali statuiscono che “le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’art. 4 della presente legge, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”; che “il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio…”. Queste disposizioni, all’evidenza, intendono attuare un’energica tutela della lavoratrice “madre”, ponendo, nei periodi considerati, il divieto di licenziamento, il quale, ancorché, in ipotesi, destinato a produrre effetto in data ad essi successiva, è, di per sè, idoneo ad arrecare grave turbamento alla lavoratrice gestante o puerpera, sia in considerazione del particolare stato fisico e psichico della donna, sia per l’inevitabile apprensione che consegue alla previsione della sicura perdita della retribuzione e dell’incertezza della sua sostituzione con altra adeguata; apprensione suscettibile di aggravamento proprio a causa di quel particolare “stato”. Tutto ciò si verifica (o può verificarsi, quanto basta) già nel momento in cui l’atto di licenziamento giunge a conoscenza della destinataria, benché l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro sia differito, ed è proprio questa la “situazione negativa” che la legge intende evitare (“ratio legis”)» (così Cass., sez. lav., sent. n. 1526 del 13.2.1998).

Tale opzione ermeneutica è stata avallata anche da parte della giurisprudenza di merito successiva, che ha confermato l’operatività della sanzione di nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice madre durante il primo anno di vita della figlia -in assenza delle sole eccezioni previste dalla Legge e pacificamente non sussistenti nel caso di specie – ancorché nella lettera di licenziamento l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro fosse stato differito ad una data successiva rispetto a quella di compimento del primo anno di età (Trib. Milano 15 aprile 2000, est. Cincotti, in D&L 2000, 785).

Del resto, siffatta interpretazione si colloca in un solco di ideale continuità con l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza comunitaria, secondo cui il divieto di licenziamento della lavoratrice durante il periodo di tutela ai sensi dell’art. 10 Direttiva 92/85Ce (concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e delle salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento) deve essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo stesso ma anche di prendere misure preparatorie a una tale decisione prima della scadenza di detto periodo (così Corte di Giustizia CE 11/10/2007 causa C- 460/06, Pres. A. Rosas Rel. A.O Caoimh, in D&L 2008).

Dall’applicazione degli enucleati principi generali alla presente fattispecie discende come logica conseguenza la declaratoria di nullità del licenziamento intimato alla ricorrente con la comunicazione del 19.9.2022 (durante il periodo di gravidanza) – successivamente confermato con missiva del 21.9.2023 – benché con differimento dell’effetto risolutivo del rapporto al termine della gravidanza e dopo il compimento del primo anno di età del bambino, atteso che la data della comunicazione del licenziamento risulta comunque anteriore rispetto a quella della fine della gravidanza e a quella in cui la figlia della lavoratrice –nata il 24.3.2023- compirà un anno di età (si veda il certificato di nascita, in atti).

Né depone in senso contrario la successiva comunicazione emessa dalla società datrice di lavoro in data 21.9.2022, con cui la stessa non ha revocato l’atto di recesso datoriale ma ha semplicemente dichiarato di sospendere l’efficacia del predetto licenziamento, confermando anzi l’atto di recesso datoriale e differendo semplicemente l’effetto risolutivo del rapporto al termine del periodo sopra indicato.

Peraltro, atteso che la giustificazione addotta dalla società datrice di lavoro nella comunicazione del licenziamento attiene alla prospettata necessità di riorganizzazione aziendale e soppressione della posizione ricoperta dalla ricorrente, si può senz’altro escludere la sussistenza, invero nemmeno allegata dalla società resistente, di una delle eccezioni rispetto all’operatività della sanzione di nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice madre tipizzate dall’art. 54, comma 3, del d. lgs. n. 151 del 2001; né, peraltro, può ritenersi con certezza che la situazione dell’azienda resti invariata nel tempo.

Di conseguenza, alla stregua di tutte le argomentazioni esposte deve essere dichiarata la nullità del licenziamento intimato alla ricorrente con la comunicazione del 19.9.2022 – e ribadito con comunicazione del 21.9.2022 – anche se con efficacia differita nel tempo, con conseguente inefficacia dello stesso.

Deve essere, invece, dichiarata la inammissibilità della domanda nella parte relativa alla richiesta di reintegra nel posto di lavoro essendo la ricorrente ancora alle dipendenze della società convenuta, come risultante dalla documentazione in atti e come, peraltro, confermato dalla stessa istante in sede di libero interrogatorio (“. Attualmente sono ancora dipendente della società M R E , sono nel periodo di interdizione facoltativa. Ho fatto anche domanda da congedo parentale, la quale è stata anche accolta….. Al termine del periodo di interdizione obbligatoria dovevo tornare a lavoro ma ho presentato la domanda di congedo parentale – v. dichiarazioni rese dalla ricorrente all’udienza del 17.10.2023). Per le medesime ragioni nulla può essere riconosciuto all’istante a titolo risarcitorio, non avendo la ricorrente ricevuto alcun danno attuale dall’atto di licenziamento – si ripete – con efficacia differita nel tempo, avendo l’istante sempre continuato ad essere alle dipendenze della convenuta ed avendo, invero, percepito tutto quanto alla stessa spettante (v. buste paga, flussi uniemens inviati all’I.N.P.S. e accoglimento della domanda di congedo parentale, in atti).

Le spese processuali seguono per metà la soccombenza prevalente della società resistente e vanno liquidate come in dispositivo tenuto conto del valore indeterminato della causa e dell’assenza di attività istruttoria; la restante parte delle spese può essere compensata in ragione del rigetto del capo di domanda avente ad oggetto la domanda di reintegra e di quello concernente la domanda risarcitoria

P.Q.M.

disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione, così definitivamente provvede:

-dichiara la nullità del licenziamento intimato alla ricorrente con la comunicazione del 19.9.2022 – e ribadito con successiva missiva del 21.9.2022 – e, per l’effetto, lo dichiara inefficace;

– dichiara inammissibile la restante parte della domanda;

– condanna la società convenuta al pagamento in favore della ricorrente di ½ delle spese di lite liquidate – in tale misura già ridotta – in euro 1.500,00 oltre rimborso forfettario spese generali al 15 %, IVA E CPA, con attribuzione;

– compensa le restanti spese.

Si comunichi

Aversa, 21.11.2023

Il Giudice

Fabiana Colameo