Licenziamento collettivo, discriminazione di genere, violazione dei criteri di scelta, Tribunale di Milano, sentenza del 3 ottobre 2023.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO

SEZIONE LAVORO

in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Eleonora Palmisani, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella controversia di primo grado promossa

da

Z A Z e G O con l’Avv. MEI MARIA GRAZIA parte elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore in Indirizzo Telematico

– RICORRENTI –

contro

I P SRL con l’Avv. PALLA MICHELE parte elettivamente domiciliata presso lo Studio del difensore in PIAZZA MAZZINI GIUSEPPE, 1 56127 PISA

– RESISTENTE –

e

CONSIGLIERA DI PARITÀ DELLA REGIONE LOMBARDIA in persona della Consigliera di parità effettiva dott.ssa Anna Maria Gandolfi e della Consigliera di parità supplente avv. Valeria Gerla, con l’avv. Daniela Manassero ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, Via Fontana 5

– TERZO INTERVENUTO-

Oggetto: licenziamento collettivo

All’udienza di discussione i procuratori concludevano come in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato in data 3 marzo 2023, le ricorrenti ………………… hanno convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Milano – Sezione Lavoro – I P SRL , chiedendo di “Accertate e dichiarate le condotte discriminatorie del datore di lavoro per violazione dei principi relativi alla parità di genere così come illustrati in ricorso, dichiarare la nullità dei licenziamenti comunicati alle ricorrenti e condannare I P srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla loro reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno nella misura di cui all’art. 2, d.lgs. 23/2015; IN VIA SUBORDINATA Accertata la violazione nei criteri di scelta dei lavoratori e/o la violazione delle procedure di cui alla l. 223/91 per i motivi esposti in ricorso, condannare I P, in persona del legale rappresentante pro tempore, in base al richiamo contenuto nell’art. 10, d.lgs. 23/2015, al pagamento di un’indennità risarcitoria non assoggettata a contribuzione previdenziale, ai sensi dell’art. 3, c. 1, d.lgs. 23/2015, tenendo conto anche dell’anzianità nell’appalto di ciascuna delle ricorrenti ai sensi dell’art. 7, d.lgs. 23/2015. Con vittoria di spese, diritti e onorari di giudizio, da distrarsi a favore dell’Avv. Maria Grazia Mei”

2. A sostegno delle pretese delle ricorrenti, è intervenuta volontariamente in giudizio ex art. 419 c.p.c. la Consigliera di parità della Regione Lombardia chiedendo di “accertare e dichiarare che il licenziamento adottato all’esito della procedura di licenziamento collettivo da I P srl configura una discriminazione di genere posta in essere nei confronti di …………; conseguentemente accogliere le domande formulate dalle ricorrenti ………….. con il ricorso introduttivo della presente causa RG 2071/2023; – con favore dei compensi professionali di avvocato di cui alnD.M. 55/2014 in favore della difesa delle ricorrenti ed in favore della difesa dell’Ufficio della Consigliera Regionale di Parità”.

3. Si è costituita ritualmente in giudizio la società I P SRL, eccependo l’infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese.

4. Nelle more del giudizio, le ricorrenti ………hanno raggiunto un accordo conciliativo con la società resistente e il giudizio, limitatamente a tali posizioni, è stato dichiarato estinto.

5. Disposta la prosecuzione del giudizio con riferimento alle posizioni delle ricorrenti Z A Z  e O G e ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di istruzione probatoria, il Giudice ha invitato le parti alla discussione all’esito della quale ha pronunciato sentenza come da dispositivo pubblicamente letto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le difese delle parti

6. Con l’odierno ricorso, le ricorrenti agiscono per l’accertamento della natura discriminatoria del licenziamento disposto con lettera del 13.9.2022 dalla società I P nell’ambito di una procedura ex art. 5 L. 223/1991. Nello specifico, le lavoratrici allegano come tale licenziamento celerebbe una strategia mirata ad eliminare la presenza di manodopera femminile nella sede aziendale, sottoposta da tempo a continue pressioni, relegata a mansioni di minor contenuto professionale (guardiola e pulizie) ed esclusa da prospettive di crescita professionale. Al riguardo, le ricorrenti contestano di aver subito una discriminazione diretta a livello di formazione, essendo state escluse arbitrariamente dai percorsi di formazione per la guida dei carrelli elevatori, riservati unicamente ai colleghi di sesso maschile (salvo una sola eccezione per la sig.ra B) e, quindi, impedendo alle donne di raggiungere una effettiva parità professionale sul lungo di lavoro. Tale discriminazione a livello di formazione avrebbe determinato, da ultimo, l’effetto di individuarle quali uniche destinatarie del provvedimento espulsivo. Nella prospettiva delle ricorrenti, l’individuazione dei criteri di scelta, con attribuzione di 60 punti alla figura del carrellista, costituirebbe una discriminazione indiretta, stante l’esclusione della manodopera femminile dalla formazione per il conseguimento del patentino di carrellista; inoltre, le ricorrenti evidenziano come anche gli ulteriori criteri (coniuge a carico, figli a carico, familiari a carico) risulterebbero maggiormente a vantaggio della popolazione lavorativa maschile (sulla base di indici ISTAT che rileverebbero come tale requisito sarebbe posseduto in misura maggiore dagli uomini).

7. Sotto altro profilo, le lavoratrici deducono come la datrice di lavoro avrebbe comunque agito in violazione dell’art. 5, comma 2, l. 223/1991, avendo licenziato una percentuale di manodopera femminile pari al 100%, certamente superiore alla percentuale del 45% della forza lavoro, stando a quanto dichiarato dalla società in sede di comunicazione di apertura della procedura.

8. In subordine, le lavoratrici chiedono accertarsi l’illegittimità del licenziamento stante l’insussistenza delle ragioni poste alla base della procedura di riduzione del personale, alla luce della mera temporaneità della riduzione del carico di lavoro conseguente al fallimento di Eprice Operations s.r.l. e l’acquisizione di nuovi clienti da parte della I P; inoltre, si censura la violazione dei principio di buona fede e correttezza dell’individuare i criteri di scelta, non essendo stato valorizzato il tempo effettivo di adibizione all’appalto né della titolarità di invalidità o di permessi di cui alla l.104/1992; infine, si sottolinea il difetto di motivazione stante la genericità del riferimento alle ragioni sottese al licenziamento.

9. La Consigliera di Parità, il cui intervento è stato sollecitato dalle ricorrenti con lettera del 9.11.2022 (doc. 64 ricorso), ha chiesto l’accoglimento delle domande di cui al ricorso, affermando che il licenziamento delle ricorrenti costituirebbe l’approdo finale di una

condotta discriminatoria messa in atto dalla convenuta già in epoca antecedente all’avvio della procedura e, in particolare, in violazione dell’art. 27, comma 3, D.lgs. 198/2006, la società non avrebbe provveduto a fornire adeguata formazione sulla guida dei carrelli elevatori anche alla manodopera femminile. Al riguardo, la Consigliera evidenzia i dati che emergerebbero oggettivamente dal rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile del biennio 2020-2021 ex art. 46 D.lgs. 198/2006, secondo il quale solo 5 donne – su un totale di 33 soggetti – sarebbero state destinatarie di iniziative per la formazione e solo 32 ore – su un totale di 113 – sarebbe stata erogata a personale femminile; anche l’adibizione del solo personale femminile alle inferiori mansioni di guardiania e pulizia rappresenterebbe ulteriore manifestazione del comportamento discriminatorio, anche ai sensi dell’art. 25, comma 2bis D.lgs. 198/2006 (come sostituito dall’art. 2, comma 1 lett. c) della L. 161/2021, poi culminato nel licenziamento.

10. Nella propria memoria di costituzione, per quanto rileva ai fini della presente causa, I P ha integralmente contestato le avverse deduzioni e allegazioni, sottolineando come l’intera procedura ex L. 223/1991 sarebbe stata gestita con la diretta interlocuzione delle OO.SSsenza alcuna censura di discriminatorietà. Premessa una dettagliata ricostruzione sulla propria organizzazione societaria, la I P ha rappresentato di gestire presso l’unità produttiva di Truccazzano l’attività di handling in favore di più clienti stabili (Eprice sino al giugno 2022; Installo fino al marzo 2023; Enel X fino all’aprile 2023 e Iris Mobili fino al dicembre 2023) oltre ad alcuni occasionali (GFL, DHL Vortice, BSB) e di adibire un totale di 27 addetti, di cui 22 addetti al magazzino con inquadramento al 4° livello e la qualifica di operaio per mansioni multiple di magazzino.

11. Di tali addetti al magazzino, la società sottolinea come 11 dipendenti utilizzavano il carrello elevatore (i sig.ri …………..…….) mentre i restanti 11 erano addetti solo al picking manuale (………., Z AZ, ……….., O G., …………). Con riferimento alla figura dei carrellisti, la società dichiara di aver fornito la formazione “per coloro che dichiaravano di essere in possesso del patentino e che quindi operavano con il carrello” in quanto “avendo avuto difficoltà a recuperare gli attestati dal precedente datore di lavoro DRT società cooperativa” la stessa “era costretta ad organizzare un corso di aggiornamento della formazione” (pag. 12 memoria). I P rappresenta, inoltre, che le attività di picking manuale sarebbero state svolte unicamente a favore della committente Eprice e, pertanto, le stesse sarebbero state interrotte del tutto a seguito del fallimento della predetta società (doc. 28 memoria); conseguentemente, l’attività di vigilanza e guardiania sarebbe stata assegnata a rotazione al personale non addetto al carrello, a fronte del calo delle attività di movimentazione manuale.

12. In ordine alla procedura di riduzione del personale, la società rappresenta ampiamente la drastica riduzione di ordini e di fatturato (del 30%) della sede di Truccazzano in seguito al fallimento di Eprice, con conseguente interruzione delle attività di picking manuale; secondo quanto argomentato in memoria “su ventidue addetti al magazzino, presso l’unità di Truccazzano, dunque, le attività “residuali” che ISS doveva svolgere richiedevano 11 addetti carrellisti” (pag.30 memoria) con conseguente esubero di 9 risorse addette al magazzino della sede di Truccazzano individuate con i criteri di cui all’art. 5 L. 223/1991.

I fatti pacifici e/o documentali.

13. Le ricorrenti A Z Z e O G sono state assunte da I P in data 1° novembre 2021, con inquadramento nel livello 4S CCNL Trasporto Merci e Logistica, qualifica di operaie con mansioni multiple di magazzino e sede di lavoro presso l’unità sita in Truccazzano (docc. 18 e 51 ricorso). È documentale che le ricorrenti operassero sin dal 2016 presso tale sito alle dipendenze delle diverse società succedutesi nell’ambito del medesimo appalto (da ultimo LS Intergroup s.r.l. e DRT società cooperativa, cfr. docc. 17 e ss. per la ricorrente Z e docc. 44 e ss. per la ricorrente G).

14. È pacifico in causa che presso il sito di Truccazzano fossero presenti 27 dipendenti, di cui 22 addetti al magazzino con inquadramento al 4° livello e medesima qualifica di “operaio/a per mansioni multiple di magazzino” (cfr. pag. 11 memoria e contratti di assunzione).

15. Di questi 22 addetti al magazzino erano presenti:

– 12 dipendenti di sesso femminile (54,55%): ……….i;

– 10 dipendenti di sesso maschile (45,45%): …………..

16. In merito alla formazione professionale degli addetti al magazzino, occorre evidenziare le seguenti circostanze pacifiche in causa. I P, una volta assunti i dipendenti che operavano presso l’appalto di Truccazzano, documenta di aver inoltrato richiesta all’agenzia formativa in merito agli attestati professionali ottenuti alle dipendenze dei precedenti datori di lavoro (mail 16 e 22 dicembre 2022), senza ottenere alcun riscontro.

17. La società resistente, preso atto “dell’impossibilità di recuperare gli attestati di precedenti datori di lavoro” ha, dunque, organizzato tra il 9 e il 10 febbraio 2022, la formazione per l’utilizzo carrelli industriali semoventi con conducente a bordo (modulo da 12 ore o da 4 ore) per i seguenti lavoratori, (doc. 18 memoria):

…………

Per i dipendenti …………… è stato prodotto solo l’attestato ottenuto nel 2020 (sub doc. 18) e nella memoria non si specifica se tale formazione sia stata aggiornata o meno (cfr. nota n. 14 pag. 12 memoria e doc. 19).

18. Alla luce di tale documentazione, può concludersi che I P abbia consentito la formazione professionale per diventare “carrellista” a tutto il personale di sesso maschile e ad una sola dipendente di sesso femminile (..). Sulle ragioni poste alla base di tale scelta, la società afferma di aver organizzato tali corsi solo ai dipendenti “che dichiaravano di essere in possesso del patentino e che quindi operavano con il carrello” presso la precedente datrice di lavoro e che si sarebbe trattato di un mero “aggiornamento della formazione già effettuata dagli addetti al magazzino abilitati all’uso dei carrelli elevatori in precedenza” (pag. 12 memoria).

19. Con comunicazione del 7 luglio 2022 (doc. 60 ricorso), I P ha dato avvio alla procedura di riduzione del personale di cui alla l. 223/1991 per nove lavoratori occupati presso l’unità locale di Truccazzano affermando che: “il nostro principale cliente ePRICE ha depositato istanza di fallimento in data 28 giugno sospendendo di fatto tutti gli ordini e tutte le attività oggetto del nostro contratto. Rimangono attive le attività con i clienti Installo, che prevedono la ricezione e smistamento di prodotti voluminosi (c.a. 4 FTE), MondoConvenienza gestione dell’overstock di magazzino, con Stoccaggio a terra ed a scaffale di prodotti pallettizzau e scarico manuale container di mobili e complementi d’arredo (c.a. 4 FTEI, BSE attività spot di gestione dell’ overstock di Grandi Elettrodomestici. ENEL X attività di stoccaggio, movimentazione e distribuzione di condizionatori con volumi irrisori, DHL attività spot di gestione Overstock prodotti Vortice, con stoccaggio a scaffale, GFL scarico manuale container, prodotti cosmetici (c.a I FTE), DHL (comparto 31 messa a disposizione di spazi per attività di movimentazione merce gestita direttamente da personale DHL, attività di guardiania {c.a 3 FTE), attività di pulizie (c.a. 1)”; nella medesima comunicazione, la società ha individuato le 9 risorse in esubero nel profilo professionali degli “addetti al magazzino” affermando che “la manodopera femminile aziendale rappresenta il 26% sull’organico totale e il 45% sull’unità locale di Truccazzano”.

20. La procedura di esame congiunto con le OO.SS. si è conclusa con un verbale di mancato accordo in data 30 agosto 2022 (doc. 61 ricorso).

21. Con successiva raccomandata, la società ha comunicato i criteri di scelta da utilizzare per l’individuazione dei lavoratori da licenziare assegnando i seguenti valori:

– Anzianità aziendale: 1 per ogni mese

– Coniuge a carico: 20

– figli a carico 50%: 10

– figli disabili a carico 50%: 10

– figli minori di 3 anni 50%: 10

– figli a carico 100%: 20

– figli disabili a carico 100%: 20

– figli minori di 3 anni 100%: 20

– familiari a carico 50%: 10

– familiari disabili a carico 50%: 10

– familiari a carico 100%: 20

– familiari disabili a carico 100%: 20

– Mansione: addetto carrello: 60

– Mansione: addetto picking: 0

22. All’esito della procedura sono stati individuati 9 nominativi di personale in esubero, tutti di sesso femminile:…………., Z, G.. e ……….. La società ha poi effettivamente licenziato 7 di queste risorse (con lettere datate 13.9.2022, cfr. doc. 6, 13, 19, 33, 39, 52), stante le dimissioni della dipendente…(doc. 45 memoria) e lo stato di malattia della dipendente …

La normativa applicabile e l’interpretazione giurisprudenziale

23. Sotto un profilo di ordine generale, la normativa che viene in rilievo nella disamina della presente fattispecie è la seguente.

24. In primo luogo, nell’ambito della disciplina del licenziamento collettivo, l’art. 5, comma 2, L 23 luglio 1991 n. 223, dispone che “l’impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”.

25. Con riferimento a tale disposizione, la Suprema Corte ha affermato che: “Il tenore letterale della norma, elemento di interpretazione fondamentale e prioritario di ermeneutica ex art. 12 disp. att. c.c., dispone che il confronto da operare in relazione al personale da espungere dal ciclo produttivo, va innanzitutto circoscritto all’ambito delle mansioni oggetto di riduzione, cioè all’ambito aziendale interessato dalla procedura, così da assicurare la permanenza, in proporzione, della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati. Sotto il medesimo profilo, va poi rimarcato che la disposizione non prevede una comparazione fra numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo la collocazione in mobilità; essa impone invece di verificare la percentuale di donne lavoratrici, e poi consente di mettere in mobilità un numero di dipendenti nel cui ambito la componente femminile non deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata. Nell’ottica descritta, deve ritenersi quale dato numerico acquisito agli atti (vedi pag. 4 della sentenza impugnata e pag. 7 ricorso conclusioni A), l’impiego di n. 6 uomini e n. 3 donne nel reparto amministrazione; in siffatto ambito di riferimento, dunque, la percentuale di manodopera femminile con mansioni impiegatizie era pari al 33,33%. Nel contesto descritto si era poi proceduto al licenziamento di due donne ed un uomo, e la percentuale di donne licenziate era pari al 66,66%” (Cassazione civile sez. lav., 24/05/2019, n.14254). Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha concluso nel senso di ritenere discriminatorio, con conseguente applicazione delle conseguente di cui all’art. 18, comma 1, della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, il licenziamento collettivo di lavoratrici intimato in violazione dell’art. 5, comma 2, della l. n. 223 del 1991 (come modificato dall’art. 6, comma 5 bis, del d.l. n. 148 del 1993, inserito in sede di conversione con l. n. 236 del 1993), quando la percentuale femminile di manodopera licenziata risulta superiore a quella delle addette alle medesime mansioni proprie dell’ambito aziendale interessato dalla procedura.

26. Va senz’altro richiamato anche il Codice delle Pari opportunità tra uomo e donna (D.lgs. 198/2006) che, nel libro III rubricato “pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici” Titolo II rubricato “pari opportunità sul lavoro”, all’art. 25 stabilisce che: “1.Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonche’ l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. 2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro, apparentemente neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché’ l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. 2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonche’ di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.

27. L’art. 27, comma 3, del D.lgs. n.198/2006 prevede che “ Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti, nonche’ all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni. 4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva”.

28. L’art. 40 D.lgs. 198/2006 dispone, sotto il profilo dell’onere probatorio che: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

29. Con riferimento a tale disposizione, la giurisprudenza ha ritenuto che tale disposizione “non stabilisce poi (tanto per le discriminazioni dirette, che indirette) un’inversione dell’onere, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purchè idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (Cass. 5 giugno 2013, n. 14206; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25543) (Cassazione civile sez. lav., 04/02/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 04/02/2019), n.3196).

Applicazione al caso di specie

30. Premessi tali principi, va accertata, nel caso in esame, la violazione dell’art. 5, comma 2, L. 223/1991.

31. Al riguardo, occorre, in primo luogo, individuare le “mansioni prese in considerazione” ovvero, come chiarito Suprema Corte, “l’ambito aziendale interessato dalla procedura”. Tale perimetro si evince dalla stessa comunicazione di apertura della procedura (doc. 60 ricorso, la lettera del 7/7/2021) in cui la società specifica espressamente che i “lavoratori che rientrano nella presente procedura di licenziamento collettivo, con riferimento alla sola unità di Truccazzano, fermo restando il numero in 9 unità attuali, sono individuabili nell’organico aziendale risultante dalla tabella che segue” (pag. 7 punto c)

Collocazione aziendale

Numero lavoratori Profili professionali

Addetti di magazzino 9 operai

Totale 9

32. È documentale, pertanto, in quanto emerge dalla comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, sopra richiamata, che la società abbia delimitato l’ambito della procedura alla figura di “operai addetti al magazzino” presso la sede di Truccazzano.

33. Fatta questa precisazione, posto che a tale mansione erano addette 12 donne e 10 uomini può agevolmente concludersi che la percentuale di manodopera femminile fosse pari al 54,55%. Al contempo, essendo state licenziate solo donne, deve concludersi che la società ha violato la disposizione di cui all’art. 5, comma 2, L. 223/1991, avendo collocato in mobilità una percentuale di manodopera femminile (100%) superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione (54,55%).

34. Del resto, la difesa della società, la quale afferma che le mansioni prese in considerazione sarebbero state unicamente quelle di “addetti al picking”, non coglie nel segno. È evidente che l’ambito della proceduta abbia riguardato tutti gli addetti al magazzino, tanto che i criteri sono stati applicati anche ai carrellisti, anch’essi destinatari di un punteggio. Inoltre, in sede di memoria di costituzione, la stessa società afferma che “l’interruzione degli ordini da parte di E-price ed il suo fallimento imponevano a I P di avviare la procedura di riduzione del personale evidentemente in esubero e la scelta cadeva necessariamente sugli addetti al magazzino” (pag. 31 memoria); “la scelta dei lavoratori da licenziare ricadeva sugli addetti al magazzino impiegati presso l’unità di Truccazzano” (pag. 32 memoria).

35. Sul punto, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che, al fine di individuare l’ambito di applicazione della procedura, anche per valutarne la legittima delimitazione, deve aversi riguardo alle “ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta (Cass. 32387/2019, n. 22178/2018, n. 4678/2015)” (Cassazione civile sez. lav., 28/02/2023, n.5961).

36. Va anche evidenziato che tutti i soggetti addetti al magazzino fossero inquadrati al medesimo livello (4°) come operai con “mansioni multiple di magazzino”, come risulta dalle lettere di assunzione delle lavoratrici, nelle quali non vi è alcun riferimento espresso ad una particolare adibizione quali addette al picking.

37. In ogni caso, a parere del giudicante, la distinzione tra carrellisti e addetti al picking discende da un comportamento datoriale che deve qualificarsi come discriminatorio.

È dato pacifico e documentale che la formazione per la conduzione dei carrelli semoventi sia stata riservata a tutti i dipendenti di sesso maschile 100%) e ad una sola dipendente di sesso femminile (8,33%) nel medesimo settore. Pertanto, a parità di mansioni e inquadramento, la società ha scelto di fornire una formazione volta allo sviluppo professionale riservandola, di fatto, in maniera assolutamente preminente alla forza lavoro maschile.

38. L’assunto dalla società, secondo cui tali soggetti erano i soli a svolgere le mansioni di carrellisti presso la precedente datrice di lavoro, è circostanza inidonea a giustificare la disparità di trattamento nell’accesso alla formazione. In primo luogo, è la stessa resistente a dar conto di non aver reperito alcuna documentazione attestante il possesso del patentino in capo a tali lavoratori (p. 12 memoria “preso atto dell’impossibilità di recuperare gli attestati dai precedenti datori di lavoro”); inoltre, dalla documentazione prodotta relativamente a tali corsi (doc. 18 memoria), è evidente che le formazione non sia consistita in un mero “aggiornamento”, quanto piuttosto in un corso completo di 12 ore volto ad ottenere, ex novo, il patentino per la conduzione di carrelli industriali semoventi con conducente a bordo. In ogni caso, l’eventuale pregressa esperienza presso il precedente datore di lavoro (rimasta comunque indimostrata anche per la genericità della relativa capitolazione), non può ritenersi circostanza idonea e sufficiente a giustificare disparità nell’accesso alle iniziative in materia di formazione.

39. La scelta di escludere quasi interamente la forza lavoro femminile da tale formazione si traduce, a parere del giudicante, in una evidente discriminazione diretta, trattandosi di un comportamento con un effetto chiaramente pregiudizievole nei confronti delle lavoratrici di sesso femminile, le quali hanno subito un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato a tutti i lavoratori di sesso maschile, a parità di mansioni e inquadramento. Il divieto di discriminazioni basate sul genere in materia di formazione è, peraltro, espressamente individuato all’art. 27, comma 3, del D.lgs. n.198/2006 che si riferisce alle “iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti” e limita le deroghe a casi tassativamente individuati: “soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva”.

Sotto tale profilo, la società non ha dedotto né provato nulla in merito ad una particolare pesantezza delle mansioni di carrellista né individuato riferimenti al riguardo nella contrattazione collettiva.

40. In applicazione dell’art. 27, comma 3, del D.lgs. n.198/2006, la formazione per la conduzione dei carrelli avrebbe dovuto riguardare tutti gli addetti al magazzino o quantomeno, in caso di oggettive ragioni economiche o produttive, una percentuale equa di uomini e donne. Nel caso in esame, vi è un vistoso e macroscopico squilibrio in tale iniziativa formativa, frutto di un comportamento da ritenersi discriminatorio e, dunque, illegittimo nei confronti delle donne.

41. Il diritto alla formazione e alla crescita professionale trova, del resto, precisa copertura costituzionale all’art. 35 Cost.: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. Tale disposizione, di fondamentale importanza per comprendere la prospettiva che la

Costituzione ha scelto di adottare per regolare il diritto del lavoro, sancisce una tutela omnicomprensiva del lavoro da realizzarsi primariamente mediante la cura della formazione, posta in diretta correlazione con la crescita professionale. È, dunque, evidente come il primo tassello posto a presidio di una effettiva tutela del lavoro “in tutte le sue forme”, sia proprio la formazione, da individuarsi quale punto di partenza per consentire l’elevazione professionale e sociale dei lavoratori.

L’art. 35 Cost. è, infatti, evidentemente connesso alla funzione del successivo art. 36 Cost. ovvero al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Dalla lettura congiunta di tali disposizioni, può concludersi che la formazione sia fondamentale elemento per consentire la crescita e lo sviluppo non solo professionale dei lavoratori, condizionando in maniera evidente le prospettive di carriera, le relazioni interpersonali e la crescita personale all’interno della società.

42. Deve, poi, evidenziarsi come l’accesso alla formazione in condizioni di parità rappresenti anche un primario elemento per scongiurare la realizzazione, a cascata, di ulteriori trattamenti discriminatori riscontrabili, ex post, in punto di trattamenti retributivi, progressione di carriera, attribuzione di incarichi apicali e, infine, in materia di licenziamento. È del tutto evidente che l’esclusione di taluni soggetti, portatori di un fattore di rischio, dalle iniziative in materia di formazione, volte a consentire la crescita professionale, determini una inevitabile disparità di trattamento con effetti anche a lungo termine.

43. Proprio nel caso in esame, a parere del giudicante, è possibile evincere con estrema chiarezza la diretta correlazione tra una discriminazione in punto di formazione e il conseguente trattamento discriminatorio al momento del licenziamento. Dopo aver limitato la formazione per la conduzione dei carrelli alla forza lavoro maschile (sempre con l’eccezione di una risorsa femminile, la sig.ra ..), la società ha attribuito proprio a tale requisito il punteggio di gran lunga più elevato per l’individuazione delle risorse da porre in mobilità (60 punti, ovvero il triplo del punteggio per carichi di famiglia). Nell’attribuzione dei punteggi, il datore di lavoro, sebbene sia libero di attribuire un peso maggiore alle esigenze tecnico produttive (Cassazione civile sez. lav., 27/10/2015, n.21864), è tenuto al rispetto dei principi di buona fede, correttezza e non discriminazione.

44. Nel caso in esame, l’attribuzione di un peso decisivo al possesso del patentino da carrellista (60 punti) ha, di fatto, determinato un’ulteriore perimetrazione dell’ambito della procedura (“addetti al picking”) rispetto a quanto dichiarato nella comunicazione di cui all’art. 4 comma 3, in cui si faceva riferimento a tutti gli “addetti al magazzino”, con connotazioni che costituiscono, a parere del giudicante, una discriminazione indiretta.

45. A parere del giudicante, posto che le mansioni degli addetti al magazzino (tutti inquadrati nel 4° livello e con mansioni multiple di magazzino) debbono ritenersi necessariamente fungibili (essendo sufficiente la frequenza di un corso di sole 12 ore per conseguire il patentino), il comportamento della società è evidentemente contrario a buona fede e correttezza, dando luogo ad una discriminazione indiretta.

Conseguenze

46. Alla luce di tutte le argomentazioni sopra riportate, va accertata la natura discriminatoria del licenziamento intimato alle ricorrenti con le conseguenze di cui all’art. 2 D.lgs. 23/2015. Va conseguentemente ordinato a I P di reintegrare Z A Z e G O nel posto di lavoro, con condanna al pagamento in  loro favore di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (€ 1.693,31 lordi, p.16 ricorso e p.47 memoria) corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a cinque mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.

47. Con riferimento all’aliunde perceptum, la giurisprudenza ha più volte chiarito che “il semplice dato della esplicitazione, nella L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come riformulato dalla L. n. 92 del 2012, della detraibilità dell’aliunde perceptum e percipiendum, non altera la natura dei compensi percepiti nello svolgimento di altre attività lavorative, quali fatti impeditivi della domanda risarcitoria del lavoratore (v. Cass. n. 1636 del 2020; n. 30330 del 2019), da veicolare nel processo sotto forma di eccezioni, sia pure in senso lato (v. Cass. n. 21919 del 2010; n. 5610 del 2005; n. 10155 del 2005)” (Cass. civ., sez. lav., 7.2.2022, n. 3824). Su tali basi, è stato anche ribadito che “l’onere, del datore di lavoro che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o percipiendum a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (Cass. n. 22679 del 2018; n. 9616 del 2015; n. 23226 del 2010)”.

48. Nel caso in esame, la società non ha fornito alcun elemento di prova, neppure di ordine presuntivo, rispetto alla percezione da parte delle lavoratrici di compensi percepiti per lo svolgimento di atre attività lavorative, limitandosi a presentare istanze di esibizione con carattere puramente esplorativo e generiche capitolazioni di prove orali.

49. La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e, pertanto, la I P s.r.l. deve essere condannata al pagamento delle stesse liquidate in favore delle ricorrenti come in dispositivo, con distrazione a favore del procuratore antistatario, nonché in favore dell’Ufficio della Consigliera di parità della Regione Lombardia, per le spese sopportante per l’intervento previsto dalla legge. La liquidazione segue i parametri di legge, tenuto conto della complessità della lite e delle fasi processuali svolte.

50. La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c.

Stante la complessità della controversia, visto l’art. 429 c.p.c., si riserva la motivazione a 60 giorni.

P.Q.M.

il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando,

1) accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato alle ricorrenti perché discriminatorio;

2) ordina a I P la reintegrazione di Z A Z e G O nel posto di lavoro;

3) condanna I P al pagamento in favore di Z A Z e G O di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a cinque mensilità;

4) condanna I P per il medesimo periodo al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;

5) condanna I P alla rifusione delle spese di lite in favore delle ricorrenti che liquida in complessivi € 7.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A, 15% spese generali e contributo unificato da distrarsi a favore del procuratore antistatario; condanna altresì I P alla rifusione delle spese di lite in favore della Consigliera di parità che liquida in complessivi €4.000,00 oltre I.V.A. e C.P.A, 15% spese generali.

Sentenza provvisoriamente esecutiva.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione.

Milano, 3/10/2023

IL GIUDICE DEL LAVORO

dott.ssa Eleonora Palmisani