Discriminazione razziale, Tribunale di Reggio Calabria, Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale 30 marzo 2015.

 

         TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO CALABRIA

                           Sezione lavoro

           Ordinanza ex art. 23 Legge 11 marzo 1953, n. 87

    Il Giudice del lavoro di Reggio Calabria, dr Arturo D’Ingianna.

Nella causa iscritta al n. 2017/14 R.G.

Sul ricorso depositato il 9 giugno 2014.

Nella controversia promossa da G. H. nata il … a …(difesa  da avv.    Cinzia    Mascaro    costituito    in    atti     con     PEC cinzia.mascaro@avvlamezia.legalmail.it e domiciliato in via A. Cimino 65 Reggio Calabria presso lo  studio  dell’avv.  Pietro  Siviglia)  –

ricorrente.

Contro

Comune di Botricello –

resistente contumace.

    INPS – Istituto nazionale della Previdenza sociale (rappresentato e difeso dagli avv.ti Angelo Labrini, Angela Fazio,  Angela  Lagana’, Dario Adornato, Antonello Monoriti, Ettore Triolo, Valeria  Grandizio elettivamente domiciliato, ai fini del presente  giudizio  in  Reggio Calabria Via Romeo n. 15. Ai sensi e per  gli  effetti  di  cui  agli artt. 134 co III e 176 co. II c.p.c., come  modificati  dal  d.l.  n. 35/2005 conv. in legge n. 80/2005,  chiede  che  le  notificazioni  e comunicazioni vengano eseguite  all’indirizzo  di  posta  elettronica certificata      avv.valeria.grandizio@postacert.inps.gov.it.)      –

resistente.

sciogliendo la riserva di cui all’udienza del 24 marzo 2015,

Premesso che con ricorso ex artt. 44 d.lgs. n. 286/98,  4  d.lgs. 215/03 , 28 D.L. 150/2011 e 702-bis c.p.c. «Azione  civile  contro  la discriminazione», la ricorrente evocava avanti il Tribunale di Reggio Calabria, sezione Lavoro il Comune di Botricello e l’Inps;

che la ricorrente deduceva:

di  essere  cittadina  eritrea,  titolare  di   permesso   di soggiorno per motivi umanitari rilasciato in data 11 settembre 2013 e valido fino al 10 settembre 2014 e successivamente,  come  dichiarato nel corso del processo, prorogato;

il 28 gennaio 2014 aveva inoltrato al  Comune  di  Botricello istanza al fine di conseguire l’assegno  di  maternita’  ex  art.  66 legge 448/98 e art. 74 D.lgs.  151/2001  in relazione  alla  nascita della figlia G. R. avvenuta in Catanzaro in data 25 dicembre 2013;

il Comune convenuto aveva respinto la domanda sul presupposto che la normativa nazionale precluderebbe «la possibilita’ di accedere all’assegno di maternita’ ai titolari  di  soggiorno  rilasciati  per motivi umanitari», e non  ai  titolari  di  carta  di  soggiorno  per soggiornanti di lungo periodo;

tale determinazione era illegittima;

la Corte costituzionale con  varie  sentenze  (tra  le  tante sentenza 29-30 luglio 2008 n. 306; sentenza 14-23 gennaio 2009 n. 11; sentenza 26-28 maggio 2010 n. 187), aveva sancito che subordinare  la prestazione alla titolarita’ della carta di  soggiorno  e  dunque  al requisito della legale presenza nel territorio dello Stato da  almeno cinque anni, costituiva  discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino in contrasto con i principi enunciati nell’art 14 della Convenzione  per  la  Salvaguardia  dei  diritti  dell’uomo  e  delle liberta’ fondamentali e dall’art. l del Protocollo  addizionale  alla Convenzione stessa, adottato a  Parigi  il  20  marzo  1952,  secondo l’interpretazione che di essi e’ stata offerta  dalla  Corte  Europea dei diritti dell’uomo»;

era priva di reddito;

che  dunque  l’art  74  d.lgs.  151/01  era  contrario   alle disposizioni internazionali e di carattere discriminatorio;

chiedeva:  preliminarmente,   accertare   e   dichiarare   il carattere discriminatorio dell’art. 74 D.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui consente l’erogazione dell’assegno di maternita’ in favore dei soli stranieri titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti  di lungo periodo e non anche per gli stranieri regolarmente residenti  e legalmente presenti sul territorio nazionale in virtu’ di un  diverso ma egualmente regolare permesso di  soggiorno  non  avente  carattere episodico e di breve durata quale appunto il  permesso  di  soggiorno «per  motivi umanitari»,  perche’  in  contrasto  con  il   precetto dell’art. 14 della CEDU, come replicato nell’art. 21 della Carta  dei diritti fondamentali dell’Unione Europea –  a  sua  volta  richiamatodall’art. 6 del Trattato sull’Unione  Europea,  come  modificato  dal Trattato di Lisbona;

in  preliminare,  accertare   e   dichiarare   il   carattere discriminatorio del rigetto da parte del Comune di  Botricello  della domanda inoltrata dalla ricorrente in data 28 gennaio 2014 al fine di conseguire l’assegno di maternita’ in relazione  alla  nascita  della figlia G. R., perche’ in contrasto con il precetto dell’art. 14 della CEDU,  come  replicato  nell’art.  21   della   Carta   dei   diritti fondamentali dell’Unione Europea – a sua volta richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, come  modificato  dal  Trattato  di Lisbona;

conseguentemente  e  per  l’effetto,  previa  disapplicazione della richiamata norma  nazionale  confliggente  con  il  divieto  di discriminazione sancito  dall’art.  14  della  CEDU,  riconoscere  la sussistenza dei requisiti in favore dell’odierna  ricorrente  per  il riconoscimento dell’assegno di maternita’ e dichiarare il suo diritto a percepire  le  relative  utilita’  ed  i  benefici  economici,  con condanna del Comune di Botricello e dell’Inps, secondo le  rispettive competenze, al pagamento del  relativo  assegno,  con  decorrenza  di legge.

Rilevato che  l’INPS,  costituendosi  in  giudizio  con  memoria, eccepiva:

il  difetto  di  legittimazione   passiva,   posto   che   la concessione  della  prestazione  assistenziale   era   di   esclusiva competenza del Comune, fungendo l’Istituto  soltanto  ai  fini  della materiale corresponsione della prestazione, quale mero ente pagatore;

l’ inammissibilita’ del procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c., non rilevando i  presupposti  previsti  dalla  norma  per  il ricorso allo stesso, potendosi considerare ammissibile il ricorso  ex art. 702 bis  c.p.c.  esclusivamente  per  esperire  l’azione  civile contro la discriminazione, e non altresi’ , come  nella  fattispecie,per  censurare  il  provvedimento  di  reiezione  della  domanda   di prestazione assistenziale, e dunque  per  conseguire  la  prestazione stessa;

nel  merito,  relativamente  all’azione  civile   contro   la discriminazione, che la lettera della norma (art.  43  –  44  del  TU 286/98) nell’individuare la cd.  discriminazione,  precisava  che  la stessa si  riferiva  ad  un  comportamento  posto  in  essere  da  un soggetto, pubblico o privato, che comporti, in condizione di  parita’ rispetto ad altri soggetti, un pregiudizio ai diritti e alle liberta’ fondamentali e che sia  determinato  da  ragioni  razziali,  etniche, religiose ….; che invece nella fattispecie de  qua,  non  era  dato ravvisare   alcun   comportamento,   rilevando   esclusivamente    un provvedimento di diniego da parte dell’Ente Territoriale, che si  era limitato  ad  applicare  una  legge  dello  Stato  che  richiede   la sussistenza di determinati presupposti e  condizioni  ai  fini  della erogazione del cd. assegno di maternita’;

che  dunque  nel  caso  di specie non rilevava una  discriminazione tra il cittadino italiano  ed il cittadino  extracomunitario,  dal  momento  che  allo  stesso  era  riconosciuto il diritto alla prestazione  reclamata  in  presenza  di determinate  condizioni   e   presupposti   previsti   dalla   legge.

Presupposti e condizioni che nel caso di specie non sussistevano; che nella fattispecie de qua, cio’ che comportava la  differenza  tra  un cittadino  extracomunitario  ed  un  altro  era  per   l’appunto   la titolarita’ del permesso di soggiorno di lunga durata.

Rilevato altresi’ che Comune di Botricello rimaneva contumace.

Tutto cio’ premesso, osserva questo giudicante:

per la soluzione della controversia e’ dirimente la questione di legittimita’ costituzionale della norma di cui all’art. 74 decreto legislativo n. 151 del 26  marzo  2001  nella  parte  in  cui  limita soggettivamente l’accesso al  beneficio  dell’assegno  di  maternita’ alle sole categorie di cittadini e stranieri  soggiornanti  di  lungo periodo e non anche a soggetti stranieri in possesso di  permesso  di soggiorno per motivi umanitari di durata annuale ed oltre;

che  preliminarmente  allo  stato  non   vi   sono   elementi plausibili di difetto di giurisdizione e di  competenza  del  giudice adito;

neppure plausibili si  presentano  le  eccezioni  preliminari sollevate dall’Inps atteso che la responsabilità’ dell’istituto  può’ limitarsi al solo  pagamento  ed  e’  sufficiente  a  costituire  una ragione  di  chiamata  in  giudizio  al  fine  di  conseguire   parte ricorrente un titolo di condanna sia verso il Comune titolare passivo dell’obbligo sia dell’istituto quale soggetto erogatore  in  concreto della prestazione; in ogni caso sussistono  precisi  e  significativi riscontri della titolarita’ passiva del Comune anche alla luce  della risposta data in sede amministrativa il che esclude  una  ragione  di inammissibilita’  del  ricorso  e  di  preliminare  declaratoria   di improcedibilita’ dell’azione;

allo stato non sono neppure plausibili le eccezioni di ordine processuale avanzate dall’Inps atteso che il giudizio e’  ammissibile come azione sia contro la denunciata discriminazione che  puo’  anche essere configurata nei  confronti  dello  Stato  Italiano  e/o  della Pubblica amministrazione in ragione dei principi dell’Unione  Europea e della Costituzione nazionale applicabili e sia come  azione  finale per conseguire una pronuncia di rimozione dell’impedimento  di  fonte legislativa all’accesso alla prestazione invocata e,  in  definitiva,tramite lo strumento processuale piu’ snello del processo sommario di cognizione art.  28  d.lgs.  150/2011  nel  quale  e’  previsto  «con l’ordinanza che definisce il giudizio il giudice puo’  condannare  il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la  cessazione  del  comportamento,  della   condotta   o   dell’atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica  amministrazione,  ogni   altro   provvedimento   idoneo   a rimuoverne gli effetti.)»  ottenere  nell’ambito  di  tale  sindacato giudiziale, a seguito della accertata discriminazione, la conseguente pronuncia di condanna alla prestazione quale modalita’  di  rimozione della condotta discriminatoria;

che altresi’ e’ indubbio che il procedimento in questione  e’ un procedimento giurisdizionale su diritti e la  veste  di  autorita’ giurisdizionale dello scrivente e  dunque  nel  quale  e’  consentito sollevare incidente di costituzionalita’ ai sensi dell’art  23  legge 87 del 1953;

quanto  alla  questione  di  rilevanza  della  questione   di costituzionalita’ occorre precisare che non sono in  discussione  gli altri requisiti per l’accesso al beneficio assistenziale, non essendo contestato la  presentazione  della  domanda  amministrativa  ne’  la situazione reddituale utile all’accesso ne’ lo  stato  di  gravidanza della  ricorrente  ne’  l’avvenuto   parto;

resta   in   definitiva controversa la questione di estensione soggettiva del beneficio  alla ricorrente,  non  cittadina  italiana  ne’  comunitaria  e  priva  di permesso di  soggiorno  di  lunga  durata  e  tale  carenza  richiede necessariamente  la  valutazione  sulla  legittimita’  costituzionale della norma dell’art. 74  d.lgs.  n.  151/2001  nella  parte  in  cui subordina il beneficio al  possesso  della  cittadinanza  italiano  o comunitaria  o della carta di soggiorno ora permesso  di  soggiorno  di lunga durata.

Cio’  premesso  va  infatti  rilevato   che   il   nucleo   della controversia concerne la fondatezza del diritto della  ricorrente  ad ottenere  l’assegno  di  maternita’  disciplinato  dall’art.  74  del d.lgsl. 151/2001 secondo il  quale  «Per  ogni  figlio  nato  dal  1°gennaio 2001, o per ogni  minore  in  affidamento  preadottivo  o  in adozione senza affidamento dalla stessa data, alle  donne  residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso di carta di  soggiorno ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286,che non beneficiano dell’indennità’ di cui agli articoli 22, 66 e  70 del presente testo unico e’ concesso un assegno di maternità’»; comma4: «L’assegno di maternità’ di cui al comma 1, nonche’ l’integrazione di cui al comma 6, spetta qualora il nucleo familiare di appartenenza della madre risulti in possesso di risorse economiche  non  superiori ai valori dell’indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire  50 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con tre componenti»;

che la ricorrente e’ soggetto residente e legalmente presente sul territorio nazionale in virtu’ di permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui di cui all’ art. 5, 6° comma del d.lgs. n.  286  del 1998 rilasciato in data 11 settembre 2013 valido fino  al 10  settembre 2014 e prorogato: un titolo di legittimazione al soggiorno In  Italia non avente dunque carattere episodico ne’ di breve durata;

che il permesso di soggiorno  per  motivi  umanitari  e’  per giurisprudenza  della  Suprema   Corte   una   situazione   giuridica soggettiva dello straniero che gode della garanzia costituzionale  di cui all’art. 2 della Costituzione ed e’ da ricondurre alla  categoria dei diritti umani fondamentali (cfr. ord. N.  19393/2009  Sez.  Unite Civili);

che l’art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 sancisce che  «Il  godimento dei diritti e delle liberta’ riconosciuti nella presente  Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in  particolare quelle fondate  sul  sesso,  la  razza,  il  colore,  la  lingua,  la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere,  l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a  una  minoranza  nazionale,  la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione»;

che  la  giurisprudenza  della  Corte  Europea  dei   diritti dell’uomo ha reiteratamente affermato che tra i diritti  patrimoniali tutelati dall’art. 1 del Protocollo addizionale  I  alla  Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell’uomo,  si  intendono  anche  le prestazioni  sociali,  comprese  quelle  cui   non   corrisponde   il versamento di contributi, e che per tali diritti vige il  divieto  di discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione (in  tal  senso,con riferimento all’assegno di invalidita’ civile  cfr.  sentenza  26 febbraio 1993 in causa Salesi/Italia; sentenza 30 settembre  2003  in causa Koua Poirrez/ Francia nella quale si  stabilisce  il  principio per cui «l’assegno per minorati adulti  previsto  dalla  legislazione francese  e’  un  diritto  patrimoniale  ai  sensi  dell’art.  1  del Protocollo I e di conseguenza soggiace al divieto di  discriminazione sancito dall’art. 14 della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell’uomo»);

che, conseguentemente, l’art. 14 della CEDU e  l’art.  1  del relativo  Protocollo  addizionale,  secondo  l’interpretazione  della Corte europea per la tutela dei diritti dell’uomo, obbligano lo Stato italiano a legiferare in materia di prestazioni  sociali,  anche  non contributive, senza porre alcuna  discriminazione  in  ragione  della nazionalita’  delle  persone.   Discriminazione   che   si   realizza  ogniqualvolta un  dato  trattamento  non  trovi  una  giustificazione oggettiva  e  ragionevole,  non  realizzi,  cioe’,  un  rapporto   di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e l’obiettivo perseguito (cfr.Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005);

che l’art. 74 d.lgs. 151/2001 ponendo come requisito  per  la fruizione dell’assegno di maternita’ il possesso  della  cittadinanza italiana o l’essere titolare di carta di soggiorno  ora  permesso  CE per lungo soggiorno, ha  portata  restrittiva  e  non  manifestamente ragionevole,  in  quanto  attribuisce  un  trattamento  differenziato basato,  seppure  indirettamente,  sulla  nazionalita’  rispetto   ai cittadini comunitari e sulla base del solo dato temporale  di  durata della  residenza  rispetto   ad   alcune   categorie   di   stranieri extracomunitari  senza  prendere  in  considerazione  condizioni  di grave bisogno della persona soggiornante, legalmente  autorizzata,  e che versi in oggettiva e conclamata debolezza economica e  fisica  da non poter adeguatamente provvedere  al  proprio  sostentamento  e  di quello del figlio;

esigenza di tutela di assicurare adeguate prestazioni sociali piu’ volte sottolineata dalla Corte costituzionale (cfr. sent.  29-30 luglio 2008, n.  306,  relativa  all’indennita’  di  accompagnamento; sent. 14-23 gennaio 2009 n. 11 relativa alla pensione di  inabilita’;sent. n. 187/2010 riguardante l’assegno mensile di invalidita’; sent 329 del 2011 concernente la indennita’ di frequenza e ancor piu’ recentemente per le pensioni ai ciechi civili sent. n. 22 del  2015), seppure con riferimento all’art. 80 comma 19 della legge n. 388/2000, che  statuendo  che  «le  provvidenze  economiche  che  costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente  in  materia  di servizi  sociali  sono  concesse,  alle  condizioni  previste   dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta  di soggiorno», ed oggi, per effetto del D.lgsl. n. 3/2007,  di  permesso di soggiorno CE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  contiene  la medesima limitazione riprodotta nell’art. 74 d.lgsl. 151/2001;

che e’ pacifico che l’assegno di maternita’  rientri  tra  le «provvidenze economiche»  che  costituiscono  diritti  soggettivi  di assistenza sociale,  ed  essendo  la  ricorrente  soggetto  privo  di reddito o di  altre  forme  di  tutela  economica  della  maternita’,l’assegno in questione costituisce prestazione essenziale  diretta  a soddisfare  bisogni  primari  della  persona  che  e’  compito  della Repubblica  promuovere  e  salvaguardare;  un  rimedio   costituente, dunque, un  diritto  fondamentale  perche’  garanzia  per  la  stessa

sopravvivenza del soggetto e del minore, riferito ad  un  periodo  in cui  il  soggetto  richiedente  e’  in   situazione generalmente   di particolare precaria  condizione  fisica  e  psichica  ostativa,  per legge,  allo  svolgimento  di  attivita’  di  lavoro  in  periodo  di interdizione obbligatoria, quali sono i periodi  della  gravidanza  e del post partum e quindi costituire situazioni di bisogno inerente  a condizioni minime di  vita  e  di  salute  in  relazione  alle  quali appaiono sussistere fondati dubbi  di  irragionevole  discriminazione legata solo a condizioni di appartenenza nazionale o comunitaria o di durata  temporale  del  soggiorno  e  non  ricorrendo   neppure   una situazione di presenza sul territorio nazionale del tutto episodica o di breve durata;

che il divieto di discriminazione in base  alla  nazionalita’ e’  altresi’  sancito  nell’  art.  21  della   Carta   dei   diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000,  ai  sensi  del quale «1. E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione  fondata,  in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle  o  l’origine etnica  o  sociale,  le  caratteristiche  genetiche,  la  lingua,  la religione o le convinzioni personali,  le  opinioni  politiche  o  di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una-  minoranza  nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilita’,  l’eta’  o  l’orientamento sessuale.

Nell’ambito  d’applicazione  dei  trattati  e   fatte   salve disposizioni specifiche  in  essi  contenute,  e’  vietata  qualsiasi discriminazione in base alla nazionalita’», richiamato dall’  art.  6 del  Trattato  sull’Unione  Europea  ai  sensi  del  quale  «L’Unione riconosce i diritti, le liberta’ e i principi sanciti nella Carta dei diritti  fondamentali  dell’Unione  europea  del  7  dicembre   2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha  lo  stesso  valore giuridico dei trattati»;

che stante la speciale e tassativa disciplina di cui al detto art.  74  cit  la  questione  in  esame  non   e’   risolvibile   con un’interpretazione di prevalenza  tratta  dalla  generale  previsione dettata in materia di prestazioni sociali e assistenziali  in  favore dei cittadini extracomunitari dall’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998 che invece  prevede  che  «Gli  stranieri  titolari  della  carta  disoggiorno o di permesso di soggiorno di durata non  inferiore  ad  un anno, nonche’ i minori iscritti nella loro carta di soggiorno  o  nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani  ai fini della fruizione delle provvidenze  e  delle  prestazioni,  anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono  affetti  da  morbo  di  Hansen  o  da  tubercolosi,  per  i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi  civili  e  per  gli indigenti»;

che l’art. 74 d.lgsl. 151/2001,  inibendo  in  modo  netto  e preciso  al  soggetto  extracomunitario  stabilmente  e  regolarmente presente nel territorio nazionale, se privo  di  carta  di  soggiorno(ora permesso di soggiorno CE di lungo periodo a norma del d. lgsl. 3 del 2007), la fruizione dell’assegno di maternita’,  diversifica,  in violazione  dell’art.  3  della  Costituzione,  il   trattamento   di situazioni identiche senza alcuna giustificazione razionale;

che la norma dell’art. 74 cit, in ragione  del  suo  dettato,appare vulnerare i valori di solidarieta’ di  cui  all’art.  2  della Costituzione e le finalita’ proprie dell’assistenza,  quali  emergono dall’art.  38  Cost  (estensibili  anche   alla   persona   straniera extracomunitaria) volto ad assicurare mezzi di sostentamento  per  la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona;

che in tema di  trattamento  dello  straniero  deve  altresi’ evocarsi  l’art.  10  della  Costituzione  che  rimette  alla   legge nazionale  la   disciplina   applicabile   allo   straniero,   e   la giurisprudenza costituzionale in materia ha riconosciuto laddove  non siano in questione diritti inviolabili della persona, un  margine  di discrezionalita’   concesso   al    legislatore    nazionale    nella differenziazione di disciplina tra i cittadini e  gli  stranieri  nei limiti  pero’  del  parametro  di  ragionevolezza  e   dei   principi internazionali recepiti dall’ordinamento nazionale;

che anche  la  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell’Unione Europea del 7  dicembre  2000  si  occupa  di  «sicurezza  sociale  e assistenza sociale» all’art. 34 sancendo «il diritto di accesso  alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che  assicurano protezione in casi quali la maternita’,  ….  secondo  le  modalita’ stabilite  dal  diritto  dell’Unione  e  le  legislazioni  e   prassi nazionali»;

che la norma dell’art. 74 cit nel  subordinare  la  fruizione dell’assegno  di  maternita’  alla  titolarita’  della  permesso   di soggiorno CE di lungo periodo, appare altresi’  contrastante  con  il disposto dell’art. 31 della Costituzione secondo  cui  la  Repubblica  protegge la maternita’ e  con  l’art.  117,  primo  comma  Cost.  che condiziona l’esercizio della potesta’ legislativa dello Stato e delle regioni al  rispetto  degli  obblighi  internazionali,  fra  i  quali rientrano quelli derivanti  dalla  Convenzione  europea  dei  diritti dell’uomo e la normativa dell’Unione europea;

che   sulla   necessita’   di   esperire    l’incidente    di costituzionalita’ deve anche osservarsi  dall’esame  complessivo  del diritto dell”Unione Europea non e’ dato  rinvenire  una  disposizione normativa che in quanto munita di completezza, precisione,  chiarezza e assenza di condizioni da non  richiedere  misure  complementari  di carattere  nazionale  o  europeo,  abbia  effetto  diretto  volto  al riconoscimento di un diritto all’assegno in  questione  anche  a  chi goda dello status di straniero soggiornante per motivi  umanitari  ma senza averne i requisito del permesso di soggiorno di   lunga  durata, il che osta ad una diretta disapplicazione della norma  nazionale  da parte del giudice nazionale per contrasto con la  norma  comunitaria,rendendosi  necessario  investire  la  Corte   costituzionale   della questione di legittimita’ costituzionalita’ della norma interna  (sui detti  criteri  anche  di  recente  sent.  Corte  costituzionale   n. 226/2014) al fine di valutare se la discrezionalita’ del  legislatore nazionale  nella  individuazione  delle  prestazioni  di   assistenza sociale in favore degli stranieri – discrezionalita’ in  materia  pur sempre predicabile come piu’ volte riconosciuto dalla  giurisprudenza costituzionale fatti salvi soli i diritti inviolabili  della  persona umana  –  abbia  oltrepassato  i  limiti  di  ragionevolezza  e   non discriminazione;

cio’ osta anche ad ogni  altra  interpretazione  adeguatrice  del testo sia per la tassativita’ e portata restrittiva delle espressioni utilizzate sia perche’  non  e’  da  escludere  un  bilanciamento  in materia da parte  del  legislatore  tra  interessi  contrapposti  che tuttavia questo giudicante non e’ abilitato a dirimere che alla stregua  di  quanto  sopra  considerato  non  appare manifestamente infondata la questione di legittimita’  costituzionale dell’art. 74 d.lgs. 151/01 nella parte in  cui,  nel  subordinare  il diritto  a  prestazioni  previdenziali  che   costituiscono   diritti soggettivi  e  siano  dirette  a  soddisfare  bisogni  primari  della persona, fra i quali appunto l’assegno di maternita’, al possesso  di carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9 del  decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, ora permesso di soggiorno di  lungo  periodo,  e dunque al requisito dello straniero extracomunitario  della  presenza nel territorio dello  Stato  da  almeno  cinque  anni,  introduca  un requisito idoneo a generare una irragionevole  discriminazione  dello straniero nei confronti del cittadino, in violazione degli  artt.  14 della  Convenzione  ed 1  del  Protocollo  aggiuntivo,   cosi’   come interpretati dalla Corte stessa e replicati nell’art. 21 della  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a sua volta  richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, dagli art.  2,  3,  10,31, 38 , 117 primo comma Cost. escludendo i titolari di  permesso  di soggiorno  per  motivi  umanitari  dal   diritto   alla   provvidenza assistenziale dell’assegno di maternita’;

P. Q. M.

    Visto l’art. 23 della legge 87 del 1953,

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita’  costituzionale  dell’art.  74,  D.lgsl.  151/2001,  nei termini  sopra  esposti,  per  conflitto  con  gli  artt.  14   della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell’uomo  e  delle liberta’ fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva  con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  del  Protocollo addizionale alla Convenzione, firmato a  Parigi  il  20  marzo  1952, nonche’ con gli  artt.  2,  3,10.  38,  31,  117  primo  comma  della Costituzione;

Solleva d’ufficio questione di legittimita’ costituzionale ordina l’immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e sospende il giudizio in corso.

Ordina  altresi’  che  a  cura  della  Cancelleria  la   presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei  Ministri  ecomunicata, sempre a cura della Cancelleria, ai Presidenti delle  due Camere del Parlamento.

Si comunichi alle parti costituite.

Reggio Calabria, addi’ 30 marzo 2015.

Il Giudice: D’Ingianna