Discriminazione salariale in relazione al sesso, Tribunale di Aosta, decreto 5 gennaio 2016.

TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA

SEZIONE LAVORO

Nella causa civile iscritta al n. r.g 378/2015 promossa da:

R.G.B, con il patrocinio dell’avvocato SCIPIONI VINCENZO e dell’avv.to BERTI PAOLO ( BRTPLA65S528G087F), VIA PALMIERI, 23 10143 TORINO, elettivamente domiciliato in VIA DE LOSTAN N. 24 11100 AOSTA presso il difensore avv. SCIPIONI VINCENZO.

ATTRICE

CONTRO

C.D.L.V. SPA, con il patrocinio dell’avv.to Foghier

CONVENUTA

IL GIUDICE DOTT. Eugenio Gramola,

a scioglimento della riserva assunta all’udienza odierna ha pronunciato il seguente

DECRETO

La ricorrente è stata assunta dalla resistente con contratto a tempo determinato a decorrere dal 20.3.2012 con la retribuzione complessiva annua di euro 90.000 lordi, oltre ad un premio annuo di euro 10.000, da corrispondersi in relazione ai risultati ottenuti.

Il contratto di lavoro veniva successivamente trasformato in contratto a tempo indeterminato, che si concludeva a seguito del licenziamento intimato in data 6.10.2015.

La B. esercitava le funzioni dirigenziali  di Responsabile della Direzione Amministrazione, Finananza e di controllo del C d S e, inoltre, di responsabile dell’ufficio patrimonio aziendale predetto.

La ricorrente assume di aver ricevuto un trattamento deteriore rispetto agli altri quattro dirigenti di sesso maschile, due dei quali assunti successivamente alla B stessa, in quanto il proprio salario era determinato in misura nettamente inferiore rispetto ai predetti, nonostante le rilevanti responsabilità connesse con le funzioni da lei esercitate.

Per di più il proprio stipendio era inferiore anche a quello di altri dipendenti, aventi la qualifica di quadro o, addirittura, di impiegato.

Inoltre il licenziamento sarebbe stato intimato, a coronamento della dedotta condotta discriminatoria, a seguito di una riorganizzazione aziendale sostanzialmente fittizia, e l’espulsione dal lavoro sarebbe avvenuta con modalità ingiuriose.

Il dato normativo da prendersi a base ai fini della presente decisione è costituito dall’art 25 c 1 D. Lgs 198/2006 che stabilisce:

Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

Inoltre l’art 28 c. 1 l. cit. stabilisce che la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.

È chiaro che le dette disposizioni sono applicabili, a fortiori, nel caso in cui la retribuzione della donna sia più bassa di quella prevista per prestazioni di valore inferiore, riconosciuta ai dipendenti di sesso maschile.

È pacifico che non è necessario acquisire alcuna prova in ordine alla sussistenza dell’intenzionalità di trattare in modo deteriore taluno in relazione al proprio sesso: ciò che rileva è la disparità di trattamento sotto il profilo oggettivo.

Nel caso di specie tale disparità di trattamento salariale sussiste ed è evidente.

Ritiene questo giudicante che questa risulti non tanto dal raffronto con le retribuzioni degli altri quattro dirigenti, rispetto ai quali risulta difficile effettuare una comparazione tra funzioni certamente affatto differenti e comunque certamente tutte di grande rilievo, ma dal raffronto con quelle percepite da quadri e, financo, da alcuni impiegati di I livello.

Dall’esame del doc. 13 prodotto dalla ricorrente la retribuzione annua lorda della B risulta pari a euro 92.505,52.

Due impiegati – di sesso maschile- percepiscono stipendi più alti: quello di S C supera i 96.000 euro.

Tra i quadri, sei dipendenti percepiscono tutti stipendi congruamente più alti della ricorrente: C F supera i 124.000 euro e il G G raggiunge la somma di euro 128.000.

Si tratta del 40% in più della ricorrente, che pure, come dirigente, ha ben maggiori responsabilità e una tutela ben inferiore a livello giuslavoristico, attesa la posizione apicale in cui si trova rispetto alla struttura aziendale.

È evidente che tale disparità di trattamento è illegittima e che alla ricorrente avrebbe correttamente essere riconosciuto un salario pari ad almeno 130.000 euro l’anno.

Il fatto che gli elevati salari riconosciuti ad alcuni quadri ed impiegati siano frutto di pattuizioni precedenti agli attuali difficili momenti attraversati dal C resistente non autorizza ad operare le manifeste discriminazioni or ora rilevate, tanto più che i dirigenti P e R, assunti dopo la ricorrente,  percepiscono il primo oltre 150.000 (cfr sempre la tabella di cui al doc 13 di parte B) e il secondo euro 140.000 annui, oltre ai premi.

È anche vero che il C ha richiesto ai suoi dirigenti ( e imposto ai suoi dipendenti a seguito di un accordo sindacale ) un taglio, peraltro temporaneo, delle retribuzioni, ma anche su ciò è difficile non rilevare che il taglio effettuato è stato operato su base volontaria rispetto agli altri dirigenti, laddove alla ricorrente si è senz’altro preferito non corrisponderle tout court il premio di 10.000 euro, cui i colleghidirigenti hanno rinunziato volontariamente.

Non coglie, nemmeno, nel segno l’osservazione per la quale la ricorrente è stata assunta a seguito di una selezione tra nove persone(le altre di sesso maschile) perché, a causa della vicinanza della sua abitazione a ST Vincent e dalla flessibilità contrattuale  cui si sarebbe resa disponibile, il di lei lavoro sarebbe costato di meno al C.

La flessibilità contrattuale , che ha subito fatto si che la ricorrente accettasse un rapporto di lavoro a tempo determinato, non poteva certo consistere ( e ci si augura non volesse consistere) nel discriminarne il trattamento economico rispetto agli altri dipendenti di sesso maschile, anche con mansioni impiegatizie.

Quanto al licenziamento, non vi sono concreti motivi per ritenere che questo abbia carattere discriminatorio, anche se appare singolare che, tra tutti i dirigenti, sia stata licenziata proprio quella dirigente – di sesso femminile – che costava di meno.

In ogni caso, tenendo conto della sommarietà della presente fase, si ritiene che il datore di lavoro abbia sufficientemente motivato le ragioni del licenziamento con scelte organizzative diverse (creare un direttore generale e affidargli anche le funzioni della B, con allegato risparmio di spesa).

Le modalità in cui la C D G si è condotta una volta intimato il licenziamento (continuo controllo della ricorrente nel timore che, in sostanza, sottraesse documenti aziendali) pur poco conforme a regole di correttezza, non pare collegato con la discriminazione di genere effettuata.

La domanda della ricorrente va dunque accolta con riferimento alla discriminazione retributiva.

Va dunque pronunziata, in accoglimento delle conclusioni attoree, ex art. 38 D. Lgs 198/2006, la condanna al risarcimento del danno patito dall B, nella misura delle differenze retributive maturate tra quanto in effetti  corrisposto alla data della prima assunzione al dì del licenziamento e la somma di euro 130.000 annui, che sarebbe stata equa e corretta per assicurare la parità di trattamento tra la B e le altre figure professionali presenti in azienda.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M

  1. A) condanna il C D V spa al risarcimento del danno patito da B R G a causa dell’illegittima discriminazione retributiva subita, nella misura delle differenze retributive maturate tra quanto in effetti corrisposto alla B dalla data della prima assunzione al dì del licenziamento e la somma di euro 000 annui.
  2. B) pone a carico del C resistente le spese di giudizio, liquidate in 7206 complessivi, oltre 15% per spese generali, IVA e cassa.

Si comunichi.

Aosta, 5 gennaio 2016

Il giudice

Dott. Eugenio Gramola