Discriminazione sindacale, Corte d’appello di Trieste, sentenza 1 ottobre 2015

 REPUBBLICA ITALIANA

 In Nome del Popolo Italiano

La Corte di Appello di TRIESTE, Collegio Lavoro, costituita come segue:

dott. Oliviero  DRIGANI   Presidente

dott. Mario  PELLEGRINI   Consigliere

dott. Lucio   BENVEGNU’   Consigliere

ha pronunciato la seguente

              SENTENZA

nel procedimento del lavoro in  grado di appello, reclamo ex art. 59 l. 92/2012, promosso con ricorso depositato il 27.2.2015 ed iscritto al n. 65/2015 R.G.

da G P con gli avvocati Fabio Petracci ed Alessandra Marin

                reclamante ed  appellante

contro F R S.r.l. in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, A F, con l’avvocato Roberto Crasnich   reclamata e

                              appellata

CONCLUSIONI DEL RECLAMANTE : In accoglimento dell’appello, accertarsi e dichiarasi che il licenziamento intimato deve considerarsi discriminatorio e nullo e, di conseguenza, condannarsi la convenuta alla reintegra dell’appellante ed al risarcimento del danno nei termini previsti dalla legge. In subordine o contestualmente, accertarsi e dichiararsi l’insussistenza di una giusta causa di recesso e quindi condannarsi la convenuta al reintegro del ricorrente e/o al risarcimento del danno. Per tutte le ipotesi con interessi e rivalutazione e con vittoria di spese, diritti ed onorari per tutti i gradi del giudizio e diritto di distrazione a favore dei sottoscritti avvocati e procuratori che hanno provveduto in ogni grado ad anticipare le spese.

CONCLUSIONI DELLA RECLAMATA : nel merito, a) in via principale, rigettarsi integralmente il reclamo proposto,  confermando per intero la sentenza impugnata; con rifusione delle spese di lite e responsabilità aggravata; b) in via incidentale, accertarsi, dichiarasi e confermarsi la legittimità del licenziamento intimato il 24.1.2014 sulla base delle contestazioni dd. 9.1.2014 1) per violazione dell’art. 81 lettera f) seconda parte CCNL; in presenza di assenze ingiustificate ripetute per oltre tre volte in un anno nel giorno seguente ai festivi od alle ferie; 2) per violazione dell’art. 81 lettera f) prima parte CCNL , in presenza di assenze ingiustificate prolungate oltre quattro giorni consecutivi; 3) per violazione degli artt. 2014 e 1375 c.c. in relazione    all’utilizzo delle assenze per malattia come impropria/illegittima forma di protesta o come indebito stratagemma per sottrarsi alla prestazione lavorativa; 4) per giustificato motivo oggettivo in ragione dell’inattendibilità e/o mancanza di utilità nella prestazione di lavoro, a fronte dell’entità delle assenze riscontrate in capo al reclamato; 5) per ogni differente valutazione di inadempimento e/o violazione fondamentale degli obblighi relativi al rapporto di lavoro, accertata dalla Corte all’esito delle contestazioni formulate disciplinarmente ed all’esito delle risultanze emerse in atti. Con rigetto del reclamo avversario e vittoria di spese e competenze di causa e con condanna per responsabilità aggravata.

      Ragioni di fatto e di diritto

Con ricorso ex art. 1 comma 48 l. 92/2012 depositato il  7.5.2014 G P si rivolgeva al Tribunale di Gorizia, Giudice del lavoro, esponendo di essere un dipendente della società F R e di essere stato pure in essa un rappresentante sindacale, delineava il corso del suo rapporto di lavoro, caratterizzato da una costante sua discriminazione per la sua veste di sindacalista e da un intento vessatorio nei suoi riguardi. Narrava poi l’interessato che nel corso degli anni la datrice, già da tempo gli aveva rappresentato l’intento di fare a meno della sua collaborazione per  poi dare corso ad una serie di comportamenti dell’impresa volti a farlo desistere dal continuare il rapporto sino a che, nel gennaio 2014  si era giunti nel settembre 2013 al licenziamento per giusta causa per varie assenze dal lavoro non giustificate, come ritenuto dalla società F.

L’attore si ricorrente si era allora opposto stragiudizialmente a detto atto di licenziamento, ma senza esito. Delineava indi l’attore le ragioni che sorreggevano le sue pretese e chiedeva l’accoglimento delle conclusioni di cui in atti.

Si costituiva in giudizio la società resistente contestando la fondatezza delle domande del P e chiedendone la reiezione.

La causa, istruita solo documentalmente, veniva definita con ordinanza dd. 4/10.9.2014 che respingeva integralmente il ricorso e condannando il ricorrente lev spese giudiziali.

Seguiva opposizione ex art. 1 comma 51 l. 92/2012 proposta dall’attore nella quale lo stesso, rivisitati i fatti ed i temi di causa e ripercorso l’iter motivazionale del primo Giudice, chiedeva la revoca dell’ordinanza citata sopra e l’accoglimento di ogni sua domanda.

Si costituiva in tale sede la convenuta  per replicare ai rilievi della controparte, notare la giustezza della decisione resa e  chiedere venisse respinta l’opposizione citata.

Il Tribunale di Gorizia, all’esito della trattazione, decideva la causa con la sentenza n. 15/2015 dd. 30.1.2015 con cui respingeva l’opposizione confermando l’ordinanza resa a suo tempo nell’anno 2014 fra le parti e condannando l’attrice a pagare le spese del procedimento.

Avverso tale decisione proponeva rituale e tempestivo reclamo l’attore P  che riassumeva fatti e temi del contendere per affidarsi poi a quattro motivi di critica.

Ribadiva il reclamante l’istanza di ricusazione proposta, per essere stato il giudizio trattato in I ed in II istanza da uno stesso Giudice.  Notava poi il reclamante che il Giudice di II istanza aveva errato nel ricostruire i fatti di causa e nel non ritenere del tutto giustificate le assenze dal lavoro del ricorrente. Si doleva poi l’appellante del fatto che il Giudice di I grado aveva mal interpretato le previsioni di CCNL in punto alla sanzioni sanzionabili con il licenziamento fra le quali non vi era quella pretesa dalla convenuta, invero nemmeno ricorrente qui. Osservava inoltre il reclamante che il Tribunale aveva pure errato nel non ammettere le prove capitolate, specie in punto natura discriminatorietà dell’atto stesso, invero evidente. Allegava poi il Pl’avvenuta violazione dei canoni del giusto processo e rassegnava indi la reclamante le conclusioni di cui in premessa, chiedendone  l’accoglimento.

Si costituiva anche in questo giudizio di reclamo la convenuta impresa F replicando ai rilievi ed ai motivi di controparte e chiedendo la conferma della sentenza n. 15/2015 del Tribunale di Udine.

All’udienza del 23.4.2015 la causa veniva discussa e, all’esito, rimessa in istruttoria per assumere alcune prove per testi; curati detti incombenti alle udienze del 9.6.2015 e del 14.8.2015, all’udienza del giorno 1.10.2015 la controversia veniva discussa ed affidata alla decisione di questa Corte.

In limine, quanto al rilievo riferito, in sintesi, all’incompatibilità fra il Giudice che (vedi l’art. 1 commi 47 e segg. l. 92/2012) decide in fase interinale il giudizio definendolo con ordinanza e quello che poi tratta e definisce, con sentenza, (art. 1 comma 51 l. 92 citata) la fase di opposizione il giudizio, si condividono le notazioni già svolte dal Tribunale di Gorizia dd. 4.11.2014 nel respingere la richiesta di ricusazione svolta dal P. Del resto, e per concludere, la stessa Corte di cassazione ha avvallato l’opinione in senso contrario notando che (vedi Cass. 7782/2015) i casi di astensione e quindi di ricusazione del Giudice definiti dall’art. 51 c.p.c. sono di stretta interpretazione e non soggetti ad estensione per analogia; la stessa Corte poi ha posto in evidenza che, in I grado ed ai sensi dell’art. 1 l. 92/2012 si ha in fase di opposizione solo una prosecuzione del giudizio dopo quella urgente, definita con ordinanza (vedi anche Cass. 3136/2015). Da ultimo, si è ivi posto in risalto che la fase di opposizione è a cognizione piena dopo una prima fase di natura urgente ed interinale sicchè non si può parlare di un altro giudizio, ma del medesimo (vedi Cass. 19674/2014 richiamata in Cass. 7782/2015 su citata).

Analizzando ora in via unitaria i motivi di doglianza, va posto da subito in risalto che la causa è stata qui, in sede di appello/reclamo, istruita sicchè viene meno ogni questione riferita all’omessa attività istruttoria ed alla violazione del canone del giusto processo.

Per il resto, il tema del decidere si incentra sulla legittimità o meno del licenziamento perchè sorretto e giustificato (docc. 13 e 15 attorei, lettera di contestazione dd. 9.1.2014 e comunicazione di licenziamento dd. 24.1.2014) su sei assenze dal servizio seguite a giorni festivi e due a giorni di ferie (lettera a) della contestazione)e su nove assenze ingiustificate ( lettera b) dell’atto di contestazione). Si nota allora che (doc. 11 estratto riassuntivo dei certificati di malattia dell’attore nel corso del rapporto di lavoro dal 2011 a tutto il 2013)nelle prime sei occasioni citate (assenze dal servizio dopo i giorni festivi lettera a)) vi erano certificati medici di malattia a suffragio e giustificazione, lo stesso valeva poi per le assenze dopo i giorni di ferie in numero di 2 e per i 9 episodi di assenza asseritamente ingiustificata, tutti interessati da certificati medici. A corredo e conferma vi sono poi gli attestati di malattia telematici dimessi in copia dal reclamante (doc. 12 di parte appellante); a detti elementi si assommano poi i docc. 9,10 del ricorrente P che avvalorano per un periodo l’esistenza di complicanze flogistiche ed algiche in prossimità del periodo di assenza dell’assenza per malattia del febbraio 2013 e attestato del servizio di Pronto Soccorso Ospedaliero di Monfalcone dd. 7.10.2013. Si nota poi che, al di là delle generiche contestazioni dell’appellata F, nulla è stato provato o tentato di provare in merito a qualche circostanza che smentisse i dati di cui ai certificati in atti; inoltre, va osservato che molti  degli episodi in oggetto sono stati contestati al P e come assenze post giorni festivi e come assenze ingiustificate ed un tanto vale per le assenze del 4.2 al 8.2.2013, dal 18.2 al 20.2.2013 dal 24.6 al 28.6.2013, dal 1.7 al 5.7.2013 e dal 7.10 al 10.10.2013 e cioè per cinque episodi sui sei dui quelli di cui al punto a) della lettera di contestazioni citata ed invero, sul piano logico, detto fatto pare poco giustificabile perchè esse o erano assenze ingiustificate o non lo erano e non può essere condivisa la pretesa della società parte in causa di ascrivere le stesse ipotesi a due violazioni diverse. Detta situazione avvalora anzi quanto si andrà poi a dire quanto alla reale natura del licenziamento in oggetto, come verrà qui riscontrata. Sul versante dell’interpretazione delle clausole negoziali inoltre non viene condivisa l’esegesi svolta in I grado quanto alla previsione di cui  all’art. 81 lettera f) del CCNL 2009/2012 Aziende Legno, Sughero, Mobile ecc. (doc. 1 ter appellata) pacificamente applicabile nel caso di specie. Detta previsione sanziona con il licenziamento senza preavviso le assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni consecutivi o le assenze ripetute per tre volte in un anno nel giorno seguente ai festivi o seguente le ferie e, al di là del solo dato letterale in cui non ci si richiama alle assenze ingiustificate nel secondo caso, va riferito sempre a casi di assenza senza giustificazione: opinando diversamente si sanzionerebbe in modo più grave il caso di tre assenze giustificate dopo un festivo ecc. rispetto al caso ad es. di una sola assenza ingiustificata di ben più di quattro giorni. Sotto il profilo logico e della ragionevolezza ed equità la ricostruzione adottata in I grado non risulta dunque convincente; di più e in seno ad un’interpretazione di sistema,  l’art. 47 (già 29) del CCNL menzionato e dimesso in atti definisce le assenze e afferma che per le (sole) assenze non giustificate valgono le norme disciplinari di CCNL e, in simmetria, asserisce che il lavoratore assente per più di quattro giorni di fila o per tre volte in un anno nei giorni seguenti ai festivi sarà soggetto alle previsioni sui licenziamenti, facile è allora arguire che il secondo riferimento è solo alle assenze ingiustificate (che infatti sono trattate poi nella parte riferita alle sanzioni disciplinari, incluso il licenziamento). A completamento, l’art. 47 citato chiude il suo dire statuendo che  l’assenza giustificata ed autorizzata non dà luogo a decorrenza della retribuzione e questa sola è la conseguenza di detto tipo di assenza; da ultimo, l’art. 48 CCNL per le assenze per malattia prevede gli usuali oneri di reperibilità e di informazione ma altro non dice e qui, come visto, di assenza per  malattia ebbe a trattarsi. Rileva allora il precedente della prassi richiamato dall’attore e per il quale le assenze dal lavoro in giorni seguenti a quelli festivi o di ferie importano, ai fini disciplinari, solo se ingiustificate (vedi Cass. 47/1987) e qui, come già segnalato, rammentato il noto canone dell’onere della prova di cui all’art. 5 l. 604/1966, di assenze ingiustificate non vi è prova e nulla smentisce i certificati dimessi dal P e fatti pervenire a suo tempo e tempestivamente alla F S.r.l.. Così delineato il quadro di riferimento sui temi inerenti alle assenze dal servizio “de quibus” va ora affrontato il tema della reale natura, discriminatoria, del licenziamento che è stata qui dimostrata in base alle prove orali e documentali dimesse ed assunte. Anzitutto, sul piano documentale vi sono alcuni atti dal chiaro contenuto, dimostrazione palese della disistima verso il ricorrente e dell’intento di isolarlo nell’ambiente di lavoro: trattasi del doc. 18 attoreo (nota n. 12 dd. 14.5.2012) in cui l’impresa “apertis verbis” invita tutti i lavoratori a prendere in considerazione se non fosse il caso di sostituire G P come rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (vedi pure il doc. 23 di parte attrice,replica del sindacato alla nota in oggetto), del doc. 20 di parte reclamante (nota dd. 20.10.2010) con cui la società F nel comunicare agli addetti che il premio di produttività per il 2010 non sarebbe stato corrisposto, addebitava in pratica un tanto al contegno del responsabile per la sicurezza (P) che aveva richiesto, come pienamente lecito, un miglioramento delle dotazioni in tema di sicurezza, dal doc. 34 attoreo, nota datata 24.10.2013 di diniego di permesso sindacale al ricorrente che lo aveva ritualmente richiesto e che ne aveva diritto, e per cui poi la datrice ha rivisitato la vicenda come traspare dai docc. Sub 4 septies della convenuta ritenendo giustificato il contegno del P e la sia assenza dal lavoro. A corredo, vi sono le deposizioni testimoniali assunte in questo grado di appello alle udienze del 9.6 e del 14.8.2015; il teste A ha riferito dei reiterati suoi interventi in pro del ricorrente e verso l’azienda per i problemi insorti fra le parti, confermando gli atti a sua firma dimessi dal PR ed in particolare la vicenda della comunicazione interna della F di cui al doc. 18 (nota dd. 14.5.12 con cui si invitavano i dipendenti a pensare se non fosse stato meglio eleggere altro rappresentante in sostituzione del reclamante) e quella del premio di produttività per il 2010 di cui al doc. 20 di parte ricorrente e delle note di protesta redatte dall’organizzazione sindacale in dette occasioni (vedi i docc. 19 e 21 dimessi dalla parte reclamante). Il teste D S ha poi confermato che in occasione di una riunione sindacale dell’ottobre 2010 il legale rappresentante dell’impresa, A F,  esprimeva la sua avversione ai rappresentanti sindacali e, in particolare, al P confermando poi detta sua valutazione pure nel febbraio 2013 in altra analoga occasione con un apprezzamento non certo favorevole all’attore definito come “diverso”, nonché riferendo altro analogo episodio del maggio 2013 in cui lo stesso A F ebbe a criticare duramente i tre rappresentanti sindacali (incluso evidentemente l’attore) definendoli come raccomandati ed intoccabili, a notare l’inutilità delle assemblee  sindacali, a criticare le aspirazioni di chi mirava a fare il sindacalista, ad osservare che l’assenza di certe persone in azienda era irrilevante. A sua volta poi il teste M ha riferito a sua volta di tali fatti ed episodi dell’ottobre 2010, del maggio 2012, del febbraio 2013, occorsi in sede di riunioni in sede aziendale con il personale, confermandoli e riferendo che il 7.1.2014 anzi il legale rappresentate della resistente preannunziò il licenziamento del P per le sue assenze, per la sua attività sindacale e per i permessi di cui godeva, confermando che il ricorrente era stato candidato come rappresentante sindacale in quel periodo (vedi il doc. 43 di parete attrice). Infine, il teste M ha a sua volta confermato i fatti del maggio 2012 e quelli dell’ottobre 2010 e quindi l’invito della direzione aziendale, affisso in bacheca, a sostituire il P come rappresentante per la sicurezza e comunque a non considerarlo ai fini della nomina a rappresentante, la valutazione sul premio di produttività e sulla causa della perdita dello stesso, nonché l’episodio del febbraio 2013 e la valutazione del ricorrente come un “diverso”. Si era quindi invero in presenza di una serie di episodi nei quali l’impresa, a mezzo del sto legale rappresentante, ebbe a manifestare con continuità e per anni la sua avversione a G P facendo intendere che la sua presenza in azienda era mal sopportata, che il suo operato come sindacalista era controproduttivo e fonte di perdite anche economiche, che il ricorrente approfittava della sua carica a detrimento degli altri, che sarebbe stato meglio lo scegliere altra persona, più gradita all’impresa, per siffatti incarichi di rappresentanza. Detti episodi si sono articolati in diversi momenti e varie occasioni, occorsi dal 2010 sino alla fine del rapporto nel 2014, e connotati da un costante atteggiamento di disfavore e di disistima nel corso del tempo, volti anche ad isolare il ricorrente dal contesto lavorativo ed ad ingenerare avversione nei suoi confronti da parte dei colleghi. Come noto, detto contegno è sanzionato con la nullità dell’atto risolutorio per effetto del combinato disposto degli artt. 18 l. 300/1970, I e II comma, 3 l. 108/1990 e 4 l. 604/1966 sub specie discriminazione dell’interessato per la sua partecipazione all’attività sindacale. Al riguardo, i dati raccolti, e di cui su si è esposto, consentono di reputare essere stata provata, come era onere dell’attore, la natura discriminatoria dell’atto di licenziamento (vedi, in materia, Cass. 6501/2013 e Cass. 10834/2015). Va tra l’altro notato che, come esposto prima, il licenziamento è stato posto in essere con una motivazione riferita al CCNL e al tema, in esso contratto collettivo, delle assenze, quanto meno opinabile ed in esito non ad una sequela di contestazioni per le varie pretese assenze irregolari ma in base ad  una contestazione cumulativa e volutamente più grave, ma poi in concreto intempestiva rispetto agli episodi più distanti nel tempo, quelli del 2013 almeno  sino ad ottobre, fatto questo anche esso degno di nota anche nell’ottica di un atto nullo e discriminatorio. Le iniziative del ricorrente poi e di cui ai documenti dimessi e citate, volte come atto del rappresentante della sicurezza ad una maggiore tutela degli addetti negli ambienti di lavoro,  non esulano certo dai compiti e dalle prerogative di cui era affidatario il reclamante e sono anzi tipiche dell’incarico a lui assegnato e quindi le critiche aspre della controparte vertevano proprio su tale sua attività di natura sindacale e di tutela delle condizioni di lavoro.

La presente decisione ha poi chiara natura dirimente su ogni altro tema e domanda qui proposti e coltivati in causa dalle parti tutte.

Di qui l’accoglimento del reclamo di parte attrice P; le spese dell’intero  giudizio nelle varie sue fasi e gradi, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Appello di TRIESTE, Collegio Lavoro, definitivamente pronunciando, così decide :

Accoglie il reclamo proposto da G P contro la sentenza n. 15/2015 dd. 30.1.2015 del Tribunale di Gorizia e in riforma della stessa accerta e dichiara la nullità per la sua natura discriminatoria del licenziamento posto in essere nei confronti del P con atto dd. 24.1.2014 e condanna la società F R S.r.l. a reintegrare l’attore stesso nel posto di lavoro da lui occupato sino al gennaio 2014 ed a risarcire all’appellante  medesimo il danno a lui causato con il licenziamento, corrispondente ad un’indennità pari alle retribuzioni globali di fatto maturate dal gennaio 2014 sino ad oggi ed a versare i relativi contributi previdenziali ed assistenziali. Condanna la società appellante a pagare le spese dell’intero giudizio liquidate in € 2.300,00 quanto alla fase definita in I grado con ordinanza, in € 1.500,00 quanto alla fase di opposizione ed in € 4.000,00 quanto al presente giudizio di reclamo, il tutto oltre IVA, CPA e rimborso forfettario come per legge.

Trieste,1.10.2015        Il Presidente

Il Consigliere est.